Che modi e humour aveva quel cardinale (da professore di Oxford)
Fede, donne, mass media in un epistolario di Martini
La Stampa - Tuttolibri - 05 giugno 2021
di Enzo Bianchi
“Mi scusi, Eccellenza, della franchezza con cui le scrivo”. Così si rivolgeva Silvia Giacomoni all’arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini nella prima lettera a lui indirizzata. Lettera dal tono duro nella quale Giacomoni rimprovera a Martini, che aveva proposto uno stipendio alle casalinghe, di parlare di ciò che in realtà ignora: “Conoscendo non solo il potere della Chiesa, ma la sua personale autorevolezza, mi sento veramente preoccupata”. Questa lettera, di cui non ebbe mai risposta, sarebbe stata la prima di un vero e proprio carteggio tra la giornalista di La Repubblica e il Cardinale di Milano. Più di cento lettere (dal febbraio 1982 al marzo 2012) che ora sono pubblicate in Diavolo di un Cardinale, lettere (1982-2012), Bompiani 2021.
Come in ogni epistolario anche in questo si trova la storia tra due persone che inizialmente si frequentano per ragioni professionali ma che il tempo e l‘assiduità unirà in una conoscenza che va oltre. Iniziano a scriversi con i titoli “Eccellenza”, “Gent.ma Sig.ra Silvia Giacomoni” e finiscono con “Caro padre Martini”, “Carissima Silvia”. Per Martini è una “comunione di cammino”, mentre Giacomoni non esita a confidargli che “in questi dieci anni mi sono abituata a considerarla un amico”.
La corrispondenza tra Giacomoni e Martini è la compiuta e invitante immagine dell’interesse che il vescovo di Milano suscitò nel mondo laico e agnostico milanese, italiano e internazionale. Questo cardinale che per Giacomoni “non aveva niente del prete, i modi e lo humor erano quelli di un professore di Oxford”, gli confida: “Chissà se riuscirò a entrare nello spirito di una Milano laica senza rinnegare le mie radici?”. La risposta gliela darà suo marito Giorgio Bocca, che quando ebbe modo di conoscere Martini le confessò: “E’ più laico di me!”. In una nota Giacomoni riporta la confidenza fattagli da un prete di Milano sul magistero di Martini: “Purtroppo il suo approccio col moderno che fa respirare noi mette poi in crisi l’ambrosianeità”.
Queste lettere raccontano la tenacia di una donna non credente che alla fine degli anni Ottanta scrive a un vescovo per sensibilizzarlo sul tema delle donne, delle difficoltà di essere mogli e madri nella metropoli moderna e che si sente rispondere: “Lei dice cose molto belle e pratiche sul parlare delle donne. Mi ci sento poco capace e ho anche timore delle inevitabili critiche. Non si stanchi di farlo! Mi sta aiutando”.
Martini chiede aiuto alla giornalista di professione nella preparazione delle due lettere pastorali sulla comunicazione: “Penso a Lei particolarmente in questi giorni nei quali mi sto sforzando di buttar giù la prima bozza della nuova lettera pastorale sui mass media. Lei mi ha sempre stimolato in questo cammino di riflessione sul comunicare con lettere interessanti e anche con libri che volevano farmi una po’ uscire dal ghetto dei miei pensieri”. Insieme a quel vescovo che in un’intervista gli aveva ricordato che “la Bibbia non parla di credenti e non credenti! La Bibbia parla di uomini e donne”, la Giacomoni collabora nella realizzazione di una delle esperienze più significative dell’episcopato martiniano, La cattedra dei non credenti. “Perché non dedica la prossima Cattedra alla preghiera?” gli chiede, e qualche giorno dopo Martini le risponde: “Sto pensando alla nuova Cattedra pensando ai suoi consigli. Il tema sarebbe La preghiera di chi non crede o simile”.
Ma queste lettere sono inestricabilmente la testimonianza del cammino personale di Giacomoni che nell’ottobre 1992 scrive a Martini: “Questa è una lettera importante: credo di aver capito che cosa vuole da me il Signore: Credo voglia che io impari a conoscerlo leggendo la Bibbia, meditando e pregando come insegna il suo servo Carlo Maria Martini”. Dopo aver partecipato a una Messa in Duomo da lui presieduta, gli confida: “Era come la sentissi per la prima volta, mi sento accolta in Duomo”, e di contro Martini le risponde “La ringrazio per la sua risonanza alla messa in Duomo. Non di rado soffro in queste celebrazioni”.
Oltre alle sue interviste, ora anche questo libro attesta che la giornalista Giacomoni, legando insieme professione e vicenda personale, rimane una delle più significative narratrici e interpreti dell’episcopato di Martini. Non a caso sarà a lei che Martini ebbe a confidare:”Forse il mio lavoro pastorale fatica essere recepito. Gesù stesso non ha potuto rallegrarsi per un successo grande della sua predicazione. Però l’ascolto c’è. Dall’attenzione al pastore all’appropriazione di quanto dice c’è di mezzo la conversione”. Per questo, resta sempre attuale la domanda che Giacomoni rivolse un giorno al suo vescovo: “Lei da chi vuole essere capito? Dal popolo di Dio della diocesi, da tutti i lombardi, dagli italiani, dal popolo del mondo?”.