Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Pasqua: la vita più forte della morte

17/04/2003 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2003,

Pasqua: la vita più forte della morte

L’Unità

L’Unità - 17 aprile 2003

Questa domenica è Pasqua in tutte le chiese d’occidente, domenica prossima lo sarà per quelle d’oriente. E Pasqua è la festa della vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte: una vittoria che i cristiani da quasi duemila anni celebrano nonostante tutto, in ogni situazione, anche quando sono le tenebre che sembrano prevalere.

 

D’altronde era stato così anche quel venerdì di primavera dell’anno 783 dalla fondazione di Roma: la morte aveva prevalso su quel rabbi di Galilea che parlava di vita donata per gli amici e di amore offerto, anche ai nemici, quel “profeta potente in opere e parole, davanti a Dio e a tutto il popolo”. Era stato inchiodato alla croce, fuori dalla città, espulso dalla convivenza civile, condannato dalla legge come un maledetto in mezzo a malfattori: appeso a un legno, sconfitto, deriso lui che aveva invitato gli uomini a levare gli occhi verso una liberazione vicina, una liberazione dalla fame, dalla sete, dall’ingiustizia, dalla guerra.  “Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele – diranno due suoi discepoli smarriti – con tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute…”.

 

Ma in quello stesso mattino del terzo giorno, un rapido susseguirsi di emozioni e di certezze accompagna il cammino della luce del giorno, un cammino molto più repentino nelle estreme propaggini orientali del Mediterraneo: lo stupore di alcune donne di fronte a un sepolcro vuoto, l’affannosa corsa di due discepoli, la gioia che ha paura a esplodere, la voce sempre più rinfrancata che dice l’indicibile, il cuore e la mente sconvolti che credono l’incredibile: “il Signore è risorto!”. È quanto ci narrano i vangeli e, sulla loro parola, infinite altre parole che recano la “buona notizia”; è quanto ci ha testimoniato un gruppetto di uomini e di donne e, sulla loro parola, una miriade di vite umane nutrite di quella vita; è quanto ancora oggi cantano i cristiani in ogni angolo del mondo. Lo cantano con le melodie del gregoriano e con i tropari bizantini, con le note di Haendel e con i versi di Sidney Carter: “Hanno sepolto il mio corpo e pensato che fossi finito / ma io sono la Danza e continuo a danzare / gettato a terra, io sono balzato in alto / io sono la vita che non morirà mai / vivrò in voi se voi vivete in me / io sono il Signore della Danza!”.

 

Non si tratta però di una festa a basso prezzo, di una spensieratezza irresponsabile. No, i cristiani cantano il Signore risorto nonostante tutto: nonostante ancora oggi, a duemila anni di distanza, sembra che non ci sia più posto per la speranza, che la liberazione tardi a venire, che le tenebre continuino ad avvolgere la terra, che la fame, la malattia, la guerra, la morte siano le dominanti del mondo, che altri signori trionfino, che altre potenze dispongano della vita e della morte di milioni di esseri umani. Lo cantano i cristiani dell’Iraq e di Timor Est, quelli della Siria e dell’Iran, le diverse chiese presenti in Israele e in Palestina, i cristiani del Sudan e dei paesi dei Grandi Laghi, quelli dell’Algeria e di Cuba, dell’Indonesia e del Centroamerica. Lo cantano tutti quei cristiani che, se guardassero con occhi umani alla loro situazione, dovrebbero credersi abbandonati da Dio, dimenticati, immersi nelle tenebre senza spiragli di luce. E lo celebrano anche i cristiani di quei paesi che si sentono benedetti da Dio, assistiti dalla sua benevolenza, destinatari di una missione superiore in nome del Bene.

 

Una festa qualunquista, allora? Una celebrazione che ignora le differenze e copre le ingiustizie? Oppure una parentesi di oblio che attutisce il grido dei poveri, delle vittime della storia? No, la celebrazione della Pasqua è annuncio di una “buona notizia” per tutti, ma è anche affermazione di un giudizio sul mondo e sulla storia: il giudizio di Dio che proclama la luce più forte delle tenebre, la vita più forte della morte, l’amore più forte dell’odio, il giudizio cui verranno sottoposte le azioni di tutti e di ciascuno per verificarne la conformità alla volontà di Dio manifestata in Gesù di Nazaret. Allora, ovunque dei cristiani celebrano la Pasqua risuona forte una parola che è speranza per tutti: quell’uomo crocifisso risorto non è uno dei tanti sconfitti della storia ma la primizia di tutta l’umanità, perché per ogni creatura in quel lontano mattino è iniziato un processo segreto ma reale di redenzione, di trasfigurazione. Gesù con la sua vita e la sua morte ha mostrato di avere una ragione per cui morire e, quindi, una ragione per cui vivere: morire da vittima per i fratelli, giusto e mite in un mondo di ingiusti e di violenti. Per questo Dio gli ha risposto all’alba di quel mattino, risuscitandolo da morte: Gesù ha trionfato sulla morte e con la risurrezione non ha sconfitto lapropriamorte, ma la Morte. E questa è la risposta di Dio anche per gli uomini e le donne di oggi: la morte e il male non avranno l’ultima parola, i sentieri della pace non sono vicoli ciechi, l’uomo non è destinato a essere lupo per l’uomo.

 

Sì, Pasqua è annuncio, anche contro ogni malvagia evidenza, che non vi è più alcuna situazione umana senza sbocco: la risurrezione del Signore spinge il cristiano a rendere conto della propria speranza nella salvezza universale, a pregare affrettando la venuta del Regno, ad attendere il giorno radioso in cui le lacrime di tutti i sofferenti saranno asciugate. Pasqua è anticipazione dell’autentica “apocalisse” che non è la minaccia di un terrificantebig bangfinale, ma il vero volto dell’Emmanuele, del “Dio-con-noi” che non è mai “contro” gli altri: “Dio dimorerà in mezzo agli uomini, essi saranno il suo popolo ed egli sarà il ‘Dio-con-loro’. Tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno… Ecco, io faccio nuove tutte le cose, dice il Signore” (Apocalisse21,3-5). Questa l’eterna novità della Pasqua.

 

Enzo Bianchi