Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Il cuore dell’uomo…

08/02/2021 00:00

ENZO BIANCHI

Conferenze 2021,

Il cuore dell’uomo…

ENZO BIANCHI

di Enzo Bianchi

Il cuore dell’uomo è complicato e malato;

chi può conoscerlo? (Ger 17,9).

 

Il profeta Geremia riconosce che il cuore dell’uomo è complicato e malato, ma non dice che è sempre segnato dal peccato. Questo essere complicato e malato può dipendere non sempre dal peccato personale, ma dalle conseguenze del peccato, dalla trasmissione del peccato stesso. Complicazione e malattia precedono la nostra venuta al mondo, possono essere presenti nelle generazioni precedenti, determinano il desiderio e la parola che hanno circondato la nostra esistenza anche prima della nascita. Se si giudicano complicazione e malattia come conseguenze del peccato, questo significa che sappiamo distinguere tra il peccato che implica la nostra responsabilità personale diretta e le conseguenze del peccato imputabile ad altri.

 

Geremia ci invita così a riconoscere che nei comportamenti complicati, incomprensibili o riprovevoli non c’è solo il peccato. Le teorie dell’inconscio lo confermano, ma già la rivelazione biblica afferma che c’è nell’uomo dell’involontario, un involontario che fa soffrire gli altri o il soggetto stesso. Il male commesso non sempre è volontario: resta male, fa soffrire, ma non sempre è imputabile al soggetto, non sempre dipende dalla sua responsabilità. Complessità e malattia non sono necessariamente dell’ordine del peccato! D’altra parte, complessità e malattia non scusano né giustificano tutto, così come non inscrivono tutti i comportamenti nello spazio dell’involontario. Ma – lo ripeto – peccato e responsabilità non si applicano a tutta la nostra esistenza. Occorre dunque fare discernimento e riconoscere ciò che deriva da un registro e ciò che deriva dall’altro, perché ignorare l’uno o l’altro è irrispettoso della dignità umana.

 

La verità è che tutti pensano che il cuore complicato e malato sia quello degli altri, non il proprio. Qui occorre dire una parola sulla vita comune, nella quale facilmente avviene la confusione tra i due registri. Un tempo si diceva che una persona era caratteriale; oggi invece si applicano facilmente etichette che dovrebbero derivare da una diagnosi medica, mentre non dovrebbero essere utilizzate da chi non è medico: con quale diritto ci si arroga la pretesa di fornire una tale diagnosi? C’è un abuso del vocabolario psichiatrico, soprattutto in comunità: nel registro somatico (“Quello ha un cancro, si è perduto…”) e in quello psicologico, sul quale invece si è presuntuosi. Questa è una grave perturbazione della parola in comunità!

 

In realtà secondo Geremia “ogni cuore umano è complicato e malato”, dunque il cuore di ciascuno: complessità e malattia nelle quali si innesta il peccato, che è responsabilità personale e volontaria. Ma il giudizio spetta solo al Signore, perché lui solo conosce il cuore:

 

… Chi può conoscerlo? Io, il Signore, che penetro il cuore e scruto i reni, per dare a ciascuno secondo i suoi atti e secondo i frutti che porta (Ger 17,9-10).

 

Ora, malgrado il cuore complicato e malato, possono esserci dei frutti! Non tutto è male, una persona non è completamente negativa… L’arte della vita spirituale consiste anche nel fare della debolezza una forza (cf. 2Cor 12,9), nel registro somatico come in quello psichico.

 

Chi è ferito è più vulnerabile.

Chi non è ferito non è vulnerabile.

Chi non manca di nulla, non apporta nulla.

 

La carità di Dio non sa posarsi su chi non ha piaghe.

 

Gesù è venuto per i malati, non per i sani (cf. Mc 2,17 e par.).

I giusti sono refrattari alla grazia.

 

In ogni caso, in comunità si faccia attenzione a giudicare l’altro: nessuno è completamente malato e per tutti è possibile la realizzazione. Nessuno sguardo paralizzante che impedisca all’altro di vedere ciò che come frutto di bene abita il suo cuore. Nonostante complicazione e malattia ci possono essere frutti; malgrado angoscia e fragilità a volte c’è la fedeltà, la perseveranza fino alla vecchiaia. Ci accorgiamo di questo valore della perseveranza? Alcuni, più sani e meno complicati, se ne sono andati rompendo l’alleanza e ci hanno abbandonati. Altri, invece, malgrado dubbi e stanchezze spirituali, sono presenti alla preghiera comune. Malgrado difficoltà nel comunicare e confusioni nel parlare, sono attenti a qualcuno in comunità e a volte capaci di segni di affetto. Malgrado le loro crisi nervose, i loro abissi di angoscia, le loro liti con i fratelli e le sorelle, sono ancora là.

 

Attenzione dunque nella vita fraterna. Noi sappiamo vedere l’altro in verità solo quando se n’è andato, e allora misuriamo il vuoto lasciato e come era utile. Lasciamo a Dio di giudicare, e noi sopportiamoci a vicenda (cf. Ef 4,2; Col 3,3): ce n’è d’avanzo!