17 marzo 2002
Il tempo della quaresima è sempre stato vissuto, nella grande tradizione cristiana, come un tempo di ascesi, di disciplina, di lotta spirituale: sì, perché l’essere e il vivere da cristiano è un esercizio perseverante, una resistenza. Purtroppo l’idea che oggi si ha dell’essere cristiani è quella di avere una generica attitudine alla bontà, di possedere sentimenti religiosi e di nutrire una certa simpatia per il maestro spirituale Gesù Cristo. In realtà, essere cristiani è acquisire a poco a poco i contorni del discepolo e predisporre tutto per essere plasmati dallo Spirito santo in conformità alla vita stessa di Cristo, la vita concreta, umana vissuta da Gesù di Nazaret, il vero figlio di Dio e l’uomo autentico come Dio lo ha pensato e voluto con la creazione.
Per questo occorre un’ascesi, compresa innanzitutto come un discernimento e un conseguente impegno, cioè come un sapere dire con risolutezza dei “sì” e dei “no”. Dire “sì” a quello che posso essere e fare in conformità a Cristo, dire “no” alle pulsioni idolatriche egocentriche che ci alienano e contraddicono i nostri rapporti con Dio, con gli altri, con le cose, con noi stessi; rapporti che chiamati a essere contrassegnati da libertà e da amore. Questa disciplina è certamente faticosa, ma è ciò che permette ala fatica di farsi bellezza, qualità della vita autentica e della convivenza. Necessaria è, dunque, anche la resistenza, la lotta spirituale nei confronti delle pulsioni, delle suggestioni, delle ossessioni che sonnecchiano nel profondo del nostro cuore, ma che sovente si destano ed emergono con una forza, una prepotenza aggressiva che le rende per noi tentazioni seducenti.
La tradizione spirituale cristiana è ricca di questa conoscenza del profondo del cuore e ogni cristiano maturo è “cardiognostico”, conoscitore dell’abisso di ogni uomo. L’angoscia che ci abita, angoscia della morte innanzitutto, e la conseguente volontà di conservarci e vivere ci riduce a pensare di poter combattere la morte con l’autoaffermazione, con il possesso delle cose e il loro accaparramento, con la voracità e il consumo di tutto ciò che pensiamo ci aiuti a vivere. È questo il terreno in cui nascono le tentazioni e, si badi bene, nessuna tentazione ci è estranea! Qui si impone la lotta spirituale, questo combattimento sovente, ma non sempre, invisibile in cui il cristiano oppone resistenza al male e combatte per non essere vinto dalla tentazione. Purtroppo quanti conoscono oggi quest’arte della lotta spirituale, che ancora la mia generazione ha ricevuto in eredità da comuni e non rare guide spirituali? Così i cristiani si sono assuefatti semplicemente a soccombere alle tentazioni, convinti che contro di esse non ci sia nulla da fare, perché nulla hanno mai imparato al riguardo!
Ma come è possibile l’edificazione di una personalità umana e spirituale robusta senza la lotta interiore, senza questo esercizio al discernimento tra bene e male, senza questa strategia per dire dei “no” efficaci e dei “sì” convinti? Dimentichiamo forse che, come ci testimoniano i Vangeli, Gesù stesso ha lottato e non ha potuto sottrarsi a questo confronto con il tentatore? Eppure dovremmo saperlo tutti: il peccato è accovacciato alla porta del nostro cuore, verso di noi è la sua brama, ma sta a noi dominarlo (cf. Gen 4,7); anche l’apostolo nel Nuovo Testamento ci ricorda che “il peccato ci assedia”, che ci sono “dominanti che ci seducono”, che esistono “desideri che contraddicono la nostra libertà”. Sì, c’è una lotta spirituale dura, quotidiana, che richiede da parte del cristiano l’atteggiamento proprio di chi va in guerra, ma con armi spirituali. Questa lotta ha come luogo il nostro cuore, il centro della nostra vita psicologica, morale e spirituale, il luogo dell’intelligenza e della memoria, della volontà, del desiderio e di tutti gli altri sentimenti, lo spazio dell’incontro tra Dio e l’uomo, tra l’uomo e il suo simile. Ma il cuore si trova anche esposto alla malattia della sclerocardia se, a poco a poco, è reso incallito dal nostro non ascolto della parola di Dio e dal nostro acconsentire a ciò che contraddice la volontà del Signore.
Avere un cuore unificato, un cuore puro, sensibile e capace di discernimento, un cuore che custodisce e genera pensieri d’amore è lo scopo della lotta spirituale. Che arte appassionante! Prepararsi nella vigilanza alla lotta, a quella lotta che Rimbaud definiva “più dura della guerra che si fanno gli uomini”; riconoscere il sopraggiungere della pulsione, giudicarne la qualità buona o cattiva e, se cattiva, resistere ad acconsentirvi combattendo con le armi della memoria Dei, dell’invocazione del Nome santo del Signore Gesù; intraprendere, quando necessario, la fuga per non soccombere? Sì, contemplando la bontà dell’amore di Dio e degli altri, fissando lo sguardo su quella dolcezza che può sostenerci, la vittoria sulla tentazione diventerà possibile.
Enzo Bianchi