Un teologo fra i più attenti nello studiare l'epocale crisi nel rapporto tra giovani e il cristianesimo individua la causa principale nella rottura della catena generazionale nella trasmissione del credo. E scongiura la chiesa di creare le condizioni per permettere ai ragazzi di ritornare a Messa.
La Stampa - Tuttolibri - 19 Novembre 2022
di Enzo Bianchi
Mai come in questi ultimi anni i giovani sono al centro di studi sociologici, di ricerche antropologiche e di riflessioni filosofiche che concordi gettano un grido di allarme sulle condizioni del mondo giovanile, mostrando inquietudine per la complessità e drammaticità di problematiche che questa generazione manifesta. Anche la chiesa cattolica in questi ultimi tempi ha prestato molta attenzione all’universo giovanile, mentre constata l’estraneità dei giovani nei confronti del messaggio cristiano e il tracollo della loro presenza all’interno della sua vita. Gli oceanici raduni di giovani cattolici che dal 1986 hanno caratterizzato le “Giornate mondiali della gioventù” volute da Giovanni Paolo II e proseguite dai suoi successori si sono rivelate un miraggio: milioni di giovani che hanno riempito gli stadi ma che disertano in massa le chiese. Un fallimento? Di certo qualcosa di decisivo non ha funzionato. Neppure il Sinodo dei vescovi del 2018 interamente dedicato ai giovani sembra aver invertito la tendenza.
Ed è dai risultati di questo Sinodo che muove l’ultima di una nutrita serie di pubblicazioni che da anni Armando Matteo dedica alla condizione del mondo giovanile cattolico, mostrandosi come il teologo italiano che con maggiore lucidità riflette sulla epocale crisi nel rapporto tra i giovani e la fede. Nel suo ultimo saggio Riportare i giovani a Messa. La trasmissione della fede in una società senza adulti, Matteo formula l’ipotesi che la persistente fatica dei giovani nei confronti della fede sia essenzialmente da individuare nel fatto che il Sinodo sui giovani non abbia riflettuto fino in fondo sulla rottura della catena generazionale della trasmissione fede. Da qui il chiarissimo grido d’allarme: “Fatto il Sinodo, la trasmissione della fede ai giovani non rappresenta più, per i credenti e i loro pastori, un problema, un’urgenza, un tema cui dedicare altra attenzione e altra energia”.
Con questo volume Armando Matteo, teologo e segretario del Dicastero per la dottrina della fede, conclude la “triologia di Pete Pan”, cioè la riflessione da lui avviata con i saggi Pastorale 4.0 e Convertire Peter Pan sul fenomeno dell’ateismo giovanile e il suo strettissimo legame con la crisi degli adulti nell’attuale società occidentale, definita “società dell’eterna giovinezza”. La rimozione compiuta dal Sinodo sui giovani consiste essenzialmente per Matteo nella mancata cognizione della grande responsabilità che gli adulti hanno nei confronti dei giovani. Più esattamente l’incapacità di “pensare la crisi dell’iniziazione cristiana delle nuove generazioni in piena continuità con l’evoluzione della crisi di adultità specifica delle nostre società”. La nostra è con tutta evidenza una società senza adulti incapace di educare e che alimenta un solo mito: la giovinezza. Agli occhi dei cosiddetti “adulti” i giovani avendo la giovinezza hanno già tutto ciò che serve nella vita e non hanno bisogno di essere educati, e tanto meno necessitano di una iniziazione alla vita religiosa. La società dell’eterna giovinezza abbandona i giovani a una povertà umana e spirituale.
La crisi della fede nei giovani è in realtà per Armando Matteo la crisi dell’adultità degli credenti e della loro incapacità di educare i figli alla fede e di esserne testimoni credibili. L’effetto è sotto gli occhi di tutti: il grembo della chiesa è sterile e incapace di generare nuovi cristiani, e fino a quando non si avrà di nuovo la capacità di riavviare legami credibili e significativi con le nuove generazioni la chiesa in occidente diventerà, utilizzando parole di papa Francesco, “una chiesa da museo, bella ma muta, con tanto passato e poco avvenire”. Senza giovani la chiesa è destinata a morire dissanguata.
Armando Matteo invita, anzi scongiura la chiesa e i credenti a creare le condizioni attraverso le quali permettere ai giovani di diventare cristiani, intersecando la loro reale difficoltà a diventare adulti: “Riportare i giovani a Messa implica dunque l’onerosa fatica di aiutarli a diventare adulti, nel tempo in cui i loro genitori e adulti di riferimento vogliono unicamente essere e fare i giovani per sempre”.
Questo libro indica con estrema lucidità l’urgenza che si aprano nuovi modi di pastorale, di presenza in mezzo ai giovani, di vicinanza. Perché se manca quello e se manca anche la voglia generativa della chiesa verso la fede allora non ci sarà una generazione cristiana futura. Sì, non si diventa cristiani se non si diventa adulti.