
14 dicembre 2001
Da quattordici secoli cristianesimo e islam – due religioni con vocazione universale e impegno missionario – stanno l’uno accanto all’altro come due mondi, due culture diverse anche nella loro etica, ma quando uno dei due si espande o cerca una dilatazione nello spazio dell’altro, entrambi si trovano costretti al confronto. Oggi siamo in un’epoca della storia in cui, a causa dell’immigrazione di musulmani in paesi di antica tradizione cristiana e della ripresa di una dimensione spiccatamente religiosa dell’islam, il confronto si è fatto drammatico e rischia di degenerare in quello che molti, sulla scia di una riduttiva ma accattivante analisi di Huntington, continuano a definire “scontro di civiltà”.
Fin dal suo apparire l’islam ha costituito per il cristianesimo un enigma e una sfida. Se i cristiani, infatti, leggono se stessi come destinatari della rivelazione ultima e definitiva, come è stato possibile il sorgere di una nuova religione sul tronco dell’ebraismo e del cristianesimo? E se un interrogativo analogo lo poneva il permanere del popolo e della religione ebraica, al punto che la chiesa è arrivata a concepirsi come verus Israelin sostituzione del primo, l’affermarsi al di fuori del cristianesimo di una “profezia” religiosa capace anche di enorme propulsione missionaria, rimetteva in discussione la stessa autocomprensione della chiesa e il suo concetto di “verità” con la considerazione della verità dell’altro. Sono interrogativi ai quali ancora oggi i cristiani faticano a dare risposte.
A seconda delle epoche e dei contesti, l’islam è stato interpretato come una “eresia cristiana” (una setta cristiano-ariana tra le tante: è la lettura di Giovanni Damasceno e di altri padri della chiesa), come una regressione della fede ad alcuni filoni dell’Antico Testamento, come un prodotto ibrido di commistione tra ebraismo e cristianesimo o addirittura, nell’ora drammatica dello scontro e della guerra, come l’Anticristo. Solo il patriarca siro Timoteo I di Bagdad, a cavallo tra l’VIII e il IX secolo, era riuscito a formulare una risposta non “anatemizzante”: “Maometto ha seguito la voce dei profeti”. Egli riconosceva così l’islam come una religione confessante lo stesso Dio di ebrei e cristiani, quindi una religione monoteista e anti-idolatrica, erede in qualche misura della predicazione dei profeti veterotestamentari. Comprensione audace, che non a caso attirò al patriarca forti sospetti sull’ortodossia cristiana della sua fede.
D’altro canto, va confessato chiaramente che agli occhi dell’islam il cristianesimo apparve come un fenomeno di settarismo religioso infedele al messaggio rivelato e che, se ci furono epoche di felice convivenza, queste si rivelarono di breve durata, in massima parte nel periodo iniziale del confronto e in luoghi in cui vi era una maggioranza islamica e una minoranza cristiana, che veniva quindi “protetta”. Tutto questo fa sì che nella “memoria” di entrambe le religioni ancora oggi appare attestato più il conflitto, la guerra, che non i momenti di convivenza pacifica: emblematica in questo senso lamitizzazionedi due battaglie, quella terrestre di Poitiers nel 733 e quella navale di Lepanto del 1571, lette dai cristiani come unevento simbolicodella vittoria dell’occidente cristiano sulla minaccia araba e turca.
Oggi i cristiani sono tornati a interrogarsi sul perché della presenza dell’islam e, pur non riuscendo a dare una risposta esaustiva, hanno tuttavia mutato il loro atteggiamento e il loro comportamento nei confronti di questa religione che proclama il loro stesso Dio. Né può essere dimenticato che è stata proprio la chiesa cattolica ainiziareil dialogo interreligioso nell’ora del concilio Vaticano II e che è soprattutto Giovanni Paolo II ad aver realizzato questo dialogo in forme inedite, con molta audacia e in una stagione in cui numerosi cristiani conoscono l’ostilità e la persecuzione da parte di gruppi islamici in alcune terre: da anni, in Alto Egitto patiscono l’uccisione di loro monaci e catechisti, in Sudan gli anglicani sono attaccati e perseguitati e così i cattolici in Indonesia, a Timor, in Pakistan vedono le loro chiese e le loro scuole distrutte e loro fedeli massacrati. Una stagione dunque che per i cristiani è tempo di martirio, sovente proprio a opera di musulmani che “dicono di agire in fedeltà a ciò che credono essere l’islam”, come annotava nel suo testamento fr. Christian, priore dei sette monaci rapiti e uccisi in Algeria. L’islam registra al suo interno il fenomeno del fondamentalismo e, là dove questo è presente, i cristiani soffrono violenza, intolleranza, negazione non solo della loro missionarietà ma della stessa esistenza.
Questo può forse spiegare ma non certo giustificare la paura che abita molti cristiani di paesi occidentali in cui è presente l’immigrazione islamica: vi è chi avverte un pericolo per l’identitàculturale ed etica e chi si spinge addirittura a invocare la religione cattolica come “cemento dell’unità” della nazione, dimenticando che solo in nome della “laicità” della polisè possibile esigere da tutti i cittadini il rispetto dei valori condivisi e delle leggi che li inverano nel quotidiano. Effettivamente l’attuale atteggiamento dei cattolici verso l’islam non è concorde: vi è chi lo tratteggia come “il Nemico” all’orizzonte dell’occidente, chiede di fermare l’immigrazione di fedeli di quella religione a favore di quella cristiana, meglio se cattolica, e vede nella guerra in corso una necessaria scelta dell’occidente cristiano contro l’islam; c’è poi chi, forse la maggioranza, pensa a un confronto assunto con energia, caratterizzato dal rafforzamento di una identità cristiana statica e per molti versi nostalgica della cristianità, un confronto che si nutra di rigide reciprocità (del tipo: sì alla costruzione di moschee in paesi cattolici, ma solo a condizione che ci siano anche chiese in paesi islamici); e poi ci sono alcuni, pochissimi, che, in una visione relativistica delle religioni, vorrebbero un dialogo anche al prezzo di un sincretismo che fa notizia ma che depaupera la tradizione cristiana. Ma queste vie non hanno alternative?
Invero c’è la strada indicata da Giovanni Paolo II e già percorsa da alcuni credenti. Lo sguardo del papa è realista: sa che esiste un islam che non legittima la violenza sulla base di motivazioni religiose, sa che l’integralismo violento attacca le stesse società musulmane (vedi l’Algeria) quando ritiene che queste abbiano abbandonato l’islam e siano cadute nell’empietà, sa anche che l’islam è oggi presente dove ieri erano i cristiani e sa che lo scontro non è tra religioni ma tra posizioni religiose che accettano la secolarizzazione e la laicità della polise posizioni che non l’accettano. Ma oltre a essere un realista, Giovanni Paolo II è un credente, un cristiano che non ha paura dell’islam e, con l’audacia che gli è abituale, ha parlato di “vicinanza, fraternità, stima, rispetto” e addirittura di “comunione” con i credenti musulmani. Ma le “innovazioni” del papa non si limitano al vocabolario: è soprattutto nei gesti che questa convinzione profonda si manifesta: si pensi allapreghiera nella moscheadi Damasco, evento inedito, mai registrato nella storia, evento ritenuto impensabile anche dagli esperti del dialogo interreligioso! Sì, il papa non segue nessuna logica di reciprocità, non vuole neanche muoversi in simmetria con gli atteggiamenti dell’islam e, a costo di contraddire quanti nella chiesa temono derive relativiste, ha indetto l’odierna giornata di digiuno e l’incontro di preghiera del 24 gennaio prossimo ad Assisi.
Giornata di digiuno, quella di oggi, che cade nell’ultimo giorno di ramadan, mese di digiuno e di preghiera per tutto l’islam. Giovanni Paolo II vuole manifestare che la chiesa ha stima dei credenti musulmani, della loro preghiera e della loro vita di fede, riconosce che l’islam, pur non condividendo la verità cristiana, rappresenta una lotta anti-idolatrica per la fede nel Dio unico e vivente. Ma, nello stesso tempo, il papa vuole riaffermare che i cristiani non sono nutriti “della cultura del nulla” e che sanno anche digiunare. Non c’è da aver paura, perché nel confronto tra le religioni può solo emergere una più grande verità e importanti benefici per la convivenza degli uomini. Il digiuno di oggi – rinuncia alla voracità, interrogativo su cosa in verità alimenta la nostra vita, silenziosa contestazione dell’accumulo e del consumismo, esperienza condivisa da uomini e donne non solo credenti ma anche di altre appartenenze – è anche segno di vicinanza e di affettuosa condivisione con l’islam. Non sono eloquenti i ringraziamenti venuti da molte autorità religiose islamiche per questo gesto di riconoscimento e di solidarietà?
L’iniziativa del 24 gennaio ad Assisi è poi una preghiera corale, non comune ma simultanea, una preghiera per la pace che non lascia posto ad alcun sincretismo. Quanti converranno ad Assisi mostreranno che pregando Dio – gli uni accanto agli altri, gli uni nello stesso momento degli altri – confessano tutti un Dio che non si lascia accaparrare e che non motiva nessuna violenza perpetrata in nome suo. Mai più “Gott mitt uns”, mai più un Dio-con-noi strumentalizzato dalle religioni, mai più il volto di un Dio perverso.
Giovanni Paolo II ha ricordato che esiste “un islam autentico, un islam che prega, che si occupa dei bisognosi”: con questo islam la chiesa cattolica vuole dimorare nella pace e con esso tentare e ritentare un servizio all’umanità. Nessuna paura: chi tra i cristiani vuole l’islam come “nemico” in realtà mostra poca fede in Gesù Cristo e nel vangelo e pensa che la chiesa abbia bisogno di un confronto aggressivo e di confini ben difesi per garantirsi futuro ed espansione. Proprio perché crede nella forza del vangelo sine glossa, Giovanni Paolo II ha potuto giungere – nel messaggio per la Giornata mondiale della pace, pubblicato nei giorni scorsi – a formulare in modo teologico innovativoche la pace è sì opera della giustizia, ma che “non c’è giustizia senza perdono”, concepito non solo come virtù privata ma come istanza collettiva espressa in “atteggiamenti sociali e istituti giuridici”. E il perdono cristiano è sempre gratuito, non chiede reciprocità ma, proprio per questo, inocula forze e diastasi di pace e di qualità di convivenza umana.
Enzo Bianchi