31 dicembre 2004
Davanti a noi c’è un nuovo anno, giorni che si riempiranno di eventi, di incontri che per ora non conosciamo e che solo in parte possiamo prevedere basandoci su mesi trascorsi che non torneranno e che resteranno significativi per noi nella misura in cui hanno determinato la nostra vita. E alle nostre spalle ci sono eventi che hanno contraddetto la nostra qualità di vita personale e di convivenza civile: la feroce guerra in Iraq, su cui è sceso il silenzio di chi non vuol vedere; la violenza, la fame e l’epidemia dell’AIDS che continuano ad affliggere le popolazioni dell’Africa sub-sahariana; da ultimo il terribile maremoto di questi giorni, autentica “apocalisse” non nel senso di catastrofe naturale ma di “rivelazione” di come va il mondo e la storia degli uomini. Per noi cristiani restano sempre da ascoltare e da cercare di comprendere le parole di Gesù – “Sentirete parlare di guerre e di rumori di guerre… terremoti… carestie in vari luoghi” (Marco 13,7-8) – che ci chiedono di discernere in questi eventi dei “segni”. Segni che questo mondo è attraversato dal male e dalla morte e per questo deve essere salvato, segni che gli uomini cercano di sopravvivere anche senza gli altri o contro gli altri e quindi abbisognano di conversione e di comunione, segni che la vita in pienezza non è possibile se non si sceglie la vita accettando di sentire e di operare nella logica dell’amore reciproco, “il nuovo e grande comandamento”.
Solo così si può sperare perché si ha qualcosa da sperare. Il problema, infatti, non è sperare o disperare, essere ottimisti o pessimisti, ma trovare fondamento alle speranze ed essere consapevoli di che cosa si può sperare. Molti dicono che siamo immersi in una cultura dell’attimo fuggente e che, quindi, il rapporto con il passato e con l’avvenire non ha peso: “No future!”. Ma la speranza nasce quando si prende posizione riguardo al futuro, quando si pensa che un avvenire sia ancora possibile per un individuo, una società, l’umanità intera: si tratta di vedere oggi per il domani. Scegliere di sperare significa decidersi per una responsabilità, per un impegno riguardo al destino comune, significa educare le nuove generazioni trasmettendo loro la capacità di ascoltare e di guardare l’altro: quando due esseri umani si ascoltano e si guardano con stupore e interesse, allora nasce e cresce la speranza! Alla fine della sua vita così mi scriveva Hans Urs von Balthasar: “Sperare è possibile solo se si spera per tutti”.
Enzo Bianchi