21 dicembre 2007
di ENZO BIANCHI
Ma cos’è davvero, in profondità, il Natale cristiano? Le sue origini
La Repubblica, 21 dicembre 2007
Festa fragile quella del Natale, amata da tutti ma esposta a malintesi e stravolgimenti, vittima di facili assimilazioni e riduzioni ora a opportunità consumistica tra le tante, ora a emblema socio-culturale di radici smarrite. Così nelle nostre società del benessere assistiamo impotenti allo scatenarsi di una frenesia commerciale che usa il Natale come pretesto, oppure ne vediamo la simbologia banalizzata a fenomeno da stagione invernale, dimenticandoci che nell’emisfero sud i cristiani celebrano lo stesso mistero senza contorno di freddo e gelo. O ancora, assistiamo oggi a dispute peregrine su linguaggi simbolici che offenderebbero altre tradizioni religiose, quando è il messaggio cristiano stesso a patire se ridotto soltanto a canzoncine, alberi decorati o festoni colorati.
Ma cos’è davvero, in profondità, il Natale cristiano? Le sue origini sono antichissime. I seguaci di Gesù, ancor prima di essere chiamati “cristiani”, cominciarono a celebrare la morte-risurrezione del loro maestro e profeta, acclamandolo anche come Messia e Signore veniente, fin dai primissimi anni successivi a quegli eventi che erano parsi segnare la fine della vicenda del Nazareno. Subito presero a ricordare nel primo giorno delle settimana ebraica – cioè il giorno dopo il sabato – l’evento che in Gesù aveva segnato la vittoria dell’amore sulla morte: in seguito la domenica, festa settimanale della risurrezione, assunse una maggiore solennità nella celebrazione annuale della Pasqua. E così avvenne per circa tre secoli.
Progressivamente la lettura liturgica dei Vangeli dell’infanzia di Gesù, secondo i testi canonici di Matteo e di Luca, ispirò ai cristiani di ricordare e celebrare anche la nascita del loro Signore, come si faceva e si fa per ogni uomo e, massimamente, per un uomo “memorabile”. Un calendario romano del 354 ci testimonia che a Roma, verso il 330 – quindi ormai nella stagione di libertà per il culto cristiano – si cominciò a festeggiare il Natale il 25 dicembre. Quella data fu scelta perché già vi si festeggiava il sol invictus, il “sole mai vinto”, trionfatore sulla notte, che proprio in quei giorni successivi al solstizio d’inverno sembra riprendere le forze e ricomincia a salire nell’orizzonte. Non è un caso che il più antico mosaico cristiano, scoperto sotto la basilica di San Paolo a Roma, rappresenti Cristo-Helios, Cristo-sole sul carro trionfale. Da Roma la festa si propagò in Africa settentrionale e alla fine del V secolo Natale segnava già l’inizio dell’anno liturgico: l’imperatore Giustiniano nel 529 lo dichiarerà giorno festivo, senza lavoro, e da allora la festa del Natale si diffonderà progressivamente in tutta Europa, accompagnandone l’evangelizzazione. Anche la riforma protestante lo manterrà tra le sue feste, anche se con liturgie e “segni” diversi rispetto alla chiesa cattolica. L’oriente cristiano sposterà invece l’accento delle celebrazioni sull’Epifania, la “manifestazione” di Gesù ai pagani, collocata pur sempre nel tempo immediatamente successivo alla nascita.
Ma cosa ci dicono i vangeli dell’evento che è fondamento di questa festa? E’ soprattutto il racconto di Luca a parlarci della nascita che dovrebbe essere avvenuta a Betlemme attorno al 7 a.C., quando Giuseppe risalì assieme alla sua sposa Maria al paese di cui era originario, per ottemperare a un censimento ordinato da Quirino, procuratore della Giudea. Non abbiamo nessun documento storico di questo censimento né, tanto meno, della nascita del figlio di un semplice artigiano, ma non vi sono nemmeno testimonianze che sconfessino la localizzazione dell’evento attestata dalle fonti cristiane. I vangeli vi ritrovano il compimento delle profezie che indicavano proprio Betlemme, la città del re Davide, come luogo della nascita del Messia: lì Gesù nasce da una donna di Nazaret sposata a un discendente di Davide, di nome Giuseppe.
Le fonti cristiane parlano di una nascita avvenuta senza concorso di uomo, una nascita straordinaria dovuta alla forza dello Spirito di Dio, a indicare che Gesù era un uomo come solo Dio poteva dare all’umanità. Ma le circostanze della nascita sono estremamente “umane”: non essendoci posto nel caravanserraglio, Maria e Giuseppe si rifugiano in una stalla e il bambino appena nato viene deposto in una mangiatoia. Quella del Messia di Israele è dunque una nascita nella povertà, in condizione di itineranza, e sono dei poveri, i pastori, che per primi lo incontrano, avvertiti da un messaggio degli angeli. Secondo Matteo, anche dei sapienti pagani verranno a Betlemme dall’oriente, guidati da una stella apparsa in quel cielo che erano soliti scrutare.
Tutto questo spiega perché la festa del Natale è importante per i cristiani: quel bambino, uomo come noi, nato da donna come noi, è in realtà Dio che si è fatto carne fragile, creatura umana come noi. Natale, di fatto, non consente più al cristianesimo di essere una religione teista, perché il Dio che i cristiani confessano è ormai un Dio-Uomo. Così la chiesa ha ben presto visto nel Natale l’evento in cui “Dio si fa uomo affinché l’uomo sia fatto Dio”, secondo la formula usata dai più antichi padri della chiesa.
Natale è il compimento delle promesse dei profeti perché il Messia è nato, è un uomo vivente e presente in mezzo all’umanità: Dio era eterno e in quel bambino si è fatto mortale, Dio era potente e si è fatto debole, Dio era invisibile e si è fatto visibile. Fin dalla sua nascita, l’uomo Gesù comincia a narrare, a raccontare Dio, quel Dio che nessuno aveva visto né può vedere prima della morte. Ecco allora che, come nella notte di Pasqua i cristiani celebrano la risurrezione di Gesù da morte, così nella notte di Natale celebrano la sua nascita nella carne umana. Non solo, ma ancora oggi il Natale è per i cristiani una festa escatologica, che annuncia cioè le realtà ultime e definitive: è segno, garanzia, caparra che Gesù – venuto nell’umiltà a Betlemme – tornerà nella gloria alla fine dei tempi.
Se i cristiani recuperassero questo patrimonio umano e di fede che è loro proprio e che nel messaggio del Natale diviene particolarmente eloquente per tutti, forse ne verrebbero benefici per l’intero tessuto sociale. Non dimentichiamo che l’annuncio degli angeli ai pastori parla di pace in terra “agli uomini di buona volontà”, con un’espressione ricalcata sul latino di san Gerolamo che in realtà significa “all’umanità intera, oggetto dell’amore di Dio”. Sì, perché quel Messia di pace e giustizia di cui i cristiani insieme agli ebrei invocano la venuta, quel Messia che i discepoli di Gesù confessano già apparso nel loro maestro e Signore, figlio di Maria di Nazaret, è davvero la speranza di una vita piena per tutti, una vita segnata dall’amore.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Repubblica