Nel cammino verso l’unità dei credenti i primi frutti tra la fine della guerra e l’inizio dei ‘70
La Stampa - Tuttolibri - 24 maggio 2025
di Enzo Bianchi
Il secondo volume della storia del cammino ecumenico, diretta da Alberto Melloni e curata da Luca Ferracci, con il contributo di oltre una trentina di specialisti a livello internazionale – L’unità dei cristiani. Storia di un desiderio. XIX-XXI sec., II. Cammini di comunione, Il Mulino, 2025 – esplora i tempi e i momenti di quella rivoluzione ecumenica, di cui il primo volume (Aurora ecumenica, 2021) aveva dato conto dei prodromi. In due ampie sezioni, “La preparazione dell’imprevisto”, sul fermento ecumenico del periodo interbellico, e “Tempus visitationis, la primavera dell’ecumenismo”, che documenta l’inattesa e sorprendente messe di frutti ecumenici tra la fine della guerra e i primi anni ’70, dalla fondazione del Consiglio ecumenico delle chiese di Ginevra (1948) al Vaticano II (1962-1965) e agli incoraggianti inizi dei dialoghi bilaterali e multilaterali, l’opera ripercorre quei cammini di comunione che attraversano luoghi, istituzioni, conflitti, intersecano teologie e idee, ma soprattutto incontrano persone e passioni, in cui il sogno dell’unità subisce una vera e propria “metamorfosi”, come la definisce Alberto Melloni nella suggestiva introduzione (“L’accelerazione dell’impossibile”), trasformandosi da «un desiderio dai contorni teologici ancora sfocati, incerto nella pianificazione istituzionale, collocato sul confine seducente dell’utopia» in una «realtà storica, corporea e visibile, quanto l’unità dei cristiani alla quale aspira» (p. 14).
Il lettore condivide con i protagonisti di questa storia la sensazione che l’apertura ecumenica delle chiese, lo storico incontro tra Paolo VI e Athenagoras a Gerusalemme (1964) e la levata degli anatemi del 1054 tra Roma e Costantinopoli alla fine del concilio (1965), dovessero tradursi in una unità visibile, in un appagamento del desiderio che aveva mosso il riavvicinamento tra i cristiani dopo secoli di inimicizia. Inspiegabilmente avviene il contrario. Il successo stesso del movimento ecumenico appare una delle ragioni che ne immobilizza l’esito: il passo decisivo dell’unità, in cui soprattutto ai pastori incombe la responsabilità della decisione, non avviene. Il corso degli eventi sembra rispondere a un’inesorabile legge non scritta, che prescrive che a un risveglio, una primavera, una profezia, debba seguire un inevitabile inverno, una gelata repentina che mette in discussione le speranze suscitate nel popolo di Dio.
Si tratta forse, come suggerisce Melloni, di “una incolpevole superficialità con cui chiese, teologie, società” avevano ritenuto che, per pervenire all’unità e preservare la pace, bastassero l’assenza di conflitti violenti, “la cortesia delle gerarchie ecclesiastiche” e “il dialogo come professione”? O dell’illusione intellettuale che scambia la comprensione dei problemi con la loro soluzione? Spiegare le ragioni del paradosso storico del depotenziarsi del successo ecumenico è il compito che si assumono le rigorose ricerche del volume, che non solo segnano un riferimento in sede storiografica, ma pongono interrogativi che interpellano direttamente quanti, oggi, ereditano la responsabilità degli attori di ieri: teologi, storici, autorità ecclesiastiche.
Paolo VI e Athenagoras si erano impegnati a non compiere atti se non di comune accordo, in una sinfonia che potesse preparare il terreno all’unità delle chiese. Una prassi ecumenica autentica è esigente, perché richiede di vivere radicalmente la fraternità nella reciprocità delle informazioni e del confronto e, soprattutto, la pazienza reciproca. Il pontificato di Francesco, con l’insistenza sulla via sinodale, ci ha mostrato che il cammino ecumenico non può che essere un cammino con gli altri, mai senza gli altri: in divenire, cioè incompiuto come ogni desiderio, ma insieme.
Nelle pieghe di questa storia si annida quella teo-logia che non è di “scuola”, ma che è azione dello Spirito santo che continuamente parla alle chiese (cf. Ap 2,7). Ascoltare la sua voce è un imperativo che sta davanti a tutti i cristiani, ma che il vescovo della chiesa di Roma, che presiede all’unità, deve ascoltare prima e più di tutti.