10 settembre 2004
Vi sono luoghi che, custoditi e coltivati con quotidiana fatica e sapienza, divengono giardini pronti a offrire i loro frutti a chi vi si accosta con serietà e rispetto. Sono spazi di dialogo non sempre riconducibili a un sito geografico, ma sempre bisognosi di fiducia, di ascolto, di apertura. È proprio a due di questi “luoghi” che la Comunità monastica di Bose ha voluto dar voce quest’anno per i suoi ormai consueti Convegni ecumenici di spiritualità ortodossa. Il primo è uno spazio ben delimitato, quella penisola protesa nel mar Egeo che prende il nome dalla vetta che la sovrasta: il monte Athos. Luogo appartato, con accessi rigidamente regolamentati eppure fonte di attrazione e di irradiamento da oltre mille anni: monaci e pellegrini provenienti da chiese e tradizioni diverse hanno fatto di quelle lande scoscese una terra di incontro tra cercatori di Dio di ogni tempo e di ogni dove.
L’altro spazio di dialogo è unluogo interiore: il nostro cuore quando si apre alla preghiera e all’ascolto amoroso di Dio e del prossimo. Ma cosa significa pregare? E cos’è la vita interiore? Domande che sempre più spesso abitano l’orizzonte della nostra umanità postmoderna. Avvertiamo, a volte con lucidità e a volte con smarrimento, che l’incontro tra religioni che attraversa ormai la nostra quotidianità, senza una guida interiore, senza una conoscenza spirituale di sé e dell’altro, si trasforma in uno scontro continuo: invece di fiorire in dialogo, può degenerare in un conflitto irrimediabile, sotto la pressione di opposti fanatismi. Certo occorre pazienza e intelligenza, per discernere nel poliedrico ritorno del sacro e nel crescente interesse per ciò che giunge dall’Oriente, quel ch’è moda passeggera — se non addirittura fuga dalla realtà — da una sincera ricerca di vie e strumenti per ritrovare l’assiduità con Dio, esercitandosi nell’ineffabile arte del colloquio con lui.
È così che uomini e donne di diversa confessione cristiana accostano e praticano sempre più numerosi lapreghiera di Gesù, spesso identificata con lapreghiera del cuore, che propriamente non è che il punto culminante di un lungo itinerario di purificazione interiore. È una preghiera praticata soprattutto dai cristiani delle Chiese d’Oriente, ma ormai conosciuta anche in Occidente, grazie all’insegnamento di uomini spirituali e di numerosi testi che la presentano, la spiegano, tentano di insegnarla. Uno dei libri che più ha contribuito ad accostare l’Occidente a questa preghiera, sono gli anonimi Racconti di un pellegrino russo, che narrano il cammino spirituale di un viandante, un povero cristiano che cerca di capire come sia possibile adempiere l’invito di Paolo a “pregare incessantemente” (1Ts 5,17). Solo quando incontra un anziano monaco, uno starecche lo introduce alla vita interiore, il pellegrino comprende che “l’incessante preghiera interiore di Gesù è l’invocazione ininterrotta del divino Nome di Gesù Cristo, fatta con il cuore e la mente, nella consapevolezza della sua continua presenza e nell’implorazione della sua misericordia, in ogni nostra attività, in ogni luogo e in ogni momento. Essa si esprime con le parole: Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”. Ecco la preghiera di Gesù: tutto qui! Poche parole ma densissime, una sintesi delle due invocazioni del cieco di Gerico a Gesù che passava (Lc 18,38) e del pubblicano nel tempio (Lc 18,13).
Ma com’è possibile passare dalla ripetizione esteriore della formula di preghiera, alla sua dimensione interiore? I grandi santi russi si sono a lungo interrogati, nel solco di una tradizione millenaria, sui complessi meccanismi che dalla dispersione della nostra mente conducono all’unificazione interiore, fino a presentare tutto l’essere dell’orante a Dio, in un cammino di purificazione e di comunione. Certo, anche per loro il primato spetta alla preghiera liturgica, e la liturgiaresta il culmine di tutta l’azione della Chiesa, fonte di tutta la sua forza. Ma la preghiera liturgica trova il suo prolungamento nel tempo della vita quotidiana, nell’intimo del cuore del cristiano, fino a farsi incessante: quando mangiamo, quando lavoriamo, quando riposiamo… La preghiera di Gesù rappresenta questa possibilità di dialogo continuo con Dio.
Gli autori spirituali russi, seguendo da vicino i padri orientali, sono attenti nel distinguere tra “preghiera orale”, o preghiera fatta con le labbra; “preghiera mentale”, e “preghiera del cuore”, che “sopraggiunge quando chi prega, dopo aver raccolto la mente nel cuore, da lì rivolge la propria preghiera a Dio con parole silenziose” (Teofane il Recluso). Il “raccoglimento della mente nel cuore” è il momento cruciale in cui avviene l’unificazione interiore sotto l’azione dello Spirito santo. È questo il fuoco segreto, la scintilla che si accende per grazia dopo una lunga consuetudine alla preghiera.
I padri del monachesimo interpretano le esortazioni del Nuovo Testamento a “pregare in ogni momento” (Lc 21,36), a “pregare sempre, senza stancarsi” (Lc 18,1), a “pregare incessantemente” (cf. 1Ts 5,17; Ef 6,18), come l’acquisizione di un’attitudine del cuore sempre disposta ad ascoltare il Signore e pronta a parlargli: “Dobbiamo restare incessantemente sospesi al ricordo di Dio come i bambini alle loro madri” (Basilio, Regole diffuse, 2,2). Acquisire la memoria Dei,il ricordo costante di Dio, richiede molta determinazione: “Molti non sanno nulla del travaglio interiore necessario a chi voglia possedere il ricordo di Dio” (Dimitrij di Rostov) e la preghiera di Gesù è una via per acquisire questo incessante ricordo.
Possiamo scoprire analogie tra la preghiera di Gesù e pratiche di orazione di altre tradizioni spirituali. In Occidente, la Jesu dulcis memoriaha scandito le vite dei santi testimoni, da Bernardo di Chiaravalle a Francesco di Assisi, ha ritmato le litanie del Nome di Gesù, è al cuore della stessa preghiera del rosario: “Benedetto il frutto del tuo seno Gesù…”. La ripetizione del Nome di Dio è del resto presente anche nella tradizione ebraica hassidica, e in quella sufi dell’Islam. Tuttavia, la tecnicadi orazione nella tradizione cristiana non ha il primato, che spetta sempre all’azione dello Spirito Santo, “che prega in noi” (Rm 8,15; Gal 4,6). Qui bisogna essere molto chiari: se la preghiera di Gesù favorisce l’habitare secum, il dimorare in pace con se stessi — e quanto spesso l’incapacità di sostare con se stessi genera nevrosi, aggressività, insoddisfazione, frustrazione —, essa non è assolutamente fine a se stessa; non è una tecnica disponibile tra le tante sul mercato del benessere psichico-spirituale. I padri sono molto duri nel denunciare l’illusione di coloro che esplorano la via della preghiera interiore senza un preciso contesto comunitario e liturgico, senza una guida cui sottomettersi nella libertà e per amore del Signore. Invece d’essere relazione con Dio, la preghiera diventa una forma sottile di autocompiacimento. Soprattutto per noi occidentali, quando non è sorretta da una profonda coscienza di sé e dell’altro, la frequentazione di pratiche ascetiche e di preghiera derivate dall’Oriente, rischia di tradursi in bulimia spirituale… Ci si accontenta di scimmiottare gli aspetti più appariscenti dell’Oriente, restandone intimamente estranei. Il vescovo Kallistos Ware mette in guardia da questa riduzione solipsistica: “In Occidente, alcuni si sentono attratti dalla preghiera di Gesù, che si presenta come qualcosa di fresco, di eccitante ed esotico, mentre le pratiche più familiari della vita quotidiana della Chiesa appaiono loro noiose e poco attraenti. Ma la preghiera di Gesù nonè assolutamente una scorciatoia in questo senso”.
La conoscenza di sé a cui conduce la preghiera di Gesù non rivela in noi il superuomo, ma rivela il nostro peccato. Per il cristiano, la vera preghiera è la conoscenza di Cristo, e questi crocifisso. Per questo la tradizione russa ha individuato nell’umiltà la chiave che permette di accedere al punto più elevato della preghiera interiore. Lo Spirito santo, che è l’umiltà di Dio, ci guida anche sulla vera via della preghiera, insegna san Silvano del Monte Athos, che nella sua esperienza di preghiera ci ha consegnato uno dei frutti più alti della spiritualità ortodossa russa. Negli anni del martirio della Chiesa russa Silvano annota nel suo diario: “Il nemico perseguita la nostra santa Chiesa. Come potrei quindi amarlo? A questo io risponderò: La tua povera anima non ha conosciuto Dio! Egli ha donato alla terra lo Spirito santo che insegna ad amare i nemici e a pregare per loro … Questo è l’amore”.
Enzo Bianchi