La Repubblica - 15 febbraio 2021
di Enzo Bianchi
Noi assistiamo ogni giorno all’imporsi di una parola che appare contradditoria: smentisce sé stessa! Ciò che una persona dice e promette è sconfessato dalla persona stessa poco dopo. Ed è inutile denunciare questa incoerenza, questo omicidio di una parola da parte di un’altra parola, perché o c’è poca memoria o non si da peso alla lealtà e alla verità di ciò che si è detto. E se la parola non è più affidabile, in cosa noi uomini possiamo mettere fiducia? Sovente sono costretto a mormorare dentro di me dopo aver ascoltato: “non è possibile, non è possibile”. Affermare oggi il contrario di quello che si è detto ieri! Accade in politica innanzitutto ma poi c’è una ricaduta nella vita di tutti i giorni, dove regna ciò che deve essere chiamato menzogna, falsità, mancanza di un’etica della parola.
E’ dalla parola data con chiarezza e lealtà che impariamo la fiducia tra noi umani, ma se questo non è più possibile allora c’è posto solo al pensare a sé stessi e al lasciar crescere il rancore per il dominio della parola falsa, come dice il salmo: “Non c’è più chi è fedele. Tra gli uomini è scomparsa la lealtà. L’uno all’altro dicono menzogne, labbra adulatrici parlano con cuore sdoppiato”.
Quando manca di verità e di libertà, la parola crea corruzione e morte nei rapporti interpersonali. Tutti conosciamo questa triste deriva per esperienza: nelle storie d’amore, in famiglia, nei rapporti di lavoro e nella vita sociale. Se non si è sinceri gli uni verso gli altri, i rapporti degenerano e finiscono. Accanto alla parola contraddetta sta sempre anche la maldicenza: questa tentazione viene dal desiderio che gli altri parlino bene di noi, dalla pulsione ad abbassare gli altri per innalzare noi stessi. Proporzionalmente all’egocentrismo, cresce l’esercizio della maldicenza. Se gli altri sono apprezzati, l’egocentrico tenta di eliminarli, di sminuire i riconoscimenti loro manifestati, insinuando maldicenze.
Queste giungono poco a poco fino alla calunnia, la falsa imputazione del male a un altro. “Calunniate, calunniate: qualcosa resterà!”… Il malato di narcisismo, spinto dall’invidia, passa dalla maldicenza alla calunnia, fino a pervertire la realtà: il bene compiuto dall’altro è da lui giudicato come male. Questo per affermare il proprio potere ed escludere qualsiasi concorrenza.
Non si pensi che la calunnia sia limitata alle circostanze in cui produce conseguenze legali, ma va riconosciuta nella banalità della menzogna quotidiana: pettegolezzi, mormorazioni, diffamazione… E quando la menzogna si diffonde – soprattutto oggi attraverso i media –, non solo la fiducia è ferita, ma si affermano la diffidenza, la paura, la ricerca dell’immunitas che sconfigge ogni vita comune.
Ma un altro responsabile della maldicenza è chi la ascolta! Prestare orecchio alla maldicenza, accogliere diffamazioni non è atteggiamento passivo. Alla maldicenza occorre resistere, mostrando indisponibilità ad accoglierla. C’è infatti nel silenzio di chi ascolta la calunnia il rischio dell’approvazione. Occorre invece reagire, dare segno di disapprovazione, per mettere un argine e suscitare l’interrogativo circa la responsabilità della parola. La disciplina della parola va esercitata da chi parla e da chi ascolta.