Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Contemplativi: sinodalità vissuta

26/01/2023 00:00

Monaca benedettina

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Contemplativi: sinodalità vissuta

Monaca benedettina

Monaca benedettina

Tutta la Chiesa è attualmente impegnata nel cammino sinodale, in ogni parte del mondo. Essere Chiesa sinodale vuol dire camminare insieme, farsi compagni degli altri, sentirsi “Chiesa in uscita”, che sa uscire per entrare nella vita e farlo senza paura.

 

In questo cammino sinodale, la vita consacrata contemplativa sta a guardare? O si sente anch’essa pienamente coinvolta e in che modo? Ce lo spiega sr. Ernestina Álvarez Tejerina, benedettina sudamericana, nella rivista della CLAR, in un articolo intitolato: «La vita contemplativa nel processo sinodale della Chiesa» (n. 4, 2022, pp. 85-91).

 

Un germe presente fin dagli inizi

 

La vita monastica (in questo caso) benedettina – scrive sr. Ernestina – si è manifestata come sinodalità fin dagli inizi, a partire dal sec. VI, quando fu organizzata da san Benedetto. Il nostro carisma è una realizzazione continua del “camminare insieme”.

 

Uno sguardo alla Regola di san Benedetto e alla sua vita, raccontata nei Dialoghi di san Gregorio Magno, ci rivela che la sua antropologia riesce a sintetizzare, consolidare e sviluppare la sostanza della sinodalità attuale offrendo un importante contributo al suo sviluppo.

 

Parole chiave: Ascolto e apprendimento

 

San Benedetto propone un percorso di “ascolto” a colui che si presenta. Così inizia la Regola benedettina: «Ascolta attentamente, figlio, gl’insegnamenti del maestro e porgi l’orecchio del tuo cuore»; (Prol. 1). Il monaco entra in una «scuola del servizio del Signore» (Prol. 45), in un laboratorio di arte spirituale (RB 4), per imparare ed esercitarsi nella vita monastica.

 

Comunione di vita

 

Chi arriva in un monastero trova una famiglia, un padre amabile: «Accoglie con piacere l’esortazione di un padre buono» (Prol. 1) e anche i fratelli con i quali deve entrare in relazione, condividere la vita (RB 1).

 

Le comunità contemplative sono formate da sorelle, chiamate da Gesù Cristo, che camminano in comunione di vita cercando Dio. Il monastero è, per noi, la nostra famiglia e la comunità il nostro primo riferimento interpersonale, il nostro interlocutore umano più importante, il luogo che è diventato, senza dubbio, la nostra casa.

 

Tutti assumiamo una profonda responsabilità nel prenderci cura gli uni degli altri, affinché la comunità sia un autentico luogo di comunione, di sinodalità. Penso che questo risulti molto attraente in una società nella quale le persone cercano con impegno una realtà di cui sentirsi parte. Ciò che più ci caratterizza, perciò, è la vita comunitaria e la condivisione di ogni cosa. La totalità dell’essere umano: tutte le sue dimensioni sono coinvolte, gli aspetti fisici e materiali, emotivi, intellettuali e spirituali.

 

Il dialogo

 

Il tema del dialogo è sempre più importante per le nostre comunità contemplative e questo non perché sia una tendenza moderna o attuale. Nel nostro caso concreto, si trova nel cuore stesso della Regola di san Benedetto. In tutta, ma in particolare nel cap. 3, si osserva in san Benedetto uno spazio di confronto, di dialogo, di sinodalità, che non intende escludere nessuno dei membri, ma cerca l’inclusione e la partecipazione di tutti.

 

Benedetto ha presente che, negli incontri comunitari, devono partecipare anche i più giovani, «perché molte volte il Signore rivela al più giovane ciò che è meglio» (RB 3,3). Nel nuovo modello sociale benedettino, tutti i membri contribuiscono al processo decisionale.

 

Siamo molto diversi, ma l’ideale a cui aspiriamo, attraverso il dialogo, è di integrare tutte queste differenze, non nell’uniformità, ma in una unità senza divisioni.

 

La religiosa contemplativa realizza la sua vita in costante dialogo: con Dio nella preghiera, con la badessa o priora nell’accompagnamento spirituale intimo, con le sorelle camminando insieme, con gli ospiti che vengono nei monasteri.

 

Relazione

 

Molte pagine sono state dedicate a parlare del silenzio e della solitudine come caratteristiche importanti della vita contemplativa.

 

Vorrei soffermarmi ora brevemente su un altro aspetto: la sua capacità relazionale

 

Relazione intracomunitaria. San Benedetto, nel sottolineare la dimensione relazionale della vita monastica, insiste su nozioni come l’incontro e il dialogo, considerati necessari per la configurazione dell’identità personale. È chiaro che il suo centro di interesse è la persona non chiusa individualmente, ma aperta alla comunione con l’altro, ordinata alla trascendenza. La vita contemplativa è essenzialmente relazionale.

 

Le relazioni monastiche hanno caratteristiche proprie. Sono molto arricchenti, perché c’è una simbiosi del tutto speciale. Ci trasmettiamo reciprocamente forza fisica e spirituale e questo ci permette di conseguire facilmente traguardi altrimenti irraggiungibili. Ci comunichiamo fiducia e sicurezza gli uni gli altri.

Grazie a ciò, possiamo intraprendere qualsiasi impresa e affrontare grandi sfide come una squadra invincibile. C’è un luogo di unità e di profondità nel quale si apre la strada alla volontà di Dio, essendo tutte alla ricerca della verità attraverso il dialogo.

 

Mi permetto di suggerire le linee guida della vita relazionale comunitaria che san Benedetto propone nella sua Regola perché potrebbero essere valide anche per altre persone. «Si prevengano nell’onorarsi a vicenda; le loro debolezze fisiche e morali siano sopportate con la più grande pazienza; si obbediscano con tenacia; nessuno cerchi ciò che sembra utile per sé, ma ciò che è utile per gli altri; pratichino la carità fraterna disinteressata; amino Dio; amino con affetto sincero e umile il loro abate e nulla antepongano a Cristo che ci conduce tutti insieme alla vita eterna» (RB 72).

 

Un nuovo modo di essere comunità, famiglia

 

La Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica (CIVCSVA) ha presentato, nel marzo 2017, il documento Vino nuovo in otri nuovi, testo che approfondisce il rinnovamento della vita consacrata. Nel n. 24, papa Francesco rivolge un pressante invito «a tutte le comunità del mondo» chiedendo, in particolare, una testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa: «Perché tutti possano ammirare come vi prendete cura gli uni degli altri, come vi incoraggiate a vicenda e come vi accompagnate».

 

Oggi siamo chiamati ad approfondire la comunione e, soprattutto, ad umanizzare le nostre comunità con una maggiore vicinanza, familiarità e comunicazione attraverso il dialogo. Dobbiamo, quindi, impiegare tutte le nostre energie per costruire la comunità in modo che sia un autentico luogo di comunione, di scambio, dove l’amore vicendevole sia praticato da ognuna delle sorelle nella quotidianità; dove l’amore è l’aria che si respira costantemente nel monastero.

 

Contributo della vita contemplativa alla sinodalità

 

Il lavoro spirituale. Il contributo principale della vita contemplativa alla sinodalità è il lavoro spirituale, un’attività che, vista all’esterno, non ha un’espressione propria, serve a poco, eppure possiede una grande forza di trasformazione. Le monache sanno che il cammino spirituale che ognuna percorre è importante per tutta l’umanità, perché siamo tutti intrecciati tra di noi. Il loro ritirarsi dal mondo non le porta a disinteressarsene.

 

Noi monache affrontiamo la realtà e, invece di guardarla solo in modo esterno e concettuale, la vediamo dalla nostra particolare esperienza esistenziale contemplativa, che la ridimensiona e la fa ascendere a una dimensione superiore. Non annulla il visibile, ma le conferisce una dimensione di trascendenza. La contemplazione è sempre un’esperienza di vita, non un uscire dalla vita. È l’esperienza di due mondi uniti: quello materiale e quello spirituale.

 

La monaca è consapevole che, per risolvere i problemi del suo tempo, sono certamente necessari strumenti politici, economici, giuridici… ma intuisce che è indispensabile, soprattutto, un rinnovamento spirituale come nuova linfa vitale per l’essere umano e si dedica a chiedere questo a Dio per tutta l’umanità.

 

Essa serve il mondo facendosi portavoce dell’umanità davanti a Dio. Prega come suo membro e trasforma il mondo con il solo fatto della sua esistenza. La vita contemplativa aiuta il mondo non tanto nell’ambito delle attività quanto piuttosto nel cuore della sua esistenza. La monaca non esce dal mondo, ma se lo porta dietro per condurlo a Dio.

 

La nostra vita contemplativa è un modo diverso di partecipare alla società. È una vita interiorizzata, ma non chiusa in sé stessa. Non siamo un gruppo che vuole proteggersi dal mondo, ma una forma di disponibilità che ci permette di guardare la vita da una prospettiva un po’ speciale, con uno sguardo benevolo, come quello di Dio. Per questo abbiamo bisogno di tempo e di spazio adeguati, di una certa solitudine e di silenzio, ma penso che non sia questo che ci definisce. La contemplativa scruta il mistero di Dio, la sua vita intima, e fa vedere un po’ della sua luce e da lì può donarsi agli uomini, parlare loro di Dio.

 

Guardandoci attorno, ci rendiamo conto di come sia l’uomo del nostro tempo. La fretta, la vertigine, lo stress, la superficialità della comunicazione lo portano a una profonda solitudine, all’individualismo e all’isolamento caratterizzato da relazioni improntate al profitto, all’utilitarismo, all’efficienza… Niente è gratuito, tutto ha un prezzo, anche le relazioni sono caratterizzate dalla smania del potere e del dominio, dalla diffidenza e dal sospetto.

 

La vita contemplativa, con la sola sua esistenza consacrata totalmente a Dio, propone la grande risposta al significato della vita all’uomo di oggi e di tutti i tempi. Alla nostra fretta, un ritmo di vita lento, orante; al rumore, un silenzio fatto di ascolto e pieno di rispetto; all’individualismo, la vita di comunità, in cui si sperimenta la vera fraternità; all’utilitarismo, la gratuità di una vita donata senza aspettarsi nulla in contraccambio; al materialismo, l’esperienza della trascendenza; all’assoluto dell’uomo, l’Assoluto di Dio.

 

L’accoglienza. Al numero 4 del documento citato si parla dei passi avanti compiuti dal Concilio Vaticano II in termini di dialogo e di apertura della Vita Consacrata al mondo, con nuove forme di relazione che devono basarsi, soprattutto, su un clima di fiducia, esponendosi ai rischi che questa apertura comporta. Anche la vita contemplativa deve affrontare questa sfida a partire dalla sua speciale missione nella Chiesa.

 

Oggi la società ci chiede di aprire i nostri monasteri, perché si conosca e si sperimenti la nostra vita. Dovremmo essere un costante promemoria del primato di Dio in ogni cosa, una specie di campanello d’allarme, di svegliarino per gli uomini e le donne del nostro tempo.

 

Il monaco deve confrontarsi con la vita, essere la coscienza critica del momento, conoscere la realtà di cui fa parte e impegnarsi, in base al suo stato, alla sua trasformazione. «Forse dobbiamo lottare contro una certa visione aristocratica e impoverita della vita contemplativa che la trasforma in una vita egocentrica, che tace di fronte ai problemi sociali, una vita da privilegiati».

 

Le contemplative non si definiscono per ciò che le distingue dagli altri, tanto meno sentendosi migliori. Siamo monache per tenere acceso nel cuore di ogni uomo il desiderio di Dio.

 

Quando uno arriva in un monastero contemplativo, rimane sorpreso perché, nonostante una certa distanza fisica dalla società, o forse grazie a questo, trova persone che sono particolarmente sensibili a tutti i problemi e gli interrogativi degli uomini e delle donne del proprio tempo e sanno dare risposte valide non solo per la loro epoca, ma per tutti i tempi. «Il monaco è colui che è separato da tutti e unito a tutti. E monaco è colui che si sente uno con tutti per l’abitudine di vedersi in ognuno» (Evagrio Pontico).

 

La gente è alla ricerca di luoghi di accoglienza e di ascolto, di testimonianza di vita comune, e questo è il nostro modo migliore di evangelizzare. Altri aspetti della nostra apertura al mondo sono la condivisione del nostro carisma con i laici, formando fraternità, associazioni, oblati ecc…

 

Preghiera. Naturalmente, accompagniamo il Sinodo con la nostra preghiera unita a quella di tutta la Chiesa.

 

Come stiamo vivendo la sinodalità della nostra vita contemplativa in riferimento ai giovani?

 

  • Con empatia, con gioia, perché vediamo che i giovani avvertono, dentro di sé, vibrazioni interiori che non hanno nulla a che fare con i rumori di un mondo esteriore disumanizzato.
  •  Con enorme speranza, osservando che essi esprimono un autentico desiderio di aprirsi alla “Verità” assieme agli altri, condividendo la fede e il servizio ai più poveri e bisognosi.
  •  Con il desiderio di trasmettere loro il nostro patrimonio monastico con i suoi valori. La lode di Dio attraverso la celebrazione dell’Ufficio divino, la vita di comunità, profondamente familiare e umana in cui tutto è condiviso, in particolare la fede, il lavoro, l’accoglienza degli ospiti, il silenzio, lo studio, il contatto con la Parola di Dio.
  • Con la presenza fisica e la vicinanza. Ci rallegriamo sempre quando i giovani si avvicinano alle nostre comunità in modo da poterli conoscere. In quei momenti sorge in noi un grande desiderio che siano felici.

 

Durante il sinodo – e sempre – desideriamo essere un vero focolare spirituale per tutti i giovani che cercano Dio, una guida per i disorientati e una “famiglia” per i solitari, affinché sappiano aprire i loro cuori a Dio e a seguire Gesù Cristo, pieni di fede e di speranza, e possano trovare presto la grande forza dello Spirito Santo che li conforti e li illumini.

 

Come potrei concludere questo articolo? Richiamando alcuni principi fondamentali.

 

Le comunità di vita contemplativa devono esprimere ed essere una risposta alla cultura dell’incontro come esercizio di sinodalità, con la loro capacità di interagire con la realtà, cercando il modo di farsi presenti, principalmente come ospitalità, che abbracci tutte le differenze e dia un significato di vita.

 

Deve essere chiara la dimensione innovatrice, creativa e profetica della vita contemplativa e, in questi tempi complessi, le viene chiesto di promuovere il cambiamento e sostenere la costruzione della casa comune, rispettando ogni forma di credo e avendo a cuore il bene di tutti gli uomini.