La RepuLbblica - 22 febbraio 2021
di Enzo Bianchi
Un tempo la quaresima giungeva destando in molti sentimenti di stizza, a volte di noia, altre di rigetto. Per pochi era un “tempo favorevole”, accolto non per “fare” qualche particolare opera ma per cercare e ritrovare la verità del proprio essere. Chi viveva la quaresima come digiuno, mortificazione ascetica, occasione per “fare la carità”, non faceva cose cattive ma cose che – per dirla con Gesù – possono compiere anche quei “religiosi”, sempre presenti in ogni comunità umana, che cercano anzitutto una ricompensa e non conoscono né l’arte della gratuità né quella dell’autenticità profonda del cuore.
La quaresima potrebbe invece essere un tempo in cui tutti, credenti o non credenti, possiamo compiere un discernimento e rafforzare la capacità di dire dei “sì” e dei “no” convinti, scaturiti dalla nostra coscienza e dal progetto di convivenza umana che portiamo nel cuore, disegno che richiede una realizzazione insieme agli altri nella storia, senza esenzioni. Tanto più che questa è la seconda quaresima che viviamo nella pandemia, abbattutasi inaspettata e improvvisa su di noi. Mi ha veramente impressionato attraversare il giorno di carnevale due città del Piemonte: non c’erano coriandoli, né maschere, nessun segno di festa: quaresima per tutti!
In tale situazione mi sembra di poter dire che molti elementi della quaresima sono richiesti a tutti, uomini e donne, giovani e anziani, ricchi e poveri: tutti chiamati all’ascolto, alla cura degli altri, alla compassione. Ma la pandemia non è certo vissuta da tutti alla stessa maniera. Siamo sulla stessa barca? No, su barche diverse! Dobbiamo riconoscere che per tutti essa comporta limiti, rinunce, assunzione di responsabilità che limitano le nostre libertà. Resta però vero che alcuni, colpiti dal Covid, vanno soli e abbandonati verso la morte, mentre altri possono contare su un’assistenza che li salva: lo constatiamo tutti i giorni!
Tuttavia la pandemia, come altre volte nella storia, ci obbliga a un’esperienza comune segnata da sofferenza, clausura, quarantena, rinunce. Abbiamo assistito, per esempio, a rivolte per la mancata riapertura delle piste da sci sulle nostre montagne. Eppure questa è solo una rinuncia a un divertimento, non a un bene che, se manca, minaccia la nostra vita. Si tratta di rimandare a domani qualcosa a cui si rinuncia oggi per acquistare la salute, per vincere il devastatore, per poter al più presto ricominciare a vivere in pienezza relazioni e incontri. Del resto, nelle nostre esistenze quotidiane la rinuncia a volte è necessaria non perché ci mortifica o ci “contiene” ma perché la presenza dell’altro significa un limite reale per noi.
Certo, alcune limitazioni sono davvero pesanti e causano lo scatenarsi di pulsioni e violenze che non sapevamo ci abitassero. Anche qui si tratta però di imparare a conoscere sé stessi, a lavorare su di sé, a esercitarsi in atteggiamenti che causino relazione, rispetto, amore, e non provochino, al contrario, inimicizia, cattiveria, rigetto e violenza.
Questa la quaresima per tutti, quaranta giorni all’anno per vigilare su chi siamo e su cosa siamo diventati nel tempo. Theodor Adorno ci aveva avvertiti: anche la ragione può diventare folle se non sa interrogarsi sul cammino percorso e sui giorni che si vivono, se non aiuta a radunare le energie per prevenire e reagire.