26 luglio 2007
articolo di ENZO BIANCHI
Quelli che compongono la comunità ecclesiale appaiono oggi più saldi nella fede, più consapevoli
La Repubblica, 26 luglio 2007
Forse è ancora troppo presto per una lettura pacata e non animosa degli anni sessanta, anche perché i protagonisti di quegli anni definiti “formidabili” sono ancora operanti in una società e in una chiesa molto cambiate. E’ indubbio che con l’annuncio del concilio da parte di papa Giovanni XXIII nel gennaio del 1959 si accesero molte speranze per la vita interna della chiesa e per un suo “aggiornamento” che le consentisse di essere più evangelica e più capace di collocarsi nella storia, dialogando con i non cattolici e lavorando con gli uomini “di buona volontà” alla costruzione di un mondo maggiormente segnato dalla giustizia e dalla pace.
L’evento conciliare accese speranze e sogni in tutti, dai vescovi al più semplice dei fedeli, e i testi del concilio parvero a tutti un orientamento autorevole in grado di accompagnare la riforma intrapresa. Ma, come poteva prevedere chi avesse una qualche conoscenza della storia dei concili, il postconcilio registrò serie difficoltà, contraddizioni e contestazioni: non poteva essere altrimenti perché, quando appare la possibilità di una vita cristiana più fedele al Signore, allora le dominanti mondane non possono che scatenarsi e passare da una sorda resistenza a una battaglia aperta combattuta in nome di una fraintesa tradizione. Certamente ci furono anche abusi, soprattutto liturgici – anche se, va detto, rari in Italia – e nel dialogo con i non cristiani qualche volta si parlò di “conversione al mondo”, svuotando la fede e depauperando la differenza cristiana.
Negli anni immediatamente successivi al concilio ci fu il fenomeno dei gruppi spontanei ecclesiali che indicavano tutta la vitalità cattolica nella scoperta della bibbia e nel percorrere vie di spiritualità matura ed ecumenica. E quando venne il ‘68, se è vero che vi furono cattolici impegnati nei movimenti e nelle iniziative vissute nell’ambito delle università, è anche vero che costoro non ponevano la loro qualità di fede come una bandiera. Certo, il ‘68 spaventò molti per la sua novità di rivendicazioni e la forza dirompente che mostrava: era indubbiamente la crisi dell’assetto della cultura dell’occidente europeo. Ma una vera contestazione ecclesiale iniziò dopo, quando si manifestò il fenomeno delle comunità di base, dei “cristiani per il socialismo”, con la militanza anche di alcune comunità che si trovarono a essere escluse dalla comunione cattolica anche da pastori aperti e fedelissimi al concilio come il cardinale di Torino, Michele Pellegrino.
Sì, in quegli anni settanta, gli anni della teologia della morte di Dio, della contestazione alla struttura gerarchica della chiesa, dell’assunzione delle categorie marxiste nell’analisi della società e della vita ecclesiale, una minoranza, piccola ma molto attiva, eloquente e capace di apparire sui media, alimentò una situazione che per molti aspetti fermò lo slancio dell’aggiornamento conciliare e favorì la nascita contrapposta di movimenti ecclesiali nostalgici del passato, diffidenti verso la chiesa di Paolo VI, tesi a creare una presenza nella società che non disdegnava di mostrare pretese e arroganza. Gli ultimi anni del pontificato di Paolo VI risentirono di questa contestazione e parvero creare nel papa dubbi, perplessità, paure non certo infondate se si tiene presente che il movimento del ‘68 nel decennio successivo si sviluppò in alcune frange con l’assunzione persino della lotta armata. Chiesa e società furono toccate da sconvolgimenti ad opera di minoranze efficaci che crearono un clima di lacerazioni e di contrapposizioni acute.
Ma la chiesa continuò, in particolar modo in Italia, la sua riforma conciliare e soprattutto i vescovi assunsero il Vaticano II come ispiratore di tutta la loro pastorale: liturgia, catechesi, predicazione furono veramente rinnovate e il frutto è ancora sotto i nostri occhi. Se infatti non si registra una crescita numerica dei cristiani, tuttavia quelli che compongono la comunità ecclesiale appaiono oggi più saldi nella fede, più consapevoli della differenza cristiana, più adulti nell’abitare la compagnia degli uomini: comunità forse più piccole, ma più vive, come ha messo in risalto a più riprese Benedetto XVI.
Chi sottolineava la rottura tra la chiesa precedente e il Vaticano II lo faceva non per far emergere la novità, l’ “aggiornamento” o, per usare il linguaggio di Benedetto XVI, la “riforma” della chiesa, ma per aprire cammini inediti svincolati dalla tradizione, oppure lo faceva in vista di un declassamento del concilio o di un suo oblio per un ritorno alla stagione precedente. Sì, con ogni probabilità, quelli che volevano spingersi troppo oltre il concilio erano già scomparsi negli anni ottanta, ma quelli che lo volevano cancellare sono oggi più che mai presenti, anche se come infima minoranza.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Repubblica