La Repubblica - 16 dicembre 2020
di Enzo Bianchi
La particolare contingenza storica che stiamo vivendo ci consegna, se non altro, la possibilità di avere più tempo a disposizione. Quando non è invasa dal lavoro a distanza, la nostra giornata, trascorsa in relativo isolamento, può offrirci più tempo per leggere, meditare, pensare. Non è un caso che questa maggiore disponibilità di tempo sia stata colta al balzo da alcune piattaforme di streaming, che hanno potenziato l’offerta di serie tv, "narrazione" visiva.
Quest’ultimo processo, che ha intensificato una dinamica già presente da tempo, va di pari passo con l’uso onnipervasivo dei verbi "raccontare, narrare". Nella cultura contemporanea e anche nei semplici processi sociali quotidiani ormai quasi tutto è "narrazione". Abbiamo però forse dimenticato che le radici di questo diffuso modo di cogliere la realtà stanno nella narrativa letteraria. Ancor più precisamente, in quella forma breve che si è soliti definire "racconto". Ecco allora sorgere spontanea una semplice domanda: siamo ancora capaci di fermarci per dedicare tempo alla lettura di un racconto, forma narrativa breve che racchiude in poche pagine autentici "mondi" e dunque ci offre la possibilità di leggere altrimenti la nostra vita?
In questo itinerario di umanizzazione ci viene in aiuto Racconti spirituali (Einaudi), raccolta antologica curata da Armando Buonaiuto, da alcuni anni responsabile del festival Torino Spiritualità. Vengono suddivisi in nove capitoli diciotto racconti di autori moderni e contemporanei: si va da Wilhelm Heinrich Wackenroder (1773-1798), a un autore e due autrici viventi – Federigo De Benedetti, Chandra Livia Candiani e Olga Tokarczuk –, passando per nomi celebri come Guy de Maupassant, Rainer Maria Rilke, Natalia Ginzburg e altri.
Qual è il criterio di scelta di questi testi? Il curatore lo precisa subito, con chiarezza: la volontà di «condividere con altri lettori l’effetto che, negli anni, alcune pagine di letteratura hanno avuto su di me, orientando con fosforescenze improvvise e robusti scossoni la mia ricerca interiore». Animato da questo intento di fondo, Buonaiuto conclude ogni capitolo con brevi commenti nei quali cerca di esprimere e rendere ragione della tensione spirituale che affiora nelle pagine dei racconti scelti. Aprendo il libro, incontriamo a mo’ di prefazione un intenso scritto dell’amica Gabriella Caramore, già curatrice e conduttrice della fortunata trasmissione radiofonica Uomini e profeti . Partendo da un celeberrimo racconto della tradizione chassidica su come "raccontare la storia" possa avere la stessa efficacia del vivere ciò che in essa è contenuto, Caramore si chiede se nelle attuali contingenze socio-culturali la forma letteraria del racconto possa ancora sopravvivere. Attraverso raffinati ragionamenti giunge alla conclusione che «l’attività del narrare – anche se condizionata dalla tecnica, dalla scienza, dalla elaborazione tecnologica – è inimmaginabile che possa esaurirsi fino a che esiste qualcosa che può chiamarsi avventura dell’umano sulla terra».
Di seguito riflette sull’aggettivo presente nel titolo: "spirituale". Anch’io, come lei, ho a lungo avversato l’uso della parola "spirituale": mi è sempre sembrata vaga, esposta al rischio di accogliere nel suo campo semantico tutto e niente, dunque foriera di mistificazioni. Per quanto possibile, nella mia produzione ho cercato di sostituirla con l’espressione "dello/nello Spirito", intendendo così l’esperienza radicata nel dialogo con il Signore. È la ruach , il Soffio del Signore, la forza che, nella narrazione biblica, imprime vita a tutto l’universo. Proprio nello stesso "Spirito di Dio" che nell’in- principio «aleggiava sulle acque» ( Genesi 1,2) possiamo meditare e interpretare la Bibbia, Grande Codice della letteratura occidentale e, insieme, traccia scritta che ci consente di riandare a esperienze fondanti per le esistenze di tutti gli uomini, nella loro diversità.
Non dimentichiamo che il nome "Bibbia" è un plurale, "i libri" ( tà biblía ): i libri per eccellenza, certo, ma anche la raccolta di racconti ispirati dallo Spirito, di narrazioni che, trascritte e accorpate, hanno prodotto lunghi racconti.
Fatte le debite proporzioni, anche questi racconti "spirituali" recano in sé traccia dello spirito umano in dialogo con lo Spirito, cioè con una dimensione altra, eccedente la nostra persona e capace di
immetterci in un orizzonte più ampio, universale. «È così», conclude Caramore, «che i racconti "spirituali" svelano pieghe nascoste dei viventi, rompono muri di ghiaccio, e conservano una qualche efficacia. Quella stessa efficacia che, biblicamente, appartiene alla Parola del Signore, e che deve eppur appartenere anche all’umano».
È ciò che scrive, tra le righe, Jorge Luis Borges, nel suo Il Vangelo secondo Marco . Il protagonista, un indolente intellettuale recatosi per qualche giorno di vacanza nella pampa, legge a una famiglia di analfabeti il testo evangelico.
«Lo stupì il fatto che lo ascoltassero con attenzione e poi con un muto interesse... Gli venne in mente che nel corso del tempo gli uomini hanno sempre ripetuto due storie: quella di un’imbarcazione sperduta alla ricerca di un’isola amata nei mari mediterranei, e quella di un dio che si fa crocifiggere sul Golgota... I Gutre divoravano la carne arrosto e le sardine per non far aspettare il Vangelo ». In questo racconto molto semplice avevano colto tracce di un umano così radicalmente divino, al punto da affrettarsi a essere disponibili, per non perderne neppure una sillaba.
È un’esperienza che ci può essere data di fare alla lettura di questi e altri racconti intrisi di Spirito e di spirito. Sì, perché «un libro dev’essere una piccozza per rompere il mare di ghiaccio che è dentro di noi» (Franz Kafka). E Dio solo sa quanto ne abbiamo umanamente bisogno.