La Repubblica - 05 Giugno 2023
di Enzo Bianchi
È paradossale, veramente paradossale che proprio in Europa, la terra delle diversità e delle complessità nella quale è stato elaborato un pensiero che ha ostinatamente perseguito la pace, si assista al riaccendersi della guerra, e la si consideri ancora oggi uno strumento di risoluzione delle controversie interregionali! Non solo, ma proprio in Europa permangono focolai di violenza ai quali la religione dà un contributo decisivo.
Nella guerra tra Russia e Ucraina fin dall’inizio abbiamo evidenziato la miscela esplosiva di nazionalismo e religione e in questi due anni abbiamo constatato come le differenti chiese cristiane non solo si siano trovate su fronti opposti, ma abbiano soffiato sul fuoco delle ostilità benedicendo i propri eserciti, maledicendo il nemico, incoraggiando lo scontro, presentandolo come una battaglia da combattere in nome di Dio, in nome della propria religione, a salvaguardia della propria civiltà.
Avendo frequentato quelle terre, prima e dopo la deflagrazione della Jugoslavia, ormai da tempo ho ripetutamente richiamato l’attenzione sul clima di ostilità mai venuto meno, e sulla possibilità che si sfoci in una guerra al cuore dei Balcani. Erano terre abitate da ortodossi serbi e da albanesi musulmani, che vivevano insieme in modo pacifico. Negli anni settanta e ottanta non ho mai assistito o sentito parlare di tensioni: sotto il regime comunista le due componenti della popolazione conducevano una vita certamente povera, ma caratterizzata da solidarietà e scambio continuo. Poi ci fu la liberazione dal comunismo, emersero le diverse anime nazionali già presenti in quella regione… e fu la guerra, con la comparsa della parola “etnia” in tutta la sua forza identitaria, identità da vivere contro gli altri e senza gli altri. In pochi mesi la violenza e la propaganda riuscirono a distruggere convivenze consolidate nell’intento di tracciare frontiere, cacciare le minoranze per assegnare il territorio a una sola etnia.
E l’attenzione si focalizzò sul Kosovo, piccola ma importante regione che prima nessuno nominava, che è la madre di tutti i serbi, la culla della loro religione ortodossa. Il Kosovo è uno scrigno che racchiude le chiese, i monumenti e i monasteri più belli di tutti i Balcani, tanto che sono stati dichiarati per le loro pitture parietali “Patrimonio dell’umanità”.
Per i serbi il Kosovo, e al suo interno la Metochìa, sono la culla della fede e solo lì trovano le loro fonti. Ma dal 2008, con la proclamazione unilaterale dell’indipendenza, è nata anche una persecuzione cristiana dei serbi per indurli ad abbandonare questa terra: si bruciano le chiese, si attaccano i santuari, si depredano i monasteri e si registrano ovunque atti di violenza contro semplici civili… La chiesa serba più volte non solo ha chiesto la condanna di tali atti, ma ha invocato dialogo, tolleranza, rispettosa convivenza reciproca, e il Patriarca Porfirio, che è un uomo di Dio, interviene con insistenza chiedendo la pace e la fine delle ostilità. Purtroppo la violenza sembra in aumento e nelle ultime settimane ci sono stati scontri con feriti che hanno coinvolto anche le forze di pace della NATO. Occorre riconoscere che entrambe le parti in conflitto trovano continui pretesti per alimentare gli scontri. Siccome esiste una certa simmetria tra la guerra russo-ucraina e questa recrudescenza della violenza c’è da temere che il conflitto si estenda sempre di più al cuore dell’Europa: un’Europa che dal canto suo è inerte, incapace di autorevolezza, vergognosamente assente. Un’Europa che così si procura il suicidio nella forma di una morte dolce, senza reagire!