La Repubblica - 10 Giugno 2024
di Enzo Bianchi
Nella mia lunga appartenenza alla chiesa cattolica ho vissuto e ho cercato di vivere in mezzo al popolo di Dio, i semplici fedeli che tentano con grande fatica di essere cristiani, ma ho anche incontrato uomini e donne la cui vita interpellava e scuoteva chi li ascoltava e li frequentava. Erano credenti che osavano predicare la Parola, qualche volta alzare la voce, soprattutto cercavano di rendere la fede cristiana una buona notizia per l'umanità in mezzo alla quale vivevano. Erano anche costretti ad essere critici verso l'istituzione-chiesa quando questa voleva prendere il posto del Vangelo e dare alla legge quel risalto che Gesù di Nazareth le aveva negato ponendola invece a servizio dell'uomo.
Il mio parroco mi aveva portato adolescente ad ascoltare don Mazzolari alla missione di Ivrea e da allora ero cresciuto attento alle voci “dissonanti”, alle testimonianze profetiche che raramente si affacciavano nella vita della chiesa, soprattutto italiana. Conobbi indirettamente sorella Maria di Campello, una profetessa vera, ideatrice di un monachesimo semplice e attuale, che negli anni venti del secolo scorso aveva fondato in Umbria una comunità ecumenica con sorelle non cattoliche, anglicane e metodiste. Osteggiata, calunniata, non temette di coltivare l'amicizia con Ernesto Bonaiuti, e di tenere una corrispondenza con Gandhi... Solo Papa Giovanni le ridonò la dignità di monaca cattolica... Ma sono tanti quelli che, magari meno conosciuti, ho incontrato ascoltando il loro dolore, la loro sofferenza e anche a volte il loro pianto per il volto di matrigna che la chiesa riservava loro. Erano costretti a sentirsi “stranieri nell’istituzione-chiesa” come si sentiva un mio grande amico, padre David Maria Turoldo, che sarebbe dimenticato e ancora sepolto nel sospetto se un cardinale a lui affezionato, Gianfranco Ravasi, non l'avesse più volte celebrato e presentato come poeta e come uomo spirituale.
Per un certo periodo, negli anni ’70-’80, si tenevano incontri mensili tra p. Turoldo, p. Ernesto Balducci, don Michele Do, don Giannino Piana, ai quali partecipavo anch’io, a Bose o a Sotto il Monte: cercavamo di leggere all'orizzonte della chiesa i segni di un’aurora che tardava manifestarsi nonostante la nostra invocazione. Speranza di rinnovamento, anche di riforma della chiesa, e poi brinate improvvise che bruciavano i germogli di una primavera appena accennata.
Perché questa sordità da parte dell'istituzione? Perché questa creazione di figli amati e privilegiati e altri giudicati bastardi nella stessa chiesa, soprattutto negli anni ‘80? Paolo VI a un gruppo di pellegrini provenienti da Bozzolo, la parrocchia di don Mazzolari, lui che l'aveva in un primo tempo osteggiato, disse: “Aveva il passo più veloce del nostro: abbiamo sofferto noi, ha sofferto lui!”. E così si rinnova il monito di Gesù: “Gerusalemme che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati...”, e anche: “Guai a voi che innalzate i sepolcri ai profeti... che avete perseguitato”.
Ma va anche detto che questi “stranieri nella chiesa” ricevevano da Dio la possibilità di condividere con Gesù Cristo il grande dono dell'amicizia con i peccatori, i lontani, gli scarti, i mal giudicati. La loro vita però sotto il ministero papale di Francesco ha potuto brillare e ricevere il segno della verità della testimonianza... Francesco che si reca sulla tomba di Mazzolari, di Milani, è l’equivalente di una confessione di colpa da parte della chiesa e una domanda di perdono... Ci sarebbero altre visite da compiere non solo ai soprannominati, penso ad esempio a Giuseppe Dossetti, un padre della chiesa che ha dato un grande contributo all’ecclesiologia del concilio Vaticano II, direttamente e attraverso il cardinale Lercaro. Isolato in Terra Santa a Gerico, ridotto al silenzio, ha commentato le Scritture con l'antica esegesi spirituale patristica, dicendo a chi lo incontrava solo “una Parola”. Ma è significativo che la corsa alla santità sia stata aperta con celerità maggiore agli altri, mai stranieri nella chiesa, perché senza profezia e sovente senza sale né sapore.
Oggi dobbiamo riconoscerlo: con Papa Francesco la chiesa non mostra un volto di matrigna ma di madre misericordiosa, anche se la burocrazia ecclesiastica si attarda su antichi metodi.