Vita Pastorale - Marzo 2021
di Enzo Bianchi
Nel 1976 la chiesa italiana, con il convegno di Roma, inaugurò una nuova stagione ecclesiale per il nostro paese: quella di una programmazione pastorale evangelizzatrice che, soprattutto nei convegni decennali, avrebbe dato indicazioni e offerto approfondimenti molto utili. Si declinò soprattutto il tema dell’evangelizzazione, di cui si sentiva il primato tra le diverse urgenze, articolandolo in una riflessione sui vari sacramenti, sugli atteggiamenti dei cristiani del mondo, sul dialogo e il confronto con una società in rapidissimo mutamento.
In realtà già nel 1973 il cardinale Michele Pellegrino, monsignor Luigi Bettazzi e altri vescovi, interrogandosi sulla via italiana di realizzazione del concilio, avevano ipotizzato un sinodo nazionale sul modello di quelli celebrati, in modo molto seguito dai mass media, in Olanda in altri paesi cattolici. Ma a Paolo VI questa proposta non piacque, perciò si ripiegò sull’idea di un sinodo regionale piemontese, sempre sostenuta dal cardinale Pellegrino, ma anche questa cadde presto nell’oblio. La chiesa italiana scelse dunque l’altra via, quella dei convegni ecclesiali, tra i quali restano significativi quelli di Loreto (1985) e il recente tenutosi a Firenze (2015).
Quest’ultimo è risultato un evento carico di profezia grazie all’intervento di papa Francesco che, sulla filigrana della sua esortazione Evangelii gaudium, vera e propria magna charta, ha indicato un nuovo modo di collocarsi da parte della chiesa nella vita del mondo di oggi, un umanesimo che contrasti il movimento di “esculturazione” a cui il cristianesimo è soggetto nell’attuale società, una presenza profetica attenta agli ultimi, ai poveri e ai piangenti che tanto faticano nel duro mestiere di vivere.
Papa Francesco nel suo intervento di Firenze, chiedendo di approfondire e realizzare l’Evangelii gaudium, aveva proposto una modalità urgente: quella di innescare un processo di sinodalità, di camminare insieme da parte di tutti nella chiesa, una “sinodalità dal basso verso l’alto”, cioè un processo che a partire dal popolo di Dio si dilata e coinvolge anche i pastori; nel contempo, anche una “sinodalità dall’alto verso il basso”, ossia uno stimolare, indicare, sostenere e favorire un camminare insieme dei pastori con i cristiani quotidiani, con i fedeli delle nostre semplici e povere parrocchie, gli umili luoghi che conservano il Vangelo e la memoria di Gesù Cristo.
Lo sappiamo però bene: non si è manifestata nessuna aperta volontà di ostacolare questa forte richiesta papale, nessuna opposizione a questo progetto, ma in questi anni, più di prima, è prevalsa l’attitudine a una certa stanchezza, a una ritrosia a cambiamenti tante volte iniziati nei decenni passati ma rimasti sterili. Dobbiamo dunque avere il coraggio di porci una domanda: la gente vuole un sinodo italiano? I cristiani delle nostre parrocchie sanno che cos’è la sinodalità? Desiderano veramente una soggettività che significa impegno e responsabilità? La mia esperienza è quella della sinodalità nelle comunità di vita monastica, e devo confessare che ho lavorato anni per instaurarla, ottenendo però pochi risultati e riscontrando una preferenza dei soggetti a lasciarsi guidare, a lasciare il comando (certamente buono se attuato con intelligenza e misericordia) alle autorità deputate. Alcune volte le persone rinunciano volentieri a intervenire, a prendere la parola e addirittura a eleggere le necessarie autorità.
Ma ora papa Francesco, parlando il 30 gennaio scorso ai rappresentanti dei catechisti italiani, dopo un lungo excursus sulla necessità di focalizzare Gesù Cristo quale cuore della catechesi, e dopo aver ricordato l’autorevolezza del Vaticano II per tutti i cattolici, ha detto: “Dopo cinque anni, la chiesa italiana deve tornare al convegno di Firenze, e deve incominciare un processo di sinodo nazionale, comunità per comunità, diocesi per diocesi: anche questo processo sarà una catechesi. Nel convegno di Firenze c’è proprio l’intuizione della strada da fare in questo sinodo. Adesso, riprenderlo: è il momento. E incominciare a camminare”.
Queste parole hanno sorpreso e scosso, anche perché più volte in questi anni ho sentito risuonare la domanda: “Ma il papa vuole davvero un sinodo italiano?”. Non che Francesco non sia stato chiaro ma, occorre dirlo, in questi anni solo la Civiltà cattolica e pochissimi vescovi sembravano aver raccolto la proposta. Ma allora, cosa fare adesso? Il processo sinodale indicato da papa Francesco non significa infatti rivitalizzare i vari organismi parrocchiali, i consigli presbiterali e pastorali, i consultori e le varie commissioni, ma indica un cammino più radicale: si deve cominciare dall’ascolto reciproco nelle piccole comunità parrocchiali, dall’accogliere la voce di quanti stanno ai margini e non hanno mai parlato, permettendo loro di dire e di dirsi senza paura.
L’argomento principale sarà la fede, in cosa e in e in chi si crede, e come si vive l’adesione a Cristo, unico Salvatore delle nostre vite. Le comunità religiose, che dovrebbero avere qualche strumento di sinodalità in più, sono chiamate a mostrare come “insieme” giovani e vecchi, forti e deboli, vivono la koinonia, il segno evangelico per eccellenza tra quelli leggibili dal mondo. Certo, ci sono i grandi temi – la presenza delle donne nella chiesa, la difficoltà a coinvolgere i giovani, la riforma della liturgia –, ma non si dimentichi che sinodalità significa in radice urgenza e richiesta di fare le cose insieme, secondo l’adagio cattolico medioevale: “Ciò che riguarda tutti, da tutti deve essere discusso e deciso”.
Solo se, guardando la chiesa, la vedremo come piramide capovolta, con il papa e vescovi in basso a servizio di tutto il popolo di Dio, cominceremo a capire come si esercita la difficile e faticosa sinodalità. E guai se questo percorso sinodale in Italia si riempisse subito di ansie politiche: in tal caso si ridurrebbe a un processo di presenza senza sale dei cristiani nel mondo, di pretesi evangelizzatori non evangelizzati. Il processo sinodale richiede invece lettura della realtà, ascolto della Parola, confronto e dialogo, discernimento, scambio con la cultura, coinvolgimento e prossimità con la “carne” di chi è sofferente, emarginato, condannato e peccatore, che in Cristo può vedere la propria vita salvata.
Luigi Accattoli, un laico cattolico convinto della mia generazione, in reazione all’annuncio del sinodo ha scritto: “Sono del parere che il sinodo d’Italia si dovrebbe fare ma sono quasi sicuro che non si farà sotto questo pontificato. La nostra comunità ecclesiale è ricca di vita … ma è debole di parola ad extra e debolissima nel prendere decisioni sulla propria vita interna”. Su questo sospendo il giudizio, ma una cosa è certa: papa Francesco vuole la conversione, ma molti questa parola neppure la comprendono.