Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Inascoltati appelli al cambiamento

06/12/2021 14:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2021,

Inascoltati appelli al cambiamento

La Repubblica

Le parole di papa Francesco invitano a una chiesa più inclusiva ma la quotidianità delle comunità ecclesiastiche racconta una realtà diversa

La Repubblica - 06 dicembre 2021

 

di Enzo Bianchi

Ancora una volta Papa Francesco solca il Mediterraneo per portare una parola nei luoghi di frontiera, là dove donne, uomini, vecchi e bambini vivono situazioni di sofferenza, di bisogno, dimenticati da tutti. La sua passione per quanti sono stati o sono vittime nella storia lo spinge a preferire incontri con minoranze, cristiani sovente sradicati dalle loro terre, gente che ha dovuto migrare per fuggire la guerra, la persecuzione o la fame. La grande attenzione dei media nei confronti delle sue parole si è attenuata e solo quando determinano una diretta contestazione della politica dominante vengono riportate. Ma Papa Francesco, nei suoi discorsi o nelle sue omelie, dice sovente parole forti che chiamano in causa una chiesa in gran parte inerte e latitante, ma che lui vorrebbe vedere impegnata nella dinamica del cambiamento, capace di creatività, viva e operante nella compagnia degli uomini. Nei giorni scorsi ha affermato: “Non ci sono e non ci devono essere muri nella chiesa cattolica: è una casa comune, è il luogo delle relazioni, è la convivenza delle diversità … la diversità di tutti e, in quella diversità, la ricchezza dell’unità”. Ma già altre volte aveva insistito sulla necessità che l’unità sia plurale, affermando che l’uniformità è deprimente e intollerabile, e che la chiesa deve dunque essere inclusiva e mai escludente.

 

Quando però dopo aver ascoltato questo messaggio che chiede una chiesa diversa guardiamo alla realtà quotidiana delle nostre comunità ci sentiamo profondamente turbati e ci chiediamo: ”Ma Papa Francesco chi lo ascolta?”. In realtà la macchina ecclesiastica funziona più o meno adesso come in passato e non si scorgono segnali di una volontà di cambiamento del paradigma della comunione, che continua ad essere di stampo gerarchico, verticale: una comunione nella quale non si accetta che dei cristiani, una comunità, possano fare riferimento, come primo legame, a una concreta fraternità nell’uguaglianza della dignità battesimale. In realtà non si sopporta una comunità che non sia appiattita sul modello delle altre e mostri delle differenze, anche quando queste non minacciano l’unità della fede. Non si accetta che una comunità sia viva e feconda proprio a causa dei sentieri profetici che percorre. Il Papa dice che occorre da parte della chiesa includere, ma poi alcuni vescovi chiudono esperienze parrocchiali di frontiera, paralizzano comunità che hanno aperto cammini di autentico rinnovamento liturgico capace di far ardere il cuore di chi vi partecipa, chiedono di uniformarsi alle scelte pastorali diocesane, e finiscono addirittura per accusare di clericalismo chi semplicemente intende proseguire la ricerca per un autentico cammino sinodale.

 

Tutti si lamentano dell’attuale celebrazione della messa e anche nei convegni ufficiali la denunciano come arida, non coinvolgente, incapace di destare partecipazione e sovente proprio brutta, soprattutto nei canti e nella sciatteria dei segni. Ma se si tentano strade nuove che non insidiano né la fede, né la riforma del Vaticano II, subito piovono a raffica interventi che richiamano all’ordine, un ordine che sta solo nella logica gerarchica.

 

Perché nella chiesa la differenza, la diversità, fa tanta paura? Perché si preferisce la sterilità al rischio di scelte che appaiono nuove ma che sempre necessitano tempi di sperimentazione, senza che le si debba considerare subito definitive ed eterne? Se la chiesa vuole davvero vivere lo stile sinodale, inizi prima ancora dell’ascolto a spegnere i pregiudizi che la abitano, a vincere la paura della diversità. Dice la Scrittura che anche “la sapienza di Dio è policroma, multicolorata”, e così dovrebbe essere la chiesa.