La Repubblica - 25 Marzo 2024
di Enzo Bianchi
Mi domando sovente in questi giorni prepasquali cosa possano comprendere oggi molti non più cristiani di quel che vivono nella cosiddetta “settimana santa” coloro che scelgono di essere discepoli di Gesù di Nazareth.
Sì, perché per una settimana questi ultimi pregano diversamente dal modo abituale, compiono riti che vogliono essere rappresentazioni evocative, vivono ore di tristezza e poi prorompono in canti di gioia, si scambiano abbracci festosi. So che purtroppo questo incontra soprattutto indifferenza e, se desta interesse, viene trattato come un evento folcloristico, il ritorno di scene medievali non solo a Siviglia o a Sordevolo, ma anche in tante nostre città, soprattutto del Sud Italia. Così la Settimana Santa con le sue “Passioni viventi” diventa addirittura un’occasione di forte richiamo turistico.
Se si va nelle chiese dove si celebrano le liturgie che vogliono rendere partecipe il cristiano delle vicende della Passione e morte di Gesù si constata la presenza di poca gente – solitamente vecchi, oserei dire –, un piccolo resto consapevole che essere cristiani non è innanzitutto seguire una dottrina, né osservare una morale, ma è vivere un legame profondo, un’adesione convinta a Gesù Cristo, a ciò che lui ha detto e fatto, dunque al Vangelo. Certamente oggi la vita sembra trascorrere nei giorni della Settimana Santa, come negli ultimi giorni dell’anno, sotto un unico segno: l’acquisto e il dono delle colombe, l’equivalente del panettone di Natale. Ma per i cristiani vivere questi giorni in modo autentico (nel rito ambrosiano di Milano questa settimana si chiama “settimana autentica”!) significa innanzitutto dare la propria presenza in chiesa, alla propria comunità, per formare un unico corpo che celebra la Passione del Signore.
Non è imitazione, né operazione dolorista, ma è contemplazione, esempio di fede, più profonda conoscenza di una vita offerta agli umani tanto amati: Gesù, che è vissuto amando, ha amato fino alla fine accettando la morte senza difendersi, senza ricorrere alla violenza, ma solidale con tutte le vittime della storia, vittime dell’ingiustizia e della malvagità degli uomini loro fratelli. Ciò che la Pasqua di Gesù ci testimonia è il suo lasciarsi catturare senza opporre resistenza armata, è il suo silenzio eloquente di fronte al re Erode, che non meritava neppure una parola di Gesù, è il suo interrogatorio da parte del Sommo sacerdote e delle massime autorità religiose da lui vissuto senza turbamento, è la libertà che mostra di fronte al Procuratore romano che ha potere di vita o di morte su di lui.
Gesù resta mite sempre, lontano da ogni tentazione di violenza. La sua non è resa, ma sottomissione compiuta liberamente per respingere ogni via di difesa attraversata dalla violenza verbale o fisica. Fino all’ultimo, anche torturato e flagellato e infine crocifisso, Gesù vede i suoi aguzzini come gente che non sa quel che dice e quel che fa, e certo non è lui a concedere il perdono, ma chiede a Dio suo Padre di perdonare tutti i suoi accusatori e carnefici. Quella di Gesù era una morte annunciata perché come profeta sapeva che il rifiuto fino all’eliminazione era ciò che lo attendeva tra i suoi, da parte dei suoi. Era il venerdì 7 aprile del 30, alle 3 del pomeriggio!
Ma questa morte, ultimo esito di un cammino di mitezza e non violenza, di servizio e cura dei più deboli e poveri che incontrava, ultima tappa che lo vedeva annoverato tra i peccatori, “maledetto da Dio e dagli uomini”, e per questo appeso alla croce, era una morte che non poteva essere l’ultima parola su di lui. E dopo un giorno di aporia, un sabato santo di silenzio muto, vuoto, in cui significativamente non sono previste liturgie, ma c’è il silenzio come unica preghiera possibile, siccome quell’amore vissuto fino all’estremo non poteva andare perduto ecco che Dio risolleva dai morti Gesù, vivente, nuovamente in mezzo ai suoi. È il Kýrios, il Signore vivente, risorto!
E qui esplode la festa, la gioiosa proclamazione che l’amore ha vinto la morte, che l’inferno è stato svuotato, che il banchetto è pronto, che tutti vi possono partecipare, primi e ultimi, poveri e scartati, anonimi e sconosciuti.
È la Pasqua del Signore!
Ecco quello che cercano di vivere i cristiani, e qui ci siamo permessi di tentare una spiegazione anche per chi non condivide la fede cristiana. In ogni Pasqua vi è la certezza che ci rivedremo anche nell’aldilà se avremo amato, perché il nostro amore non va perduto. Dio infatti è amore e l’amore è sempre divino.