La Repubblica - 08 febbraio 2021
di Enzo Bianchi
Papa Francesco continua a scuotere la chiesa italiana di cui non solo è Papa, ma anche primate con diretta presenza primaziale sul suo corpo episcopale. Sono per lui gli ultimi anni di esercizio del ministero petrino ed è il momento in cui si decide il suo rapporto con i vescovi italiani e dunque con la chiesa nel nostro paese.
Nel pubblicare l’Evangelii gaudium (2013) chiedeva con forza che la sua esortazione fosse attuata quasi come programma di conversione della chiesa. Poi nel convegno nazionale di Firenze del 2015 insisteva sull’urgenza di instaurare uno stile sinodale, unica via per coinvolgere il popolo di Dio in un cammino fatto insieme, al fine di dare un nuovo volto a una chiesa stanca, paralizzata, poco creativa e sempre più “esculturata” rispetto al paese in cui vive. Sì, il vero dramma riguarda la fede cristiana, la sua autenticità, la sua trasmissione, la sua capacità di essere significativa per gli uomini e le donne di oggi.
Quel richiamo non ha ricevuto un’opposizione esplicita, ma di fronte a esso si è continuato a far finta di nulla, lasciando che le parole del Papa e i pochi entusiasmi da esse suscitati cadessero nel dimenticatoio. Il Papa non chiedeva la cosa più facile, ossia un sinodo come convegno, celebrazione di un evento ecclesiale nazionale, riflessione da parte dei “quadri” della chiesa sulla sua situazione e sul suo futuro. “Ma cosa vuole da noi?”, è stata la reazione di numerosi vescovi: domanda posta senza stizza, ma segno di una richiesta non compresa.
Papa Francesco, uomo e cristiano “testardo”, il 30 gennaio scorso, nell’ambito di un discorso ai rappresentanti dei catechisti italiani, dopo una focalizzazione su Gesù Cristo quale centro della fede, ha rinnovato l’invito a considerare il Vaticano II come voce autentica della chiesa di oggi e ha richiesto “alla chiesa italiana di tornare al convegno di Firenze, per incominciare un processo di sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi … Adesso è il momento. Bisogna incominciare a camminare”.
Il Papa non parla di un convegno nazionale ma chiede di dare inizio al processo di sinodalità, dalle comunità più piccole alle chiese locali, dal basso verso l’alto; nel contempo, un itinerario promosso dall’alto, dall’autorità episcopale in direzione del popolo di Dio. Sinodalità come camminare insieme di tutti i battezzati, in base al tradizionale principio cattolico “Ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere trattato e deliberato”. Sinodalità come cammino di quanti compongono una piramide rovesciata, secondo l’immagine di Francesco: in alto il popolo di Dio e in basso, a suo servizio, vescovi e Papa. Processo cellulare, processo di ogni comunità parrocchiale e religiosa, processo di ogni chiesa locale, processo della chiesa italiana.
Non so se tale processo si attuerà, ma si dovrà in ogni caso dire che Papa Francesco come una profeta lo ha chiesto, non ha taciuto, accettando il rischio di non essere ascoltato, lui che si è posto in ascolto di ciò che lo Spirito dice alla chiesa. I temi posti sono importanti, ma più decisivo è il processo di sinodalità da mettere in moto. Per ora, però, pochi lo vogliono e la maggior parte non sa e non vuole sapere cosa sia!