Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Quando il male è inevitabile

31/12/2004 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2004,

Quando il male è inevitabile

La Stampa

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31 dicembre 2004

Un altro anno è terminato e nel cuore di molti domina l’enigma di una catastrofe che non potevamo immaginare né prevedere: in teoria sapevamo sì cos’è un maremoto e i suoi terribili effetti, ma lo collocavamo come evento “lontano” nel tempo (sono ormai tutti scomparsi i superstiti della tragedia di Messina nel 1908) o nello spazio (altri cieli e altri mari erano quelli sconvolti). Oggi, invece, a motivo delle enormi possibilità dei mezzi di comunicazione e dell’estendersi del turismo a livello planetario, questa immane disgrazia ci raggiunge e ci travolge con le sue immagini che ci pare quasi di toccare con mano.

 

Così, accanto al male di cui sono responsabili gli uomini e del quale sono epifanie terribili l’11 settembre e la guerra in Iraq, sperimentiamo anche il male che viene dalla natura, un male di cui gli uomini non sono responsabili, un male contro cui lottano con il loro sapere scientifico, un male che, tuttavia, pare non poter essere contraddetto. È una catastrofe, una devastazione che non conosce nulla e nessuno, che travolge uomini, donne, bambini, animali, piante a distanza di migliaia di chilometri, unendo le realtà più diverse in unico dolore.

 

Cosa dire di fronte a questa epifania del male che pare piombare dal cielo? Siamo in verità poveri di parole di fronte a questi eventi. Anche i cristiani non hanno parole se non nello spazio della fede, parole che non spiegano il significato della catastrofe, ma che possono solo balbettare qualcosa “oltre” la catastrofe. I cristiani possono solo affidarsi alle parole di Gesù che invitava a discernere nelle guerre, nei terremoti, nelle carestie non una punizione divina, ma le doglie di questo mondo che deve essere salvato dal male e dalla morte: ci sarà una trasfigurazione di questo mondo perché la volontà di Dio è che “tutti gli uomini siano salvati”, ci sarà una terra nuova e un cielo nuovo perché la creazione intera attende questo riscatto dalla schiavitù del male. Questa è la speranza cristiana. Ma qui e ora, nella storia e nel mondo, contro il male c’è solo la lotta che l’uomo può condurre per combatterlo: queste deflagrazioni del male che causano sofferenze e morte vanno vissute dall’uomo non passivamente né tanto meno attribuendone la causa al fato o a un castigo divino; al contrario, vanno affrontate con tutto il sapere di cui l’uomo dispone, con le sue migliori energie intellettuali e morali, con la sua scienza, con i suoi mezzi più efficaci, lottando per la vita e la vita piena.

 

In questo spazio Dio non interviene con la sua onnipotenza tangibile, appare come ritiratosi in silenzio, tuttavia rimane presente con la sua ispirazione, con la sua potenza invisibile ma efficace, lo Spirito santo, che agisce sulle facoltà intellettuali dell’uomo: pare aver affidato mente, cuore, mani e voce agli uomini. Ciò che ci è richiesto di fronte a queste epifanie del male è allora di continuare, pur nella sofferenza e nel lutto, a tener vivo il senso di una salvezza “comunitaria”, di una liberazione che o raggiunge tutti oppure non è autentica liberazione: continuare ad amare l’altro e ad accettare di essere amati. È poco di fronte all’immane dolore? Forse, ma è essenziale per far sì che la nostra vita abbia senso per noi e per gli altri: solo da questo può nascere la capacità di “sperare per tutti”, solo da questo trae fondamento la speranza.

 

Accanto a questa lotta contro il male che proviene dalla natura vi è un’altra lotta, cui ci invita ancora una volta Giovanni Paolo II nel suo messaggio per la Giornata mondiale della pace, una lotta altrettanto ardua e perseverante: quella contro il male che viene dagli uomini e che scaturisce dalle loro scelte e dalle loro responsabilità. “Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male” è l’esortazione di san Paolo che il papa prende come ispirazione del suo messaggio di pace. Pace non come semplice coesistenza pacifica, ma come vita piena in un orizzonte comunitario che riguarda tutta l’umanità; pace come bene da cercare e perseguire con un’azione che non può essere oppressiva, armata, violenta: solo il bene, infatti, può veramente sconfiggere il male alla radice.

 

La visione cristiana su questo aspetto fondamentale della convivenza e della solidarietà è semplice e trasparente: o si sceglie l’assunzione di sentimenti, di parole e di comportamenti che stiano nella logica dell’amore reciproco, oppure ci si sottrae alle esigenze poste dal vangelo. Proprio perché il perdono è la via cristiana per eccellenza come risposta al male subìto, esso contiene non solo una rinuncia alla vendetta e un rifiuto del contraccambio, ma anche un atteggiamento attivo, costituito dal “fare il bene”. Il comandamento cristiano, dato da Gesù stesso – “Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano… pregate per i vostri nemici… benedite e non maledite” – deve essere messo in pratica non solo personalmente, ma anche dalle comunità umane, dai popoli, dalle nazioni. Non c’è altra via per uscire dal circolo vizioso del male: la violenza, infatti, genera altra violenza, in un vortice sempre più distruttivo.

 

E qui il papa ricorda le responsabilità precise che l’uomo ha di fronte al male: “il male ha sempre un volto e un nome”, cioè è sempre opera di uomini e di collettività che se ne devono assumere la piena responsabilità. Il male, infatti, è opera di chi sceglie la logica dell’amore di sé e non riconosce la solidarietà, la fraternità di tutti gli esseri umani. Questo discorso, imperativo per i cristiani perché sgorga direttamente dal Vangelo, secondo Giovanni Paolo II non è tuttavia estraneo agli uomini in quanto essi possiedono tutti “un comune patrimonio di valori morali” e sono dotati “della grammatica della legge morale universale”.

 

Contro ogni fondamentalismo e ogni tentazione di dividere uomini e stati tra “buoni e cattivi”, “volonterosi e canaglie” – tentazione che pare sempre più diffusa a tutti i livelli – il papa ricorda una verità cristiana sempre affermata: l’essere umano, essendo stato creato “a immagine e somiglianza” di Dio, è capax Dei,capace di conoscere e di operare il bene. L’immagine di Dio, impressa nel cuore di ciascuno, non può mai essere distrutta o messa a tacere, neanche quando l’uomo la contraddice e la nega. Se nel mondo opera il Male, è pur vero che l’uomo può contrastarlo in virtù di quell’immagine di Dio che porta in sé, e in virtù del fatto che Dio, attraverso Gesù Cristo uomo e Dio, “si è unito in un certo modo a ogni uomo”, come ricordava il concilio Vaticano II. È in questa logica, offerta alla riflessione non solo dei cristiani ma di tutti “gli uomini di buona volontà”, che il papa chiede che il bene capace di vincere il male, il terrorismo, la guerra, sia declinato come “uso comune dei beni della terra”, come “amore preferenziale per i poveri”, come “carità vissuta con fantasia creativa”.

 

Sì, occorre tener desta e salda la speranza in queste ore di sofferenza per milioni di persone. Queste parole di pace, così intimamente legate a quelle pronunciate tre anni or sono sul perdono come componente essenziale di un’autentica giustizia, sono il frutto maturo di quanto la chiesa sa offrire oggi alla sapienza umana nel faticoso cammino di ricerca della pace. Siano anche l’augurio per un anno di pace e di solidarietà.

 

Enzo Bianchi