di Enzo Bianchi
Osiamo parlare dell’orazione? Che cos’è? Come praticarla? Sarò pudente, affermerò il necessario pudore e non permetterò che le parole divaghino o siano eccessive su questo tema così delicato, Ribadisco che l’orazione deve avere come fonte la parola di dio contenuta nelle Scritture e la liturgia della chiesa, soprattutto l’eucaristia, preghiera delle preghiere.
Negli ultimi secoli si è molto parlato dell’orazione, a volte isolandola dalla sua fonte al punto da illustrare un’attività religiosa ma non cristiana. L’orazione è preghiera intima, è un bocca a bocca con Dio (oratio, da os), è un “cor ad cor loquitur” (san Francesco di Sales e John Henry Newman), è una parola che sgorga dalla fede e dall’amore. È un respirare lo Spirito santo, che è Spirito dell’amore e un sentirsi in Cristo per rivolgersi al Padre, Dio. È uscita da se stessi ma non è una relazione chiusa con Dio, un tu a tu, dal quale sarebbe escluso tutto ciò che ci circonda.
Proprio perché l’orazione è sempre un’operazione trinitaria, comunionale, non può chiudere, non può esaurirsi in un individualismo, né può essere un consumo sentimentale che ha come destinatario Dio e su di lui si esaurisce. Il Dio al quale si dà del tu è un Dio vivente che ci rinvia sempre agli altri, alla comunità, all’umanità intera. Anche nell’orazione il protagonista è lo Spirito santo che è presente in noi e ci suggerisce con gemiti ineffabili cosa dobbiamo dire a Dio nostro Padre (cf. Rm 8,26). Dice a Dio “Abba”, “Papà” (cf. Rm 8,15) solo chi ha in sé lo Spirito santo e solo chi sa di avere come fratello Gesù Cristo. L’orazione è permettere allo Spirito di esprimersi in noi nella libertà.
Ecco perché il silenzio è così primario nella preghiera cristiana. Ciò che muove l’orazione non è la nostra azione, il nostro pensiero, ma il nostro amore, “amore che Dio ha versato nei nostri cuori” (Rm 5,5).
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Ostacoli: mancanza di tempo
Confessa l’Apostolo Paolo: “Non sappiamo cosa pregare e come è necessario” (Rm 8,26), e anche noi confessiamo questa nostra incapacità, questa nostra debolezza nel metterci in preghiera. Perché? Innanzitutto perché non sappiamo tralasciare, non sappiamo trovare tempo per questo mutamento di pensieri, sentimenti, parole, posture, ambiente. Viviamo in una società che privilegia il fare, l’utile, l’efficace, e darci alla preghiera che è non fare, gratuita, non materialmente efficace, ci appare tempo perso, operazione inutile. Siamo assorbiti da compiti, doveri, urgenze, e così il vacare Deo, il non fare nulla per Dio ci pare una ragione debole rispetto alle ragioni che si impongono nelle nostre vite. Abbiamo sempre molto da fare! E la preghiera, che è essere presenti alla Presenza, ascolto di chi è per noi Padre, Amante, Amico, dialogo con chi vogliamo amare, viene così tralasciata e dimenticata con il passare dei giorni.
Durante il giorno abbiamo momenti brevissimi nei quali nella nostra mente o nel nostro cuore appare la memoria del Signore, nei quali sentiamo con il cuore la sua presenza elusiva, ma li lasciamo cadere e riprendiamo i nostri impegni senza accogliere una traccia di quegli attimi di uscita da noi stessi o di ritorno alla propria vita interiore. Così a quello che facciamo vertiginosamente manca spesso ciò che lo renderebbe carico di senso, di profondità, di “spirito”. La preghiera in verità dovrebbe essere la prima urgenza che sostiene e illumina tutte le altre. Se Gesù è l’Apostolo ci hanno invitati a pregare sempre, senza interruzione (cf. Lc 18,1-8; 21,34-36; Rm 12,12; Ef 6,18; 1Ts 5,17), è proprio perché la preghiera è la condizione senza la quale ogni nostra azione e ogni nostro impegno si impoveriscono e rischiamo la loro verità e autenticità.
Preghiera 1/2
Ostacoli: distrazioni
La preghiera è un’azione difficile per noi anche perché la via verso l’interiorità di ciascuno è sovente ingombrata, ostacolata.
Innanzitutto non riusciamo a fare silenzio in noi, perché non appena apriamo la porta del nostro intimo per penetrarvi ci vengono incontro immagini, ricordi, voci, rumori che ostacolano il nostro procedere. Siamo abitati nel nostro profondo da parole efficaci, pensieri tumultuosi, voci di paura, fantasmi infernali che, quando ci affacciamo al nostro pozzo interiore, emergono e ci vengono incontro. Si tratta di pensieri sovente cattivi, di tentazioni sulle quali dobbiamo subito fare un discernimento, ma anche di distrazioni, pensieri o immagini che ci tirano qua e là e non ci permettono di fissare il nostro pensiero in una sola direzione. Sono momenti in cui ci viene da dire: “Ma perché? Chi sono io? Cosa c’è nel mio profondo? Io sono un altro!”.
Far tacere questi pensieri è una lotta necessaria, che diventa vittoriosa man mano che la si pratica rinnovando l’attenzione, mettendo a fuoco il nostro desiderio. E se troviamo sul cammino della preghiera persone che si affacciano attraverso ricordi o situazioni? Sono distrazioni? Non temiamo, perché gli altri sono il nostro prossimo, che non è mai da escludere dalla nostra vita. Gli altri non soni mai disturbatori, ma si tratta di ricordarli in Dio, di metterli alla luce della sua presenza. Così parliamo a Dio dell’altro, degli altri, e così siamo indotti alla fiducia e alla carità fraterna. Ciò che era un ostacolo diventa così occasione di intercessione. In tal modo la preghiera non è un’evasione ma un entrare nello spessore della realtà, là dove Dio vuole essere presente e operare. La preghiera è un mistero di comunione con Dio, ma anche sempre un mistero di comunione con gli altri esseri umani.
Preghiera 1/3
Ostacoli: peccati
Sul cammino della preghiera che sempre apre alla comunione con Dio ci sono altri ostacoli: la nostra lontananza da lui, i nostri peccati, le nostre contraddizioni all’amore gratuito che Dio sempre rinnova nei nostri confronti. Metterci davanti a Dio significa avere il coraggio di Pietro che, riconosciuto Gesù e la sua santità, non può fare altro che dirgli: “Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore!” (Lc 5,8). Sì, il Signore è santo, e di fronte alla sua santità dobbiamo confessare: “Sono una persona dalle labbra impure!” (Is 6,5).
Infatti abbiamo coscienza di quante volte e di come abbiamo mancato di fede, di come, non vivendo la volontà di Dio, non lo abbiamo amato. E il male commesso ci fa fuggire da Dio, ci fa addirittura aver paura di lui, in modo oscuro e non sempre a noi evidente. In molti casi fuggiamo da Dio e ignoriamo la sua presenza proprio a causa di un’indegnità timorosa che abita le nostre profondità, Ma il Signore, che non è un occhio che ci spia, ci chiama: “Dove sei?” (Gen 3,9), non per rimproverarci ma per riannodare il rapporto e permetterci di ricominciare un nuovo cammino.
Con semplicità, se affiorano i nostri peccati, umilmente ma senza ipocrisia né servilismi mettiamoli alla luce del suo volto, avviciniamoli alla sua santità che è contagiosa, distrugge i peccati e sana tutte le ferite: “Davanti a lui acquietiamo il nostro cuore, perché se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (1Gv 3,19-20). Pregare è esporsi al Signore così come si è. Non prega chi davanti al Signore, come il fariseo al tempio, si ammanta e si vanta del bene che ha fatto (cf. Lc 18,11-12); prega chi, come il pubblicano, osa solo dire: “O Dio, abbi misericordia di me peccatore! (Lc 18,13).
Preghiera 1/4
L’ascolto
La nostra preghiera sovente è minacciata di non essere cristiana: questo accade quando cerchiamo di pregare parlando a Dio, moltiplicando le parole davanti a lui come fanno i pagani (cf. Mt 6,7), manifestando a Dio le nostre richieste senza neppure pensare o mettere in conto che nella preghiera, come ci è stata insegnata nella Bibbia, la cosa più importante è ascoltare.
Non si può pregare secondo la nostra fede senza ascoltare Dio, mentre ascoltare Dio è pregare perché, anche se non diciamo nulla, è comunque un atto di ricezione, un “amen” detto alla sua parola con gli orecchi del nostro cuore. E l’esperienza mi dice che, se la nostra preghiera conosce fallimenti, è perché pretendiamo di essere noi i suoi protagonisti.
Chi invece inizia la preghiera è in verità il Signore, è Dio che è Parola rivolta a noi, una Parola che innanzitutto manifesta il suo amore per noi: Dio è Parola, l’uomo è in primo luogo ascolto. Ecco perché il grande comandamento di Dio ai credenti è: “Ascolta” (Shema‘: Dt 6,4) e il credente è colui che ascolta e crede perché ha ascoltato. “La fede” – dice l’Apostolo – “nasce dall’ascolto” (Rm 10,17). Prega dunque chi ha “un cuore che ascolta” (leb shomea‘: 1Re 3,9), seconda a richiesta di Salomone: questo è “il dono tra i doni”, l’unico veramente necessario.
Quando desideriamo pregare, dobbiamo dunque predisporci ad ascoltare, nel profondo del nostro cuore, quella Presenza eloquente del Dio che abita in noi. Non è un’operazione facile, perché richiede il silenzio, lo stare in quiete, in disparte, e il cercare di sentire una voce come di silenzio trattenuto, come di brezza silenziosa che ci parla (cf. 1Re 19,12). Come a Elia sull’Oreb, il Signore non ci parla nella voce del tuono, né nel turbamento del terremoto, né nel vento tempestoso (cf. 1Re 19,11-12) ma nel silenzio che va ascoltato come grembo della Parola che Dio vuole indirizzarci. Ascoltare, dunque, quale principio della preghiera cristiana.
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Lectio divina
Per esercitarsi all’ascolto della voce di Dio nel nostro profondo, occorre imparare a riconoscere questa sua parola nell’eco registrata nelle sante Scritture. Perché la parola di Dio è risuonata nel cuore di credenti, nella storia della salvezza, nell’alleanza tra Dio e il suo popolo Israele e di questa parola ci danno testimonianza le Scritture. Queste la contengono perché sono una certa umanizzazione della Parola, umanizzazione che sarà piena nell’umanità di Gesù, il Figlio di Dio, Parola fatta carne (cf. Gv 1,14).
La Bibbia e soprattutto il Vangelo contengono la parola del Signore e noi, attraverso il dono dello Spirito santo, possiamo ascoltare questa parola non umana, ma veramente di Dio (cf. 1Ts 2,13), indirizzata a noi. È un mistero grande quello delle scritture, parola umana, in lingue umane, scritte da autori umani, e nello stesso tempo libri contenenti la parola di Dio, offerta a noi quale luce per il nostro cammino (cf. Sal 119,105), come cibo quotidiano per noi viandanti verso il Regno, come promessa e speranza di salvezza.
Si tratta di pregare iniziando con l’ascolto, aprendo le scritture e leggendole, frequentandole con assiduità. Lectio è il primo gradino, al quale segue quello della meditatio, del prendere cura di ciò che si è letto (medeor), di frequentare con attenzione il testo (meditor). Più leggiamo la Scrittura e la meditiamo, più essa diventa cibo da mangiare (manducatio, dicevano i medioevali) perché ci nutre e noi ne sentiamo il gusto; a volte dolcissimo, come miele, a volte amato perché ci giudica (cf. Ez 3,1-3; ap 10,8-11). Così “la parola di Dio cresce con chi la legge”, diceva Gregorio Magno, e viene compresa sempre più in profondità, in modo sempre nuovo, rendendoci addirittura abilitati alla ruminatio, al riprendere e custodire una parola nel tempo che segue la lettura. Dalla meditatio può sgorgare la preghiera intima, possono nascere parole rivolte a Dio con amore e riconoscenza. E dall’oratio si sale all’ultimo gradino, la contemplatio, che è una cosa semplice: vedere la realtà con gli occhi Dio. Questa la preghiera cristiana.
Preghiera 1/6
La meditazione
Oggi si parla molto più di meditazione che di preghiera, e la meditazione conosce successo mai avuto nei secoli passati, almeno in occidente.
Ormai l’esercizio della meditazione è slegato dalle tradizioni religiose che lo proponevano e lo regolavano, perché è un’operazione che si vuole semplicemente umana, un cammino di conoscenza di sé, di ricerca della pace, una via di guarigione e di benessere. Per questo la pratica attuale ha come soggetti soprattutto persone non appartenenti al cristianesimo, sovente indifferenti alla fede, ma alla ricerca di una vita interiore che aiuti l’edificazione del sé, la relazione con gli altri, l’armonia con la natura.
Nessuna demonizzazione di questi cammini, ma resta necessaria la chiarezza nell’affermare che la meditazione cristiana va oltre ed è altra. In essa, infatti, Dio, il Signore, è riconosciuto come fonte di senso e di salvezza: si sta di fronte a lui e, soprattutto, gli si dà la parola per poterla ascoltare e approfondire attraverso la meditazione. Credo che tutti i metodi e i mezzi proposti per la meditazione possono essere utili e preliminare alla meditazione cristiana, ma questa si nutre di un dono che viene dall’alto, della parola di Dio e del suo Spirito santo, domandato dal credente e donato gratuitamente dal Signore.
Nella meditazione cristiana la mente deve accordarsi a ciò che è proclamato (“mens concordet voci”: Regola di Benedetto 19,7), cioè alle sante Scritture che contengono la parola di Dio. La meditazione cristiana scaturirà dunque sempre dall’ascolto, dalla lettura intelligente e impegnata di una parola accolta, ripetuta, custodita e amata. Essa è sempre interpretazione e impegno personale a comprendere e ad applicare a se stessi ciò che lo Spirito dice al credente e alle chiese (cf. Ap 2,7.11.17.29; 3,6.13.22). Non c’è meditazione cristiana senza dare a Dio la parola, accogliendola con fede, umiltà e povertà di cuore.