Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Con il cuore e la mente così si può perdonare

30/11/2020 16:56

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2007,

Con il cuore e la mente così si può perdonare

La Stampa

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14 gennaio 2007

articolo di Enzo Bianchi

Il perdono e la riconciliazione sono una sfida vitale alla nostra capacità di far un uso socialmente costruttivo

 

La Stampa, 14 gennaio 2007

 

Il primate della chiesa da cui proveniva Giovanni Paolo II che si dimette nel momento stesso in cui avrebbe dovuto prendere possesso della cattedra che era stata di uno dei più risoluti resistenti al regime comunista in nome della libertà della chiesa. Questo è solo l’evento più macroscopico di un intersecarsi di vicende che non riguardano solo la Polonia e la sua chiesa, ma la società e il mondo in cui viviamo, il nostro rapporto con il passato, l’uso della memoria, il significato e il vissuto del perdono.

 

Il dramma della chiesa polacca, infatti, non attraversa solo quella compagine ecclesiale, ma concerne l’insieme delle nostre convivenze civili ed è stato conosciuto, e non sempre adeguatamente affrontato, da altre realtà sociali ed ecclesiali dopo svolte storiche altrettanto significative. E fu il dramma della chiesa nel III secolo, quando si trovò a decidere sulla sorte dei lapsi, battezzati che durante le persecuzioni si erano compromessi con l’idolatria imperiale per evitare il martirio: il sinodo di Roma del 251 fissò, prima della riammissione nella comunità cristiana, una penitenza proporzionata al livello di “cedimento” e respinse la posizione di intransigenza assoluta di quanti non volevano più saperne di quei loro fratelli più deboli.

Ma la rivisitazione del passato interpella ciascuno con le sue ferite – personali o del proprio gruppo di appartenenza – più o meno recenti che ancora sanguinano o che sono pronte a riaprirsi: e la purificazione delle memorie è operazione complessa e faticosa, ma indispensabile per affrontare con lucidità il presente e porre solide basi per un futuro più sereno. Fare memoria, infatti, non significa rivangare negli aspetti più torbidi del passato, né piegarsi alle ragioni dei “vincitori” di turno, ma implica una rivisitazione di eventi e comportamenti di singoli e di gruppi fatta con coraggio e intelligenza, con il cuore ma anche con la mente.

 

Se, infatti, il perdono a volte nasce da un moto incontenibile del cuore o da un tessuto culturale profondo (come sta mostrandoci anche in questi giorni la reazione di un familiare delle vittime della strage di Erba), per trasformarsi in riconciliazione e premessa di un avvenire diverso, ha però bisogno di un lucido discernimento degli errori e dei crimini commessi, di una loro ferma condanna, di un’attenta comprensione dei fattori che possono averli innescati e di una sapiente differenziazione tra il gesto commesso e la persona che lo ha compiuto. E per questa difficile operazione non servono archivi più o meno segreti o artefatti, non giova l’inseguirsi di scoop giornalistici, non aiuta il ricorso all’anestetico del “così facevano tutti” né quello al veleno della calunnia vendicativa. “Occorre – aveva detto un inascoltato Benedetto XVI nel maggio scorso, rivolgendosi proprio alla chiesa polacca – imparare a vivere con sincerità la penitenza cristiana. Praticandola, confessiamo i peccati individuali in unione con gli altri, davanti a loro e a Dio. Conviene tuttavia guardarsi dalla pretesa di impancarsi con arroganza a giudici delle generazioni precedenti, vissuti in altri tempi e in altre circostanze. Occorre umile sincerità per non negare i peccati del passato, e tuttavia non indulgere a facili accuse in assenza di prove reali o ignorando le differenti pre-comprensioni di allora”.

 

Occorre, diremmo con un’estensione dell’orizzonte condivisibile anche a chi non si riconosce nella fede cristiana, il coraggio per guardare in faccia la verità anche nei suoi aspetti più spiacevoli per noi, l’intelligenza per leggere al di là e al di dentro di ciò che ora appare evidente ma che in un’altra stagione era magari terribilmente complesso. Occorrerebbero istituzioni in grado non solo di ricostruire le singole vicende e di attribuire le personali responsabilità penali, ma anche di mostrarsi preoccupate di usare metodi e condanne capaci di esprimere la riprovazione per i crimini e non la vendetta sui criminali. Occorrerebbero “luoghi” di dibattito pubblico abitati dall’onestà intellettuale e diffidenti verso qualsiasi processo sommario o nuova rivelazione eclatante, luoghi capaci di “ascoltare” ciò che muoveva il cuore e la mente di chi si è macchiato di determinate colpe, non per scusarlo, ma per poter cogliere anche l’eventuale scintilla dell’autentico pentimento e distinguerla dalla subdola confessione opportunistica.

 

Sì, il perdono e la riconciliazione non sono categorie unicamente cristiane, anche se trovano nel vangelo un testo fondante e nell’esempio lasciato da Gesù di Nazaret un paradigma ineludibile, ma sono una sfida vitale alla nostra capacità di far un uso socialmente costruttivo e individualmente arricchente dell’intelligenza e del sentimento: la giustizia e la pace, tra i popoli ma anche tra le generazioni, ne hanno bisogno come dell’aria pulita e dell’acqua di fonte.

 

Enzo Bianchi

 

Pubblicato su: La Stampa