Il 28 aprile di cento anni fa nasceva Vittoria Guerrini che si diede il nome d’arte di Cristina Campo, poetessa, traduttrice, scrittrice capace di offrire altissime percezioni e altissime vie di spiritualità cristiana. Non l’ho conosciuta personalmente, ma ho avuto con lei uno scambio di lettere riguardo ai testi dei padri del deserto, che lei tradusse offrendo la prima versione italiana dei Detti dei padri del deserto.
Era compagna di Elémire Zolla, ma la sua fede era cattolica, o meglio era schiettamente cristiana, capace di essere riconosciuta là dove aveva il primato l’adorazione del Signore Gesù Cristo, dove la liturgia era celebrata come un’opera d’arte, un’epifania di bellezza. Soprattutto la liturgia orientale della tradizione slava, alla quale partecipava al Russicum di Roma e la liturgia gregoriana che frequentava presso l’abbazia benedettina di Sant’Anselmo le assicuravano l’ambiente ideale per il suo pensiero e la sua scrittura.
Negli anni della riforma liturgica dopo il Concilio Vaticano II soffrì molto quel mutamento operato troppo rapidamente e la comparsa di nuovi riti non sufficientemente motivati ai credenti. Per molti suoi interventi in difesa del canto gregoriano – tralasciato senza che ci si rendesse conto della perdita di un’eredità secolare, preziosa e non facilmente sostituibile – fu giudicata una tradizionalista, non fu ascoltata e le fu impedito di dare un contributo in quell’ora di transizione.
Vent’anni fa organizzai un convegno a Bose per ricordarla invitando amici scrittori che l’avevano frequentata e conosciuta e fu una grazia riscoprire la sua presenza tanto tralasciata. Cristina Campo va letta, cari amici, e va meditata!
Era una donna carica di energia, munita di vasta cultura e di un’intelligenza penetrante che la rendeva scrittrice singolare, una veggente che sa vedere oltre il visibile, una cristiana morsicata dalla Bellezza. Anche la sua malattia cardiaca era segno di un cuore troppo affaticato per la capacità di sentire ciò che resta ostico agli altri, affaticato per una battaglia nella quale si spendono tutte le forze, consapevoli che il risultato non sarà vincente. Il mistero nel suo vero senso di realtà nascoste che devono essere manifestate era il suo respiro. La chiesa non l’ha capita, non l’ha neanche considerata, ma lei ha continuato a essere presente al cuore della chiesa-piccolo gregge che prega e che con la celebrazione della liturgia accelera la venuta del Signore.
Nel mio lungo e faticoso lavoro per “ordinare” una liturgia di Bose l’ho sempre tenuta come un angelo ispiratore e interprete che mi ha aiutato e illuminato. Per ricordarla vi offro un suo testo sulla liturgia:
“La liturgia cristiana ha forse la sua radice nel vaso di nardo prezioso che Maria Maddalena versò sul capo e sui piedi del Redentore nella casa di Simone il Lebbroso, la sera precedente alla Cena. Sembra che il Maestro si innamorasse di quello spreco incantevole. Non soltanto lo oppose alteramente alla torva filantropia di Giuda che, molto tipicamente, ne reclamava il prezzo per i poveri: ‘Avrete sempre i poveri, ma non avrete sempre me’ – parola terribile che mette in guardia l’uomo dal pericolo delle distrazioni onorevoli: Dio non c’è sempre e non rimane a lungo e quando c’è non tollera altro pensiero, altra sollecitudine che Se stesso – ma addirittura replicò quel gesto la sera dopo, quando, precinto e inginocchiato, lavò con le sue mani divine i piedi dei dodici Apostoli, allo stesso modo che Maddalena, scivolando tra il giaciglio e il muro, aveva lavato i suoi. Dio, come osservò uno spirito contemplativo, si ispira volentieri a coloro che ispira”.
Da leggere e gustare:
C. Campo, Gli imperdonabili, Adelphi, Milano 1987.
C. Campo, La tigre assenza, Adelphi, Milano 1991.
C. Campo, Sotto falso nome, Adelphi, Milano 1998.