Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Natività di s. Giovanni il Battista

24/06/2016 00:00

ENZO BIANCHI

Omelie e Lectio,

Natività di s. Giovanni il Battista

Monastero di Bose, 24 giugno 2016Accoglienza liturgica di fr. Francesco È gioia grande nella festa della Natività di Giovanni il Battista, il primo de

Monastero di Bose, 24 giugno 2016
Accoglienza liturgica di fr. Francesco

È gioia grande nella festa della Natività di Giovanni il Battista, il primo dei monaci cristiani, vivere l’accoglienza nella nostra comunità monastica di un fratello che ha percorso il suo cammino in mezzo a noi e con noi ed è giunto, solo per la grazia del Signor sempre immeritata, a dire il suo “amen” all’appello rivoltogli dal Signore Gesù, appello ascoltato, meditato, custodito e vissuto. Francesco è venuto tra di noi giovanissimo, ma il Signore chiama non guardando né all’età, né alla statura, né all’aspetto di un uomo, ma solo al suo cuore (cf. 1Sam 16,7). Celebriamo dunque, o meglio lasciamo che sia il Signore stesso, con la sua Presenza e la sua Parola, a compiere ciò che noi possiamo solo predisporre per la sua azione sovrana ed efficace. Sempre è il Signore che presiede ogni nostra lode, ogni nostra liturgia, ma questa sera in modo più evidente accoglie alla sua sequela colui che ha chiamato, lo elegge come suo discepolo perché “stia con lui” (cf. Mc 3,14).

Ascoltiamo perciò il vangelo che ci testimonia come Dio opera nella vita di un uomo, di una donna. Innanzitutto non dobbiamo dimenticare l’in-principio. C’è una donna anziana e sterile, Elisabetta, e un uomo, Zaccaria, suo marito, sacerdote, anche lui anziano. A due anziani, che forse molti ritengono scarti, il Signore fa un dono: il dono di un figlio che avrà una missione particolarissima come precursore del Messia veniente. Un figlio grande davanti al Signore,

pieno di Spirito santo,
che avrà il nome di Jochanan, “il Signore fa grazia, fa misericordia”

(cf. Lc 1,13.15-16).

Com’è possibile? Da chi è anziano può venire qualcosa di determinante? Ma il Signore opera in modo sorprendente, ed ecco che Elisabetta resta gravida (cf. Lc 1,24) e Zaccaria muto, perché non sa che cosa dire di fronte a tale novità (cf. Lc 1,20). Poi per Elisabetta si compie il tempo del parto, la gravidanza giunge a pienezza, ed ella dà alla luce un figlio, suscitando la gioia meravigliata di tutti quelli che constatano la misericordia del Signore in azione. All’ottavo giorno dopo la nascita, il bambino viene circonciso, diventando così figlio di Israele, in alleanza con il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe. Il nome consegnato da Zaccaria a sua moglie è quello che Elisabetta dà al bambino, opponendosi ai parenti, in obbedienza alla parola del Signore: Giovanni. E quando il nome è dato, allora anche Zaccaria riprende la parola per benedire Dio.

Tutti quelli che ascoltano il realizzarsi di questi fatti, accogliendo le parole dell’annuncio nel loro cuore, le custodiscono come domanda preziosa: “Che sarà mai questo bambino?”. Il bambino nato, Giovanni, resta un segno misterioso, una creatura che interroga; e a queste domande sulla sua identità, egli non risponderà mai guardando a sé ma piuttosto guardando a un altro, al Signore, al quale sempre farà riferimento. Non oserà dirsi parola, ma solo voce imprestata alla Parola: “Io, voce” (Gv 1,23; cf. Is 40,3); non dirà mai di essere un profeta, ma parlerà a nome del Signore. Sarà Gesù a parlare di lui, a interrogare e a rispondere alle domande sulla sua identità:

Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo avvolto da vesti lussuose? Ecco, quelli che indossano vesti lussuose amano stare nei palazzi dei potenti. Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, uno che è più grande di un profeta … Tra i nati da donna – io vi dico – nessuno è più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio [cioè io, dice Gesù] è più grande di lui (Lc 7,24-26.28; cf. Mt 11,7-9.11).

Ecco l’identità di Giovanni, l’inviato come messaggero davanti al Kýrios, al Signore, per preparargli la strada (cf. Lc 7,27; Mt 11,10; Ml 3,1; Es 23,20).

Da sempre noi monaci nutriamo un grande amore per Giovanni e sentiamo la sua figura come esemplare per noi, non tanto per i suoi tratti ascetici, ma per la sua postura, la sua missione: il suo non stare mai al centro, ma l’essere sempre in una postura che indica, fa spazio, fa segno al Signore Gesù Cristo; il suo apparire forte ed eloquente, ma per fare silenzio di fronte alla voce dello Sposo che viene (cf. Gv 3,29); la sua grandezza davanti al Signore che si fa piccola, diminuisce, affinché il Cristo cresca (cf. Gv 3,30). E poi la sua postura morale: l’audacia di una parola dura, lo sdegno e la collera come manifestazioni della sua passione per Dio e per i suoi figli, il suo essere consapevole di dover pagare ogni parola che diceva, la sua estraneità rispetto agli uomini di potere… E infine il solo, unico desiderio che lo abitava: vedere realizzate le azioni del Messia, non a caso l’ultima domanda che egli, ormai in carcere, manda a porre a Gesù (cf. Lc 7,18-23; Mt 11,1-6).

Sì, la nostra vita monastica, pienamente ispirata del comportamento e dalle parole di Gesù, non dimentica la vocazione e il ministero di colui che si è voluto al servizio di Gesù, preparandogli la strada (cf. Mc 1,3 e apr.; Is 40,3). Sta a noi, oggi, trovare l’intelligenza e la forza di preparare una strada al Signore, affinché sia possibile l’incontro tra lui e quanti lo cercano o non lo cercano, ma tengono viva nel cuore la passione per l’uomo, per l’umanità sempre bisognosa di trovare una vita salvata, una vita sensata, una vita sulla quale gli umani possano mettere il sigillo che riconosce una vera umanità. Precursori, sentinelle, ai bordi del deserto, sempre nella solitudine anche quando sentiamo di essere comunità, abbiamo un piccolo compito: con la nostra vita e le nostre parole fare segno non a noi stessi, non organizzando il consenso attorno a noi, ma indicando sempre e solo Gesù Cristo come l’unica ragione del nostro duro mestiere di vivere, l’unica speranza.

Al caro e amato Francesco, che dopo quasi cinque anni, dopo una lunga probazione, viene accolto tra noi, dico una sola parola: Non temere, il Signore non delude mai! Gli umani, i fratelli, le sorelle a volte sono molto più che deludenti, sono scandalo e inciampo, e la stessa comunità può diventare un corpo deforme di Cristo, ma anche in queste possibili situazioni Cristo è e sarà sempre il Signore, e sta a te seguirlo. Questa sera c’è gioia in cielo e qui in terra, e io come priore te la voglio testimoniare. Francesco, ringrazia il Signore che fin da piccolo ti ha colmato di grazie speciali, ringrazia quelli che ti hanno aiutato e accompagnato nei momenti faticosi della vita, ringrazia la tua famiglia che ti ha battezzato e fatto cristiano. E confida, confida nel Signore!