Allonsanfàn Magazine - 05/07/2021
colloquio con Enzo Bianchi a cura di Monica Triglia
Lei cosa pensa dell’eutanasia? La domanda arriva alla fine di un incontro dal titolo suggestivo, Non privarti di un giorno felice, che segna la prima uscita pubblica di Enzo Bianchi dopo il suo addio alla comunità di Bose, di cui è fondatore e dov’era priore, lasciata dopo molte resistenze (e polemiche) per ordine di Papa Francesco. Ora Bianchi vive a Torino e proprio a Torino Spiritualità è stato protagonista di un evento che ha visto il tutto esaurito.
Lei cosa pensa dell’eutanasia? Non è una domanda a caso, tenuto conto che una manciata di giorni dopo in Spagna sarebbe entrata in vigore la legge che avrebbe depenalizzato l’aiuto a morire, con l’eutanasia e con il suicidio assistito. E tenuto conto anche che qui Italia, dove l’eutanasia è reato, l’associazione Luca Coscioni ha appena avviato la raccolta di firme per un referendum che porti a una legge che la consenta.
Bianchi è uno che parla chiaro. E la prima parola che usa nell’accingersi a rispondere è “suicidio” che un po’ turba tutti noi che lo stiamo ascoltando.
Il suicidio. «Anche il suicida ha un desiderio di vita» dice. «Io ho conosciuto persone che hanno fatto questa scelta. Che non sopportavano il peso di qualcosa che era loro successo, che non riuscivano più ad affrontare la vita come sarebbe stata dopo i fatti accaduti. Così si sono dati la morte. Ma non erano persone che desideravano morire, semplicemente non riuscivano a sostenere la vita che stava loro davanti. Certamente ogni suicidio è un enigma, noi non possiamo entrare nella mente di chi lo fa. Ma al di là di eventuali patologie, il gesto di per sé va capito ed è significativo che la Bibbia non lo condanni. Anzi, nell’Antico Testamento tra i profeti ci sono suicidi, come Saul re d’Israele».
Ciò non toglie che la chiesa «abbia condannato e condanni il suicidio. In passato non permetteva la sepoltura di chi si era tolto la vita nel camposanto cristiano e gli negava i funerali che oggi, per fortuna, sono ammessi».
Il testamento biologico e le cure palliative. C’è un mondo “dolorista” – lo definisce così Enzo Bianchi – che considera la sofferenza come qualcosa che purifica, che consente di espiare i peccati. Sbaglia. «La sofferenza è insensata» dice Bianchi e la sua voce è quasi un tuono «e rende le persone più cattive. La sofferenza e la malattia fanno del male, non fanno del bene».
Anche su questo Enzo Bianchi cita un’esperienza vissuta. «Ricoverato in un ospedale, ho gridato per due giorni dal dolore. Gridavo ma era inutile».
Non è così per tutti. «Persone della mia comunità malate di cancro sono state assistite affinché evitassero la sofferenza fisica. Ma ci sono troppi luoghi ancora dove c’è riottosità a passare alle cure palliative. E allora bisogna avere il coraggio di fare il testamento biologico». Che Enzo Bianchi, quando era priore, ha chiesto a tutti gli appartenenti alla comunità di Bose di fare. «Perché è importante che sia documentata la volontà di ciascuno di scegliere le cure palliative per non soffrire.
Anche qualora abbrevino la vita. Nel mio testamento biologico ho raccomandato che in una situazione nella quale non ci siano speranze per un futuro di vita, si passi il più velocemente possibile alle cure palliative, per eliminare la sofferenza, perché la sofferenza non ha nessun senso. Il problema è che non abbiamo ancora una cultura del dolore. E su questo la cultura cattolica è molto indietro».
L’eutanasia. E infine arriva la risposta. «L’eutanasia è un’altra cosa, nella chiesa e nella tradizione cristiana non si approva. Ma io non la giudico, non la condanno e ho grande misericordia verso quelli che la praticano. Credo anzi che sarebbe giusto l’accompagnamento religioso durante le ultime fasi della vita anche per chi la sceglie».
Cosa Enzo Bianchi pensi dell’eutanasia si fa più chiaro. Anche se l’ex priore di Bose non pronuncia mai un sì o un no. «Io penso» dice «che si debba far di tutto perché le persone che soffrono vivano, non si sentano sole, non si disperino. Ma se proprio il desiderio di vita non c’è più a causa del dolore, a causa del peso di una sofferenza che non riescono a portare, io posso solo usare compassione, comprensione, senza giudicare».