Di fronte a questo grave peccato Francesco ha chiesto addirittura di fare “obiezione di coscienza”
Pubblicato su: Vita Pastorale gennaio 2024
di Enzo Bianchi
C’è un tema al quale papa Francesco ricorre in modo ossessivo nelle più diverse esortazioni sulla vita cristiana: il tema è l’uso della parola, che può essere generatrice oppure omicida. Già nel primo discorso di fine anno alla curia romana, Francesco ha stigmatizzato il vizio della chiacchiera e della mormorazione presente in ogni comunità, soprattutto religiosa. Ha chiesto addirittura la pratica dell’obiezione di coscienza di fronte a questo peccato, per impedire che compia i suoi effetti devastanti e mortiferi. Queste le sue parole: «Sì, obiezione di coscienza alle chiacchiere. Noi giustamente insistiamo molto sul valore dell’obiezione di coscienza, ma forse dobbiamo esercitarla anche per difenderci da una legge non scritta dei nostri ambienti, che purtroppo è quella delle chiacchiere. Allora facciamo tutti obiezione di coscienza [...] perché le chiacchiere danneggiando la dignità delle persone, danneggiano la qualità del lavoro e rovinano il clima e l’ambiente».
Ma cosa sono le mormorazioni, cos’è la chiacchiera?
La mormorazione è discorso ostile che esprime riprovazione, malumore, ma che non viene detta ad alta voce e a chi la si dovrebbe dire come eventuale correzione fraterna, bensì viene sussurrata di nascosto, più simile a un rumore indistinto che a una parola umana (murmur). Non si dimentichi che la mormorazione è un vizio detestabile, più volte descritto nell’Antico e nel Nuovo Testamento. Questo atteggiamento appare nei libri in cui si attesta l’uscita dall’Egitto del popolo d’Israele.
Nel cammino del deserto, a Mara, quando l’acqua fu accertata come amara, allora «il popolo mormorò contro Mosè» (Es 15,24). Subito dopo, un’altra mormorazione nel deserto di Sin, contro Mosè e Aronne, le due guide dell’esodo: «Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà!
Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine» (Es 16,3). Ed è lo stesso Mosè a definire queste parole come “mormorazioni” (Es 16,8).
Mormorazioni che sono contestazioni alla guida, all’autorità, avvenute non direttamente, a volte di nascosto.
I Salmi storici ricorderanno queste mormorazioni e la loro sanzione, rinnovando sempre l’invito a non partecipare a esse. Solo un esempio, che mostra, tra l’altro, come la mormorazione sia strettamente legata alla mancanza di fede: «Non credono alla parola del Signore, nelle loro tende continuano a mormorare, non ascoltano la sua voce» (Sal 106,24-25). Colpisce, infine, che l’umile e povero resto di Israele sia presentato con un tratto che riguarda proprio l’uso della parola: «Non proferiranno menzogna, non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta» (Sof 3,13). Nel Nuovo Testamento, oltre alle mormorazioni rivolte contro Gesù dai suoi avversari o dalle folle, è impressionante notare con quanta insistenza gli scritti apostolici mettano in guardia da questo terribile vizio:
«Non mormorate, come mormorarono alcuni di loro [i figli di Israele nel deserto], e caddero vittime dello sterminatore » (1Cor10,10). «Fate tutto senza mormorare » (Fil 2,14). «Praticate l’ospitalità gli uni verso gli altri, senza mormorare» (1Pt 4,9).
Le mormorazioni sembrano, dunque, il vizio più ricorrente delle comunità: perché? Esse sono il modo più facile di sfogare la violenza verso l’autorità e le sue decisioni o verso altri in comunità, quando non si ha il coraggio del faccia a faccia. Gli ignavi, i paurosi, quelli che non hanno una postura di verità nella trasparenza, ricorrono facilmente alla mormorazione, soprattutto verso l’autorità. Chiedono di non essere giudicati dall’autorità, ma loro la giudicano di nascosto.
La mormorazione, poi, crea complicità. Chi, infatti, ha una difficoltà con l’autorità o non è leale, sapendo che un altro/a è nella stessa difficoltà, mormora con lui/lei: in tal modo, si crea una complicità-contro, l’altro ci sente dalla sua parte e, di conseguenza, sarà più solidale o amico con chi appoggia le sue critiche e le sue accuse.
Sì, nella mormorazione si giudica e si contesta l’altro, ci si allea contro l’altro, nutrendoci dell’inimicizia che ci abita e che vorrebbe la negazione dell’altro, soprattutto se l’altro ci ricorda il limite, la legge, la regola, il Vangelo. Abba Iperechio diceva: «Il monacoche insinua malignità disperde una moltitudine di monaci e separa una comunione» (Agliasceti 151). E ancora: «È meglio mangiare carne e bere vino piuttosto che divorare con la maldicenza le carni dei fratelli!» (ibid. 144). Per trovare un’ispirazione al discorso di papaFrancesco sull’obiezione di coscienza alle chiacchiere, basta leggere questo detto di abba Isaia: «Se un fratello ti costringe ad ascoltare calunnie contro un suo fratello, non lasciarti intimidire e non credergli, peccandocontro Dio, ma digli piuttosto: “Sono un pover’uomo: ciò che mi dici riguarda me e non sono in grado di portarne il peso”» (Discorsi ascetici 4,1).
A proposito della calunnia si legge nel Midrash ai Salmi: «La calunnia è peggio dello spargimento di sangue!
Chi commette un assassinio, infatti, uccide una persona sola, mentre chi sparge calunnie ne uccide tre: sé stesso che le racconta, quello che a esse presta ascolto, e quello a cui si riferiscono». È l’apostolo Paolo a scrivere: «I chiacchieroni, i maldicenti, i mormoratori non erediteranno il regno di Dio» (cf 1Cor 6,10).
Sappiamo tutti che la mormorazione è uno dei grandi problemi della vita religiosa, forse il vizio più difficile da estirpare.
È una malattia che ci porta a giudicare ogni azione, ogni gesto, ogni parola degli altri con occhio cattivo. San Benedetto propone come antidoto l’umiliazione che porta all’umiltà, e più volte nella Regola condanna la mormorazione, arrivando quasi a supplicare: «Questo soprattutto raccomandiamo, di astenersi dal mormorare» (40,9). Ma in tutta la letteratura monastica si ricorda che la mormorazione, tra i peccati più gravi, se persiste merita l’espulsione dal monastero, perché chi mormora divide, sgretola, uccide la comunità e il vincolo di carità che la tiene insieme.
La chiacchiera, invece, è più quotidiana, anche se meno grave. Non ha di mira l’autorità, ma ama sostare su problemi e vicende che riguardano gli altri. Nella chiacchiera si inventano molte cose, magari senza calunnie, ma le parole hanno il loro peso e di solito influenzano chi le ascolta. Si interpretano soggettivamente i fatti o le parole, ma si pretende di essere oggettivi e soprattutto si distorcono molti messaggi e significati.
Sì, chiacchiera come pettegolezzo, come noncuranza e stupidità di chi non sa ciò che dice, come lingua irrefrenabile. Scrive Giacomo nella sua lettera: «Chi sa tenere a freno la lingua è un giusto, un maturo», perché «la lingua è un fuoco, un mondo di male» (Gc 3,6).
Nelle curie come nelle comunità ci sono sempre alcuni che, non appena s’incontrano, devono parlar male degli altri. E ciò perché hanno un “io minimo” e vivono in un mondo angusto; sono oziosi e così riempiono con le chiacchiere il loro tempo. Ma i chiacchieroni e i mormoratori sono facili da discernere, basta qualche anno e si rivelano per quello che sono: inaffidabili che, se corretti, hanno sempre ragioni per difendersi.
Si giustificano con “il loro disagio”, con “il sentito dire”, addossando sempre la responsabilità agli altri, senza mai interrogarsi sulle proprie responsabilità.