La Repubblica - 01 febbraio 2021
di Enzo Bianchi
A un anno dall’inizio della devastante pandemia, prendiamo sempre più coscienza che il Covid è molto più di un’epidemia, perché i suoi effetti sulla vita personale e sociale si accrescono man mano che passa il tempo, un tempo che pare illimitato. La domanda costante in noi e tra di noi è: fino a quando?
Siamo avvertiti sui mutamenti del nostro comportamento, sui nuovi assetti che si stanno delineando, segnati da fine e distruzione di legami, storie, equilibri che davano senso al nostro quotidiano. Dai dati forniti da diversi e qualificati osservatori la famiglia risulta essere la realtà più ferita: le separazioni sono infatti aumentate del 60%, con stima per difetto. La vita comune in condizioni di “clausura” e di numerose limitazioni diviene faticosa, conflittuale, in particolare tra coniugi, uomini e donne impegnati in storie di amore. Si giunge alla non comprensione reciproca, a una tensione non parlata, quando non esplicitamente ad atteggiamenti verbali e fisici di violenza. Ecco allora la separazione come via inevitabile per non permettere che una vita all’insegna dell’amore si trasformi in vita infernale.
A partire da questi dati mi sento di rilevare quanto segue: nella nostra società, che da qualche decennio è sempre più individualista e segnata da tratti di narcisismo, non c’è più “pazienza”, l’alta virtù che consente di vivere accettando la diversità, l’alterità, la complessità. Pazienza come makrothymìa, capacità di sentire in grande e di sopportare le debolezze altrui. Il conflitto non pare neanche più gestibile e viene inteso solo come via che conduce alla separazione e alla rottura, esiti accompagnati da sofferenza, confusione e disordine sociale.
Ma oltre alle famiglie soffrono per la “clausura” anche i single, trascinati in una noia, in un’accidia spesso riempita con il conforto dell’alcol. Il non poter uscire di casa e il non poter incontrarsi di persona induce al consumo di alcol nella desolante solitudine dei propri appartamenti. Contatti ed empatia sono decisivi nella lotta contro questa deriva, e invece, purtroppo, quanti tentano di uscirne vedono crescere le loro difficoltà a incontrarsi e a essere supportati in un cammino già difficile.
Ma si pensi anche a quanti, per mancanza di spazio nelle loro case, restano ore e ore davanti allo schermo di un computer, non solo per il lavoro da remoto ma anche per la fruizione di altri contenuti, spesso stesi su un letto o su un divano. Il movimento diventa più difficile, il corpo si impigrisce e i social assorbono quel tempo che potrebbe essere dedicato a pensare, stare in silenzio o tentare, per quanto possibile, una relazione con la natura. E potremmo continuare riflettendo sul malessere degli adolescenti…
In breve, quasi tutti, pur con modalità diverse, in questo tempo soffrono, senza intravedere orizzonti di speranza, e tutti sono messi alla prova nella loro qualità umana. Lo testimonia la crescita della cattiveria e della violenza, che si esprime anche nella piaga dei femminicidi. Di fronte a ciò sorge spontanea una domanda: perché nei media vi è così tanto spazio per la pandemia, ma così poca riflessione sui suoi effetti sociali?