19 aprile 2003
Dopo la morte di Gesù di Nazaret, avvenuta alle tre del pomeriggio vigiliare del 7 aprile dell’anno 783 dalla fondazione di Roma, ebbe luogo una rapida sepoltura del corpo del condannato in una tomba vicina al luogo dell’esecuzione capitale, fuori dalle mura di Gerusalemme: con il tramonto iniziava infatti per gli ebrei la festa della Pasqua. Per i discepoli di Gesù, che erano tutti fuggiti nell’ora dell’arresto, e per le donne discepole, che lo avevano accompagnato fino alla tomba, iniziava il “dopo Gesù”. Gesù – maestro, profeta, ritenuto anche messia e inviato da Dio – è morto, non c’è più, giace sepolto in una tomba. Nei discepoli c’è sconforto, ma anche paura: se hanno condannato a morte il maestro, come infieriranno sui suoi discepoli? Sabato santo, giorno dopo la morte di Gesù: davanti ai discepoli c’è solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombe il non senso, l’insopportabile dolore, la lacerazione di una separazione definitiva, di una ferita mortale.
Dov’è Dio? È questa la muta domanda del sabato santo. Dov’è quel Dio che sembrava così presente nella vita di Gesù, il profeta che parlava con autorevolezza e compiva segni guarendo e liberando dal male? Passa un giorno intero senza intervento di Dio. Forse Dio ha abbandonato definitivamente Gesù? Forse Dio si è nascosto, ha deciso di fare silenzio? O è addirittura in collera, disgustato dell’umanità? Domande insensate per un credente che aderisce al Dio vivente conoscendolo e amandolo, ma domande che purtroppo vengono poste dagli uomini, anche religiosi, i quali, piuttosto di interrogarsi sulla propria sordità, sul proprio non ascolto di Dio, sulla propria opposizione rumorosa alla parola silente di Dio, preferiscono di fatto accusare Dio e attribuirgli la responsabilità del vuoto, del nulla che essi vivono.
Il sabato santo ci riporta al tema del silenzio di Dio, un tema percepito come assenza di Dio, morte di Dio, soprattutto nell’ora della shoah, dello sterminio di milioni di uomini, donne e bambini, nell’ora dei diversi genocidi che hanno segnato il secolo scorso; il silenzio del sepolcro ci riporta alla domanda: “Dov’era Dio ad Auschwitz?”. Domande tragiche, cariche di angoscia, che nascono nel cuore di chi vorrebbe che Dio intervenisse, lui il Signore della storia, per impedire che il povero sia distrutto dal potente, che l’innocente sia ucciso dall’empio! Ma non a caso questa domanda su Dio è ripetuta tante volte nei salmi da parte degli idolatri che, soprattutto nell’ora dell’angoscia, si rivolgono al credente chiedendogli: “Dov’è il tuo Dio?”.
Eppure, la vera domanda da porsi è un’altra: “Dov’era l’uomoad Auschwitz?”.
È l’uomo che è morto, è l’uomo che non ha saputo reagire: il grande silenzio che avvolge i genocidi è silenzio di uomini, di popoli, di governi, purtroppo anche di uomini che si dicono credenti… In verità, il Dio degli ebrei e dei cristiani è contrassegnato proprio dall’essere un Dio che parla, un Dio sempre in dialogo con l’umanità, un Dio che costantemente rivolge il suo invito: “Shema’, ascolta, ascoltate!”; non è idolo che “ha bocca ma non parla, ha orecchi ma non ascolta”. Sono gli uomini che lo accusano di silenzio, piuttosto di riconoscere di essere loro ad avere le orecchie aperte per altre parole, per altri messaggi, per altri inviti.
Neppure nel giorno dell’uccisione di Gesù, suo Figlio inviato nel mondo, Dio si è disgustato dell’umanità fino ad abbandonarla. È vero che più volte nella bibbia si parla della “collera” di Dio, ma in questo linguaggio antropomorfico si deve cogliere soprattutto il pathos di Dio: non c’è un Dio irato, cattivo, risultato della proiezione del comportamento degli uomini, bensì un Dio che ha passione, un Dio appassionato. In questo atteggiamento di Dio – presente pure in Gesù, anch’egli a volte in collera durante il suo ministero – si esprime l’amore di Dio, la sua non indifferenza al male, la sua sofferenza di fronte all’ingiustizia, la sua volontà di riparare all’ingiustizia, volontà che comunque si realizzerà nel giorno del giudizio.
Questa non indifferenza al male, propria di Dio e di Gesù, fa parte del vangelo, il quale non è solo “buona notizia”, ma anche giudizio: certo Dio non castiga qui e ora – chi commette il male si incammina lui stesso su una strada di morte: c’è una giustizia immanente che si realizza anche quando l’uomo non sa discernere – ma ci sarà un giudizio, e allora il castigo, nelle forme che solo Dio conosce, cadrà su chi ha operato il male. “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati”, dice san Paolo, ma a questa volontà ciascuno durante la propria vita può opporsi.
Sabato santo: Dio può sembrare assente, il male prevalere, il dolore senza senso, la tenebra invadente. Eppure è proprio nel sabato santo che si radica l’attesa nell’azione definitiva di Dio, è nel sabato santo che l’enigma della morte diventa mistero… Anni fa in Cina ho incontrato un vescovo di quella chiesa ufficialmente non in comunione con Roma, ma in realtà una chiesa fedele al vangelo nella persecuzione. Mi diceva: “Noi viviamo il sabato santo, ma proprio per questo siamo in attesa della Pasqua! La Pasqua verrà! Lo dica al Santo Padre, che noi amiamo: noi siamo in attesa!”.
Nei mesi scorsi Giovanni Paolo II ha osato parlare a più riprese commentando il profeta Geremia e il Salmo 76 che parlano di questo “silenzio di Dio”. Purtroppo su questo suo commento vi è stato un enorme fraintendimento, non tanto da parte di non credenti meno familiari al linguaggio forte dei profeti e del salmista, ma da parte di tanti cristiani che sono parsi apprezzare il silenzio e il disgusto di Dio: se Dio tace, è normale che l’uomo non lo ascolti; se Dio non interviene perché mai dovrei giudicare io gli eventi e cercare di esserne responsabile? Un fraintendimento non diverso da quello avvenuto quando sulla croce Gesù ha invocato il suo Dio: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Chi lo ha sentito ha detto: “Chiama Elia perché venga a liberarlo…”. Prima o poi c’è un sabato santo per ciascuno di noi. In quell’ora non dimentichiamoci queste parole: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Genesi28,16). Nell’attesa della Pasqua, impariamo ad ascoltare il silenzio del sabato santo.
Enzo Bianchi