Il foglio - n°274 del 2000
Questo testo di Enzo Bianchi scritto pochi giorni dopo il tragico 2 novembre 1975 era destinato alla pubblicazione, ma alcuni disguidi la impedirono.
Quando queste righe frettolose saranno pubblicate, per molti forse la morte di Pier Paolo Pasolini sarà già uno sbiadito episodio della cronaca. Anche questo fa parte della capacità digestiva, senza memoria morale di questa generazione “perversa e malvagia”, di questa società neocapitalista avanzata che Pasolini aveva, soprattutto in questi ultimi mesi, denunciato senza strategie, senza linguaggi usurati ma con forza profetica. Pier Paolo Pasolini era un uomo laico ma anche, come amava definirsi, profondamente “religioso e umanista”. Dico questo per la conoscenza personale che avevo di lui, incontrato ad Assisi nel lontano 1963 quando con la sua enorme forza poetica cercava di cantare la vicenda evangelica di Cristo. Egli diceva allora: “Io non credo che Cristo sia Figlio di Dio perché non sono credente almeno nella coscienza, ma credo che Cristo sia divino: credo cioè che in lui l’umanità sia così alta, così rigorosa ed ideale da andare al di là dei comuni termini dell’umanità”.
Ora è stato ucciso come uno dei tanti “cristi” da lui descritti nei suoi romanzi e nei suoi film: e anche in questo la sua morte è significante e non può essere letta come un incidente. Egli che era un “altro” stava con “gli altri”, senza menzogna, senza ipocrisia, e ricercava in ogni situazione, quasi inseguendola, una radicale purità in cui la dimensione umana personalistica e quella politica erano sempre presenti. Osteggiato, perseguitato, denigrato solo per il fatto di vivere nel reale e di denunciare coraggiosamente ciò che dispiace ai benpensanti e alle coscienze serve della norma, ha sempre mantenuto atteggiamenti di indifeso e di puro senza atteggiarsi a vittima e senza attaccare i nemici con severità ed altezzosità. Anche quando è stato attaccato dagli organi ufficiali della chiesa – questa presenza storica a lui così prossima e alla quale ha dedicato alcuni tra i suoi più schietti e profetici “scritti corsari” –, egli non ha replicato ma si è limitato ad annotare: “Cristo del resto non ha mai messo in condizione la ‘pecora nera’ (o smarrita) di dover replicare”.
Certamente (e non credo di avere uno spirito annessionista) Pier Paolo Pasolini era un cristiano anonimo, uno di quelli che hanno cercato una parola di radicale carità oltre che di fede dalla chiesa e non l’hanno trovata. Molti penseranno per autogiustificarsi alla sua vita personale, vita di cui la morte è l’epifania, e così negheranno ogni possibile autorevolezza a ciò che egli chiedeva ai cristiani o alla chiesa: ma così facendo attirano su di loro una condanna ancor più grave di quella causata dall’incomprensione: la condanna di chi diceva: “misericordia voglio, non gesti di culto”. Pier Paolo Pasolini ha conosciuto l’uomo nella sua qualità di “accattone”, che è quella più vera perché tutti anche nel male cerchiamo questa immagine divina così nascosta e sfigurata ma che costituisce la causa della nostra comune ricerca di amore e di giustizia.
Di fronte al nuovo potere consumistico che è “completamente irreligioso, totalitario, violento, corruttore, degradante” egli richiedeva un rifiuto radicale da parte della chiesa, e in questo rifiuto egli vedeva profeticamente il suo riapparire guida grandiosa ma non autoritaria di tutti gli uomini impegnati nella ricerca della liberazione da ogni potere. Il messaggio dello scrittore-regista è tutt’uno col messaggio della sua vita, perché ciò che egli ci ha detto l’ha vissuto in questa solidarietà spinta all’estremo con gli uomini quotidiani del nostro oggi di cui egli è stato vittima.
Come uomo e come cristiano sento con la sua scomparsa che la mia capacità di ascolto è privata di una voce certamente anticonformista e scomoda ma anche libera e pura: la voce di chi “è stato lasciato solo a cercare il Signore”.
Ed infine due parole ancora: a quanti sono scandalizzati della sua vicenda personale occorre ricordare che violando il mistero che circonda l’uomo Pier Paolo o addirittura denigrandolo essi violano e denigrano se stessi, e che Pasolini dicendo, da poeta e artista qual era, che Cristo era divino diceva molto di più di quanti senza compromettersi con l’uomo della strada ne fanno una confessione di fede teologicamente completa.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: Il Foglio