Intervista a Dario Vitali*
Quello che si apre è il primo Sinodo che si celebra secondo la normativa della costituzione apostolica Episcopalis communio, firmata da papa Francesco il 15 settembre 2018. «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione e missione»: la prima sessione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi, apre i battenti. Ma non è più un evento. È la prima sessione di un processo iniziato il 10 ottobre del 2021, che apre un’altra fase che si concluderà con la seconda sessione il prossimo anno in ottobre. Il primo che vede la partecipazione attiva e con diritto di voto di settanta non vescovi, oltre alla presenza di una cinquantina di esperti, distinti in facilitatori e teologi.
Questa è «la prima volta che viene applicata l’ecclesiologia del Concilio recuperando idealmente la prassi sinodale del primo millennio», afferma don Dario Vitali, ordinario di ecclesiologia nel Dipartimento di teologia dogmatica della Pontificia Università Gregoriana, nominato da papa Francesco coordinatore degli esperti teologi impegnati nel Sinodo. Ed è con lui che entriamo nel metodo e nelle ragioni di questo processo che mette al centro la dimensione costitutiva, quindi irrinunciabile e urgente per la vita della Chiesa: la sinodalità.
Professore, come si svolgeranno i lavori? Quali novità rispetto al passato?
Mentre nei precedenti Sinodi i lavori cominciavano in assemblea plenaria (Congregazioni generali) e vedevano poi la presenza di tutti i membri negli incontri dei gruppi di lavoro (Circoli minori), adesso l’ordine è rovesciato: si comincia con i Circoli minori affrontando i diversi temi previsti dall’Instrumentum laboris: sulla sinodalità, sulla comunione, sulla missione e partecipazione.
Anche il suo ruolo di coordinatore degli esperti teologi non era previsto. In che consiste?
Si tratta di una funzione pensata in deroga alla Episcopalis communio. Aiuta il gruppo degli esperti a svolgere un lavoro in équipe, legato alla prassi della nuova metodologia dell’assemblea.
Può spiegarci in breve questa nuova metodologia?
Papa Francesco ha chiesto che tutta la Chiesa sia partecipe, tutti siano protagonisti nella logica dell’ecclesiologia del Popolo di Dio. Questo spiega perché Episcopalis communio trasforma il Sinodo da evento a processo, articolato in fasi. La prima fase ha visto la partecipazione di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa, attraverso la consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese particolari e poi i due momenti di discernimento, nelle Conferenze episcopali e nelle Assemblee continentali. Il Popolo di Dio ha svolto la sua funzione attiva, secondo quanto dice il Concilio Vaticano II, che il Popolo di Dio partecipa della funzione profetica di Cristo (Lg 12). Per questo all’Assemblea partecipano a pieno titolo ai lavori dei membri non vescovi, i quali non rappresentano il Popolo di Dio, ma sono i testimoni dell’unità del processo sinodale. La loro presenza e il loro contributo dicono che il Sinodo non consiste in un’Assemblea circoscritta e che la prima fase è essenziale al discernimento. E che i temi che si affrontano sono quelli emersi dalla consultazione del Popolo di Dio.
Quindi con questo Sinodo, a più di mezzo secolo dal Concilio, lei pensa che per la prima volta si comincia ad applicare l’ecclesiologia conciliare?
Esattamente. Questo processo sinodale permette che tutti i soggetti nella Chiesa siano partecipi e quindi tutta la Chiesa sia partecipe. La prima fase di questo processo ha permesso di ascoltare tutto il Popolo di Dio. E per favore la P di Popolo sia scritta in maiuscolo… perché il Popolo di Dio è la Chiesa come totalità di battezzati, soggetto del sensus fidei. Il fatto quindi di cominciare dal Popolo santo di Dio corrisponde alla scelta del Concilio: la costituzione Lumen Gentium contiene un capitolo sul Popolo di Dio che costituisce la “rivoluzione copernicana” in ecclesiologia, perché pone l’uguaglianza prima delle differenze, la dignità dei battezzati prima delle funzioni gerarchiche, che sono al servizio della Chiesa.
Cosa significa in pratica?
Significa che la vocazione fondamentale data dal battesimo è quella di essere figli di Dio. Il primato della dignità battesimale determina anche il recupero di una funzione propria del Popolo di Dio che torna ad essere soggetto attivo nella vita della Chiesa. Il Concilio ci riconsegna la funzione propria del Popolo santo di Dio conosciuta come sensus fidei o sensum fidelium, cioè la totalità dei fedeli che è «infallibile in credendo». Questa funzione che Pio IX e Pio X invocarono come prova per definire il dogma dell’Immacolata concezione e l’Assunzione di Maria al Cielo, torna ad essere esercitata come momento iniziale di tutto il processo sinodale.
E in questo processo qual è il compito dei pastori?
C’è un legame necessario tra l’esercizio del sensum fidelium e l’esercizio del magistero dei pastori durante il processo sinodale. I vescovi svolgono un atto di discernimento su quanto è emerso dal Popolo di Dio come manifestazione della funzione profetica. Mi rendo conto che la parola “discernimento” è inflazionata, ma va sottolineato come per la prima volta la funzione dei vescovi si svolge in stretta relazione con quella del Popolo di Dio. San Paolo invita a non spegnere lo Spirito a non disprezzare le profezie, a vagliare ogni cosa e a trattenere ciò è buono (1Ts 5,19-21).
Il Papa ripete sempre che «il protagonista del Sinodo è lo Spirito Santo». Può spiegare in breve che vuol dire?
Nella seconda sessione del Concilio Vaticano II risuonò in aula la domanda provocatoria di un vescovo maronita di Beirut: Ignatius Ziadé. Questo vescovo chiese: «Chiesa latina, che ne avete fatto dello Spirito Santo?». Per motivi storici la Chiesa in Occidente aveva sempre più taciuto la presenza dello Spirito privilegiando l’aspetto visibile istituzionale della Chiesa. Il recupero della presenza e dell’azione dello Spirito nella Chiesa è un altro dei guadagni del Concilio. D’altronde, se la Chiesa è pellegrina – così si esprime il Concilio – ed è in cammino verso il Regno, bisogna ascoltare lo Spirito Santo per sapere la strada da percorrere.
Ma in concreto come si ascolta lo Spirito Santo?
Il Papa ripete sempre: ascoltarsi per ascoltare lo Spirito. Se lo Spirito Santo è dato nel Battesimo, il primo atto di ascolto dello Spirito è ascoltare il Popolo santo di Dio. Tutto il processo sinodale è un atto di ascolto dello Spirito: la consultazione del Popolo di Dio e il discernimento dei Pastori. Il medesimo Spirito che guida il Popolo santo di Dio, guida i suoi pastori. Da questo ascolto sinfonico emerge ciò che lo Spirito dice alla Chiesa.
Quindi la Chiesa va avanti ritornando alle origini?
Il Concilio Vaticano II ha assunto il ritorno alle fonti non come un vezzo metodologico ma una scelta di verità per la Chiesa. Il Concilio ha recuperato il modello di Chiesa dei Padri, senza rinunciare in nulla al progresso dogmatico del secondo millennio. Per questo ha potuto inserire la dottrina del primato nella costituzione gerarchica della Chiesa e ripensare la struttura gerarchica della Chiesa a servizio del Popolo di Dio. Questo recupero ha determinato la ricomprensione della Chiesa cattolica come corpo delle Chiese (cfr Lg 23). Il processo sinodale applica questa ecclesiologia del Concilio recuperando idealmente la prassi sinodale del primo millennio. Per questo si può dire che la Chiesa è gerarchica e sinodale insieme.
Qual è in sostanza lo scopo finale di questo processo?
È quello di far radicare uno stile e una forma sinodale di Chiesa, in modo che la sinodalità, come dimensione costituiva della Chiesa, possa e debba configurare la Chiesa stessa, la sua vita, le sue istituzioni, il modo di pensarsi e di operare, la sua missione. Significa quindi rivedere molte cose alla luce di questo principio costitutivo, maturato nel solco della Tradizione in continuità con il Concilio, che non contraddice la Chiesa di sempre ma la illumina di una luce nuova, di quella novità che è sempre nell’ordine della grazia, quindi nova et vetera, nuova perché antica.
* Pubblicato da “Avvenire”