La Repubblica - 14 Agosto 2023
di Enzo Bianchi
Nella mia vita attuale ancora rallegrata da molti incontri è alquanto facile, venire a sapere tutto di persone che, dopo averle ascoltate e lette, ormai in tarda età incontro e conosco personalmente nel grande dono di porre mano nella mano e poter praticare un’accoglienza intellettuale reciproca. È un’esperienza preziosa, forse possibile con tutte le sue grazie solo nella vecchiaia, di certo un dono che da un lato procura una gioia profonda, un piacere che è un piacere della vita, e dall’altro apre a una comunione che non si conosceva né si supponeva prima. Forse perché in questi incontri è presente tanta memoria per una vita lunga vissuta in moltissime situazioni che, confrontate e condivise, apportano profondità di sapienza.
Certo per me è un tema del pensiero la grande presenza di sconfitti nella mia generazione. So che “sconfitto” è un attributo impronunciabile, che non va applicato a una persona, ma in verità sempre constatiamo la presenza di sconfitti e forse quando si è anziani il loro numero sembra aumentare…
Da tutti la sconfitta viene rievocata come un evento doloroso e tuttavia assunto. Massimo Cacciari, in un’intelligente intervista pubblicata sull’Unità il 10 agosto 2023, confessa come per lui e la sua generazione (Giorgio Agamben, Roberto Esposito, Mario Tronti, ecc.) artefice di un discorso politico fortemente elaborato, dopo alcuni lampanti e importanti risultati si sia manifestata la sconfitta. Attenzione, fu una sconfitta, non una resa, e non fu neanche uno smentire se stessi per passare all’avversario. Certamente quella generazione è fallita e lo stesso si può dire anche di altre. E la sconfitta scuote la sicurezza del progetto, porta e incute scoraggiamento. Ma proprio per poter essere sconfitta e non resa incondizionata deve essere elaborata, rendendo più acuto il pensiero e più resistenti alla celebrazione del vincitore. La sconfitta deve confermare e rinsaldare per poter preparare a un successivo urto altre menti senza mai cedere al pensiero unico che, invece, impedisce sempre di vedersi sconfitti. Perché in tale cedimento vengono meno il rigore, il senso della giustizia, e giorno dopo giorno si cancella il pensiero antico, si acquietano le domande di quelli che con insistenza chiedevano: perché?
Ed è significativo che la presenza degli sconfitti abbondi anche nella chiesa. Non la si vuole vedere, non le si vuole dare voce e l’afasia certamente fa parte della patologia. Testa tuttavia vero che molti nella chiesa non hanno più speranza per il suo futuro, non credono più al “sogno” (lo chiamano così) di Giovanni XXIII espresso nel Concilio. Ma quando viene meno la speranza, viene meno la fede e si raffredda la carità, della chiesa che cosa resta?
Eppure risultare sconfitti non significa avere torto o aver visto male! Diceva Abba Pambo a Giovanni che piangeva perché sconfitto dal demonio: “Se sei nella sconfitta allora hai intrapreso la vita cristiana!”.
Ai tanti che si credono sconfitti in questa Italia di oggi mai dire: “Siete fuori”, e sotto la cenere la brace riprenderà ancora.