24 dicembre 2002
Nessuno pare negare alla festa cristiana del Natale un significato anche umano, legato alla bontà, alla pace, alla felicità: a Natale ci si scopre tutti più buoni. Forse perché ci si scopre più fragili, più deboli, più bisognosi della bontà altrui. Sarà l’immagine di un Dio fattosi così piccolo da essere accolto solo dai piccoli e dai poveri, ma qualcosa di questo abbassamento, di questa precarietà passa anche a noi, nelle nostre fibre e nelle nostre vicende. E allora si scopre tutta la vulnerabilità delle nostre esistenze: sogniamo un mondo solidale nella pace e vediamo corse frenetiche non solo a produrre armamenti ma a usarli contro nemici in armi e civili inermi; sogniamo la serena tranquillità di un lavoro dignitoso che ci permetta di provvedere a noi e ai nostri cari e troviamo i nodi irrisolti di crisi industriali ed economiche che azzerano sicurezze per l’oggi e per il domani; sogniamo una vita libera e ricca di senso e ci ritroviamo schiavi del tempo, privi di orientamento e di significato in una frenetica rincorsa a un “di più” che ci sfugge; sogniamo una giustizia che vinca il colpevole con la forza della rettitudine e del perdono e ci ritroviamo rassegnati al sopruso, assetati di vendetta o condannati all’inimicizia.
Scoprirci così, deboli come un bambino, sconvolge sì i nostri deliri di onnipotenza, ma non cancella i “sogni”, anzi ne favorisce il loro tradursi in realtà quotidiana: se sappiamo ascoltare il battito di un cuore che si dischiude alla vita, se prestiamo orecchio al pianto che invoca cibo e affetto, se siamo attenti all’anelito di senso che abita ogni essere umano, allora possiamo anche riscoprire la grandezza e la dignità dell’umanità ferita, possiamo ritrovare la fiducia nell’altro, quella fiducia che fa crescere il neonato e che sola mantiene in vita l’adulto, possiamo recuperare il senso del nostro essere uomini, aperti all’amore che è più forte della morte, pronti ad accogliere quel Dio che si è fatto uno di noi affinché noi fossimo come Lui, affinché avessimo la vita e l’avessimo in abbondanza.
Enzo Bianchi