23 gennaio 2007
di Enzo Bianchi
Con l’Abbé Pierre scompare un uomo, un cristiano, un prete che per più di sessant’anni è stato una sorta di coscienza collettiva non solo della Francia
La Stampa, 23 gennaio 2007
Ha tenuto occupato un letto d’ospedale per poco più di una settimana, poi l’ha lasciato libero per qualcuno che ne aveva più bisogno di lui, e se n’è andato nella pace serena dei suoi 94 anni, passati a far posto e a trovare posto per gli altri. Del resto, la sua malattia risaliva agli anni della giovinezza ed era inguaribile: “non sono guarito e non guarirò mai da tutto il bagaglio di sofferenze che opprimono l’umanità”, aveva ripetuto solo pochi mesi fa. Con l’Abbé Pierre scompare un uomo, un cristiano, un prete che per più di sessant’anni è stato una sorta di coscienza collettiva non solo della Francia, ma di intere generazioni di uomini e di donne di ogni appartenenza sociale e religiosa.
Una figura schiettamente evangelica che ebbi modo di conoscere tra gli straccivendoli di Rouen nel 1965, nei miei fieri vent’anni di cattolico tutto d’un pezzo, e che mi dischiuse con dolce fermezza, nei due mesi che vissi con lui, la strada della compassione e della misericordia. Eravamo una quindicina in tutto: con l’Abbé Pierre, in povere baracche ai bordi del fiume, c’erano alcolizzati, ex-legionari, ex-carcerati... l’uno accanto all’altro senza distinzioni, tutti impegnati solo a vivere insieme “umanamente”, come ci raccomandava, rispettandoci e aiutandoci a vicenda. Impressionava la sua capacità di stare “in mezzo e insieme”, nel raccogliere stracci, nello svuotare solai e cantine, nel preparare il cibo comune e, poi, il suo ritirarsi in disparte, solo, a volte seduto su un mucchio di stracci o di rottami, a pregare guardando oltre l’orizzonte per scorgere l’invisibile. Alla sua scuola, fatta di poche ma essenziali parole e di un agire instancabile e altrettanto essenziale, ho imparato che il radicalismo evangelico e tutt’altra cosa dall’intransigenza: è testimonianza di vita, accoglienza dell’altro, parresia di fronte ai potenti e umile ascolto dei più piccoli, in particolare di quelli che piangono e che, come Gesù Cristo, non hanno nemmeno una pietra su cui posare il capo.
Un uomo che ha sempre saputo rivolgersi al cuore dell’uomo, perché il suo cuore era plasmato dalla parola di Dio; un cristiano che ha preso con coraggio la parola a tempo e fuori tempo, perché la profezia non conosce opportunismi e il profeta non tace per convenienza, ma alza la sua voce ogni volta che il grido degli oppressi sale a Dio e l’ingiustizia offende l’immagine e la somiglianza con Dio deposta in ogni essere umano. Chi si fa voce di chi è senza voce presso i potenti non si preoccupa dell’efficienza immediata del suo parlare: “ascoltino o non ascoltino”, la voce di Dio che chiede conto a ciascuno del proprio fratello deve risuonare come monito severo, così come deve essere udita la voce misericordiosa di Dio che si fa balsamo per le ferite della miseria e del peccato.
Quella dell’Abbé Pierre è stata una voce che si è fatta anche mano amica, braccio di sostegno, slancio al cammino di speranza per chi ogni speranza aveva perso: il suo prodigarsi per sottrarre ebrei alla Gestapo, le sue battaglie per la giustizia sociale come deputato al parlamento francese, l’incontro con un ex-detenuto che dissuade dal suicidio invitandolo a prendersi cura assieme a lui dei più poveri, “l’insurrezione della bontà” proclamata per radio nel terribile gelo dell’inverno 1954, il suo riprendere a tuonare ogni volta che la Francia o l’Europa accennavano a dimenticare i poveri presenti in mezzo al benessere che ottunde il sentimento sono i soprassalti antichi e sempre nuovi di un uomo che ha messo in gioco tutto se stesso spendendosi per gli altri e ritrovandosi povero di tutto e ricco di senso.
Così quest’uomo, che era nato alla vigilia della Festa della Trasfigurazione del Signore e che ha passato tutta la sua vita a chinarsi sul corpo sfigurato dei miseri per trasfigurarlo in un volto di gratitudine, questo prete che non ha mai fatto riserve della sua identità cattolica pur di dialogare con tutti, si è addormentato nell’attesa della risurrezione proprio al cuore della settimana di preghiera per l’unità dei cristiani: ultimo segno di una vita vissuta seguendo le esigenze radicali della profezia evangelica.
Enzo Bianchi
Pubblicato su: La Stampa