La Repubblica - 17 Aprile 2023
di Enzo Bianchi
La morte per cancro fulminante del vescovo Jacques Gaillot, ormai ultraottuagenario, diventa per noi l’occasione per porre domande alla chiesa, a noi cattolici e a quanti ricercano cammini di veridicità e di giustizia.
Molti hanno dimenticato chi era Gaillot: un vescovo francese, alla guida della diocesi di Évreux dal 1982, che fu deposto in modo brutale da papa Giovanni Paolo II dall’esercizio episcopale per la sua differenza, differenza di posizioni ecclesiali e morali, rispetto al magistero intransigente che dominava in quegli anni nella chiesa cattolica. Proveniva da un cattolicesimo rigido e tradizionalista, ma aveva vissuto una conversione proprio durante il suo ministero episcopale incontrando i poveri, gli immigrati, i sans papiers, gli scarti della società… perfino gli zingari! Prima che le periferie diventassero un tema molto evocato nell’evangelizzazione, lui, con la chiaroveggenza del pastore che sta in mezzo al gregge, le aveva elette a destinatarie del Vangelo e a cattedre di vero magistero evangelico per i cristiani.
In questo sentire in grande la missione cristiana non poteva non porsi il problema delle coppie divorziate ma ancora salde nella fede, il problema di una pastorale cieca mancante di misericordia e soprattutto di discernimento verso coloro che hanno uno stesso orientamento sessuale e tentano vie di amore, storie di amore che la tradizione biblica e cattolica ha sempre condannato. Voleva una chiesa altrimenti, guardava all’umanità come una fraternità.
Sì, il vescovo Gaillot si è seduto alla tavola dei peccatori senza sentirsi immune dalle fragilità umane, condivise con realismo e umiltà, e ha saputo anche prendere la parola pubblicamente in contesti di lotta e di protesta in nome della giustizia. Voce solitaria, si è staccato da tutto il coro dei vescovi francesi che accettano gli armamenti nucleari in Francia e ha preso più volte le difese di obiettori di coscienza.
Ho conosciuto mons. Gaillot perché amico dell’abbé Pierre, quando eravamo insieme in uno squat parigino, in mezzo ai rifiutati dalla società e dalla chiesa, e non ho riscontrato in lui tentazioni di protagonismo, o atteggiamenti di insofferenza verso il confronto e il richiamo: ma chiedeva trasparenza, senza sotterfugi, e ai confratelli vescovi che gli dicevano: “Jacques, ormai è troppo!”, rispondeva: “Ditemi dove sta il mio errore… cosa dico contro il Vangelo…”.
E così anche per lo scontro con il ministro francese dell’interno Charles Pasqua, e la sua restrittiva politica sull’immigrazione, Gaillot viene chiamato a Roma dove non incontra il Papa, ma il cardinal Gantin, Prefetto della Congregazione dei Vescovi. Questi gli comunica che è deposto da vescovo e gli viene affidata la diocesi titolare di Partenia, in Algeria, senza fedeli e senza territorio, una chiesa che non esiste più da quindici secoli!
Gaillot diventa il vescovo di quelli di fuori – “vescovo dei pagani”, viene chiamato – e continua il suo ministero episcopale con una pastorale evangelizzatrice digitale raggiungendo le periferie più estreme. Senza rancore, senza odio, riesce a perseverare nel ministero della parola liberatrice del Vangelo.
I vescovi francesi gli scrissero: “Adesso è troppo!”. Troppo avanti a loro correva Gaillot, ma passati vent’anni ecco giungere Francesco come successore di Pietro: le richieste di Francesco erano in piena sintonia con quelle di Gaillot. Oggi ci sono richieste di cardinali che hanno grandi responsabilità nella chiesa che sono più audaci e superano quelle di Gaillot. Giudicato un ribelle allora, nei giorni di papa Francesco apparirebbe un “vescovo di strada” esemplare.
Il cardinale Ratzinger riconobbe che l’intenzione di Gaillot era evangelica e che il suo carisma era “rispettabile se non superiore al suo”. Troppo presto ha osato parlare? Nella chiesa c’è una legge: si soffre per la chiesa di oggi e si è beatificati dalla chiesa di domani. Papa Francesco ricevendo Gaillot in Vaticano nel settembre 2015 gli disse: “Noi siamo fratelli!”. E voleva dire non solo fratelli nell’episcopato, ma fratelli nella sofferenza.