Osservatore Romano
L’11 ottobre del 1962, aprendo il concilio da lui voluto, papa Giovanni pronunciò la prolusione che dal suo incipit tutti conosciamo come “Gaudet mater ecclesia ”, “La chiesa che è madre gioisce”. Si tratta di un discorso ispirato, profetico, che segna un prima e un dopo nella vita della chiesa; un discorso che indicava al concilio una via nuova da percorrere, una via che non esprimeva condanna, come era avvenuto nei ventuno concili universali celebrati nella storia, ma annunciava la fede con mitezza e misericordia. È sufficiente citare uno stralcio di quella famosa allocuzione:
Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo con più luminosità il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando … La chiesa … vuole mostrarsi madre piena di amore per tutti, tenera, paziente, mossa da misericordia e da bontà anche verso i figli da lei separati.
Il buon samaritano in un’icona romena (7,2.3)
Con queste parole papa Giovanni apriva un nuovo tempo e poneva fine a una lunga epoca caratterizzata da una forte intransigenza assunta nella difesa della dottrina cattolica, nella proposizione della morale e nel confronto polemico tra chiesa e società, tra cattolici e quanti non si dicevano cristiani. Intransigenza, rigorismo e ministero di condanna dovevano lasciare posto, secondo la volontà del papa, a una nuova situazione caratterizzata dall’impegno e dalla fatica del fare misericordia e dell’annunciarla. Il concilio percorse quella via indicata dal papa, non solo non emettendo condanne, ma cercando la riconciliazione con quanti avevano vissuto rotture, separazioni e conflitti con la chiesa.
Paolo VI confermò questo cammino intrapreso e, soprattutto attraverso l’enciclica Ecclesiam suam (6 agosto 1964), diede impulso al dialogo, abbattendo muri e bastioni, inaugurando coraggiosamente quell’ascolto dell’umanità non cristiana, quel dialogo e quello scambio che hanno permesso, pur tra molte contraddizioni, la corsa del Vangelo (cf. 2Ts 3,1) anche nell’epoca della modernità, nei nostri giorni.
Era comunque inevitabile che, in presenza della rivoluzione culturale a livello mondiale degli anni ’70 del secolo scorso, di fronte a inedite difficoltà della missione e dell’evangelizzazione, scoprendo l’emergenza dell’inattesa “indifferenza” da parte delle nostre società occidentali e constatando il misconoscimento in atto dei valori evangelici essenziali, la chiesa qualche volta reagisse mostrandosi nuovamente timida, paurosa e tentata dal rigore, con sguardi nostalgici verso i tempi passati, quelli della “cristianità”. Tuttavia, attraverso Giovanni Paolo II, in particolare grazie alla sua enciclica Dives in misericordia (30 novembre 1980), e poi attraverso Benedetto XVI, il cammino intrapreso con il Vaticano II non solo non fu contrastato, ma ricevette importanti impulsi teologici.
Ed ecco, poco più di tre anni fa, il successore di Pietro prende il nome di Francesco e subito fa risuonare con un tono nuovo e forte la parola “misericordia”. Queste le sue parole:
[Occorre] ascoltare la voce dello Spirito che parla a tutta la chiesa in questo nostro tempo, che è proprio il tempo della misericordia . Di questo sono sicuro … Noi stiamo vivendo in tempo di misericordia .
(Discorso ai parroci di Roma, Aula Paolo VI, 6 marzo 2014)
Nei discorsi, nelle omelie e nei documenti di Francesco appaiono con frequenza i termini “misericordia” e “tenerezza” (biblicamente sinonimi), che diventano le parole-chiave del suo servizio petrino. Proprio attorno alla misericordia di Dio papa Francesco vuole convocare la chiesa, per spingerla verso l’umanità, affinché si conosca e si sperimenti l’amore del Signore, per poterlo vivere quotidianamente tra uomini e donne, sulla terra. Il magistero dell’attuale papa è contrassegnato dal paradigma della misericordia che ispira il suo parlare e scrivere, ma soprattutto i suoi gesti, la sua postura quotidiana.
Ora, occorre riconoscere che l’annuncio della misericordia fatto da Francesco, misericordia da viversi come chiesa, scandalizza chi ribatte: “Così è troppo!”; è contestato da chi afferma: “La dottrina non è più rigorosa!”; è deriso da chi giudica il papa “un ingenuo bonario che non conosce l’arte del potere”. D’altra parte per molti, per noi, Francesco, che è venuto non solo dalla periferia della chiesa, ma dai profondi “ interiora ecclesiae”, fa risuonare semplicemente la buona notizia: notizia, per l’appunto, buona, affidabile, desiderabile, attesa e sentita come urgente per la consolazione e la speranza dei poveri. Ci eravamo abituati all’idea che la misericordia di Dio fosse un correttivo alla sua giustizia, una proclamazione necessaria per infondere un po’ di speranza in quanti erano colpiti dalla terribile giustizia e dal terribile giudizio del Signore, e invece ora ascoltiamo nuovamente la novità del Vangelo, come la sentivano dalla bocca di Gesù i peccatori, i malati, i poveri. Perché questo primato dato da papa Francesco alla misericordia rispetto alle altre virtù? Perché tale primato le è conferito dalle sante Scritture dell’Antico e del Nuovo Testamento e inoltre perché il papa afferma che lui stesso è stato raggiunto dalla misericordia di Dio, ha vissuto su di sé quell’esperienza riassunta nel motto che ha voluto imprimere sul suo stemma papale: “ Miserando atque eligendo ”, “avendo misericordia e scegliendomi” (Beda il Venerabile, Omelie 21), il Signore mi ha chiamato.
1.Riconciliati con Dio
Tutte le sante Scritture sono testimonianza di una ricerca dell’umanità da parte di Dio, che l’ha voluta e creata, dotandola di dignità e di estesa, intangibile libertà. A causa del male che seduce l’essere umano, lo tenta e lo fa cadere come sua preda, Dio da sempre non lo abbandona a questa alienazione mortifera, ma lo cerca, gli viene incontro e gli offre il dono del suo amore mai venuto meno e, soprattutto, mai da meritare. Resta emblematico il gesto che Dio compie verso l’umanità in Adamo ed Eva: quando essi prendono consapevolezza del loro peccato e, sentendosi nudi, fuggono da Dio nella paura, Dio stesso fa per loro dei vestiti e li ricopre (cf. Gen 3,21).
Questo è il primo atto di misericordia da parte di Dio verso ciascuno di noi, quando, nel nostro venire al mondo, scopriamo di essere abitati dal male e di acconsentire a esso. Avendo scelto la lontananza da Dio, meriteremmo di restare lontani da lui nella vergogna e nella colpa, e invece Dio ci offre un abito per coprire il nostro peccato, per perdonarci e riconciliarci con lui. Questa esperienza è fondamentale, e dovremmo domandarci se siamo impegnati a trasmetterla ai nostri figli, alle nuove generazioni, come esperienza passiva di essere amati proprio nel nostro peccato, nella nostra fragilità, da chi ci ama senza chiederci di meritare il suo amore. Sono convinto che questa esperienza possibile nella fede cristiana può davvero ri-strutturare un’intera vita, può essere sanante, redentiva, perché è l’esperienza che ci fa sentire “figli amati, voluti” da Dio, al di là delle della volontà di chi ci ha messi al mondo, al di là del caso o della necessità.
Oso dire, con audacia sì, ma un’audacia autorizzata dal Vangelo, che proprio a causa del nostro peccato Dio ci viene incontro e si fa conoscere a noi “ miserando”, con sguardo di misericordia, e ci dà la conoscenza della salvezza possibile qui sulla terra: “conoscenza della salvezza” – come cantiamo ogni mattina nel Benedictus – “nella remissione dei nostri peccati” (cf. Lc 1,77). Agostino ha cantato: “ O felix culpa!”, riferendosi al peccato di Adamo ed Eva, ma noi possiamo ripeterlo guardando al nostro peccato, grazie al quale Dio ci è venuto incontro, si è fatto conoscere rivelando il suo amore gratuito, il suo volto di misericordia. Chi non si sente peccatore, malato, cieco, non può conoscere la misericordia, non può sentirsi riconciliato con Dio, perché confida nel suo essere giusto, sano, vedente. Gesù, infatti, ha proclamato con forza: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. Andate a imparare che cosa vuol dire: ‘Misericordia io voglio e non sacrifici’ (Os 6,6). Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori” (Mt 9,12-13). E ancora: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane” (Gv 9,41).
Queste parole, che hanno scandalizzato gli uomini religiosi, gli scribi e i farisei, cioè i legalisti e i devoti, se siamo sinceri scandalizzano anche noi, sempre tentati di annoverarci tra i sani, i giusti, gli osservanti, i fedeli; soprattutto se abbiamo ereditato un’immagine di Dio che, essendo giusto, deve fare giustizia punendo e castigando. Nel nostro cuore è innestata quella legge, quella dinamica ben espressa dal titolo del romanzo (molto cristiano!) di Fëdor Dostoevskij: “Delitto e castigo”. Ovvero, dove c’è il peccato ci vuole la pena, il castigo che Dio può mitigare con la misericordia, ma la giustizia va onorata ed esercitata! In verità, la giustizia di Dio così intesa è giustizia umana, come ha notato anche papa Francesco:
Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza … Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo a essa rischia di distruggerla.
(Bolla di indizione del Giubileo straordinario della misericordia Misericordiae vultus 20.21, 11 aprile 2015).
Questa è la giustizia degli scribi e dei farisei, dei giusti incalliti che la proiettano su Dio, la giustizia di cui Gesù ha detto: “Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 5,20). In Dio la giustizia è sovrana, ma non è la nostra giustizia: è una giustizia che ha la misericordia come lato esposto all’esterno, come dinamica quando si mette in movimento e si realizza, perché “Dio è” innanzitutto “amore” (1Gv 4,8.16), misericordia, grazia, tenerezza nella sua essenza. Al riguardo, mi basta qui ricordare la rivelazione del Nome di Dio consegnato a Mosè: “Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e compassionevole” (Es 34,6), nonché lo splendido soliloquio di Dio rivelato dal profeta Osea. Il popolo di Dio è diventato idolatra, ha rinnegato il suo Signore, ha rotto l’alleanza, e dunque Dio deve intervenire: anche lui romperà forse l’alleanza e abbandonerà il suo popolo ai castighi che si è meritato? Ma ecco il suo soliloquio:
Come potrei abbandonarti, Efraim,
come consegnarti ad altri, Israele? …
Il mio cuore “si rivolta” contro di me,
il mio intimo freme di compassione.
Non sfogherò l’ardore della mia ira,
non distruggerò Efraim,
perché sono Dio e non un umano;
sono il Santo nel tuo grembo
e non verrò a te nella mia collera.
(Os 11,8-9)
Ecco la grande rivelazione: nel cuore di Dio il sentimento della misericordia si rivolta contro quello della giustizia e lo vince, perché Dio non agisce secondo la giustizia umana, anzi la sua santità, quando viene a noi, si mostra come misericordia. Per questo sempre il profeta Osea predica queste parole da parte del Signore, già evocate perché ricorrono anche sulle labbra di Gesù (cf. Mt 9,13; 12,7):
Io voglio l’amore ( chesed) e non il sacrificio,
la conoscenza di Dio e non gli olocausti.
(Os 6,6)
Cioè, decodificando per noi:
Voglio la misericordia vissuta tra voi,
non i sacrifici fatti a me;
voglio la conoscenza di Dio,
che è nient’altro che pratica della misericordia,
non offerte fatte a me!
Ecco come il Signore ci riconcilia con sé: una riconciliazione che ha come protagonista Dio, che Dio ci offre, che per noi è sempre immeritata, in quanto gratuita e preveniente. L’Apostolo Paolo, nella contemplazione e nella fede in “Gesù Cristo consegnato alla morte per i nostri peccati e risuscitato per la nostra giustificazione” (cf. Rm 4,25), proclama:
Dio ha riconciliato a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini i loro peccati e affidando a noi la parola della riconciliazione. In nome di Cristo, dunque, siamo ambasciatori: per mezzo nostro è Dio stesso che esorta. Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio!
(2Cor 5,19-20)
Dobbiamo solo predisporre tutto in noi stessi per accogliere questo dono gratuito della misericordia di Dio, un dono che in noi produce la conversione, il ritorno a lui, e quindi ci fa vivere nella comunione con il Signore. Papa Francesco ci dona un’immagine piena di consolazione in proposito, riflettendo sulla parabola della pecora smarrita (cf. Lc 15,4-7):
Il Signore non può rassegnarsi al fatto che anche una sola persona possa perdersi. L’agire di Dio è quello di chi va in cerca dei figli perduti per poi fare festa e gioire con tutti per il loro ritrovamento. Si tratta di un desiderio irrefrenabile: neppure novantanove pecore possono fermare il pastore e tenerlo chiuso nell’ovile. Lui potrebbe ragionare così: “Faccio il bilancio: ne ho novantanove, ne ho persa una, ma non è una grande perdita”. Lui invece va a cercare quella, perché ognuna è molto importante per lui, [e la più importante è] la più bisognosa, la più abbandonata, la più scartata; e lui va a cercarla. Siamo tutti avvisati: la misericordia verso i peccatori è lo stile con cui agisce Dio e a tale misericordia egli è assolutamente fedele: nulla e nessuno potrà distoglierlo dalla sua volontà di salvezza. Dio non conosce la nostra attuale cultura dello scarto … Dio non scarta nessuna persona; Dio ama tutti, cerca tutti: uno per uno! Lui non conosce questa parola, “scartare la gente”, perché è tutto amore e tutta misericordia … Nella visione di Gesù non ci sono pecore definitivamente perdute, ma solo pecore che vanno ritrovate. Questo dobbiamo capirlo bene: per Dio nessuno è definitivamente perduto. Mai! … Siamo tutti noi pecore ritrovate e raccolte dalla misericordia del Signore, chiamati a raccogliere insieme a lui tutto il gregge!
(Udienza generale del 4 maggio 2016)
2. Artefici di riconciliazione
Se la beatitudine proclamata da Gesù è: “Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia” (Mt 5,7), vi è un’altra sua parola, anzi due, altrettanto decisive, che risuonano quale comando che invera e rinnova l’antico comando donato a Israele: “Siate santi, perché io, il Signore Dio vostro, sono santo” (Lv 19,2; cf. 1Pt 1,16). In parallelo, Gesù comanda: “Siate téleioi, siate perfetti, compiuti, come è perfetto, compiuto il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 5,48), e nel passo parallelo Luca precisa: “Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro” (Lc 6,36). La santità, la perfezione è la misericordia! Chi ha ottenuto gratuitamente la misericordia da Dio deve fare misericordia agli altri, chi è stato riconciliato da Dio deve riconciliarsi con gli altri e riconciliarli: questo significa vivere in pienezza!
Per esprimere tale verità, tenterò qui di seguire papa Francesco, di echeggiare il suo insegnamento, anche se l’operazione risulta difficile a causa dell’abbondanza delle sue parole sulla misericordia. La mia vorrebbe dunque essere solo una traccia, una sintesi che evidenzia i concetti espressi più frequentemente da Francesco.
a. Siamo bisognosi di misericordia
Innanzitutto, per fare misericordia occorre essere consapevoli della misericordia che Dio ha fatto a noi. Solo se non ci crediamo giusti, conoscendo quindi la misericordia di Dio, saremo abilitati a fare misericordia agli altri, i quali sono solidali con noi nel cedere al male, nel peccare. Se invece, a causa di una nostra pretesa giustizia, giudichiamo gli altri o addirittura li disprezziamo, come il fariseo della parabola (cf. Lc 18,9-14), siamo da iscrivere tra quelli che il papa definisce i corrotti e gli ipocriti. Spesso il papa ha parole di fuoco per quelli che si pensano giusti e migliori degli altri, mentre è comprensivo e misericordioso verso quelli che, come il pubblicano della stessa parabola, osano soltanto dire, senza tenere la testa dritta con alterigia: “O Dio, abbi pietà di me peccatore” (Lc 18,13).
Purtroppo molti tra gli uomini e le donne del nostro tempo sono tenuti lontano dal Signore proprio dalla pretesa giustizia dei credenti, dei “cristiani del campanile”, di quelli che vantano un’appartenenza alla chiesa sentendosi già salvati, e sovente allontanano i peccatori, emarginano quelli che hanno un comportamento che contraddice la legge e li pone “fuori del campo”. Ma Cristo ha voluto morire fuori dell’accampamento (cf. Eb 13,12), per questo l’autore della Lettera agli Ebrei significativamente esorta: “Usciamo dunque verso di lui fuori dell’accampamento, condividendo la sua vergogna” (Eb 13,13), a costo di essere annoverati come lui tra i peccatori. E invece dentro di noi, da sempre detti cristiani, abita il virus del giusto incallito, del religioso che si crede salvo. Per fare misericordia, per riconciliare è dunque assolutamente necessario abbassarsi, conoscere l’umiliazione e sentirsi solidali nel peccato con i nostri fratelli e sorelle in umanità.
b. Siamo chiamati a fare misericordia
Papa Francesco ci spinge a fare misericordia anche ammonendoci a vigilare affinché la misericordia non resti solo un’emozione, un sentimento viscerale che si prova nell’incontro con l’altro, con il bisognoso: “La misericordia … è un cammino che parte dal cuore per arrivare alle mani” (Udienza generale del 10 agosto 2016), ossia deve diventare azione, prassi, cura dell’altro, del suo bisogno, della sua sofferenza. Il dialogo tra Gesù e il dottore della legge dopo la parabola del samaritano è molto significativo al riguardo:
(Gesù chiese): “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?”.
Quello rispose: “Chi ha fatto misericordia a lui”.
Gesù gli disse: “Va’ e anche tu fa’ lo stesso”.
(Lc 10,36-38)
Fare misericordia è mettere in pratica le opere di misericordia, ma può e deve esprimersi anche in modo inatteso, risvegliando l’intelligenza e la creatività del discepolo e della discepola di Gesù. Ci sono bisogni sempre inediti, ci sono povertà spesso nascoste, ci sono miserie spesso non comprese! E i primi destinatari di questo fare misericordia devono essere i poveri, i quali ci chiedono quell’opzione preferenziale vissuta e predicata da Gesù stesso (cf. Lc 4,18-19; Is 61,1-2), che non solo ha annunciato loro la buona notizia, ma ha assunto la loro condizione per vivere la comunione con loro: “Da ricco che era, si è fatto povero per noi” (cf. 2Cor 8,9).
Di più, noi cristiani oggi dovremmo tentare di dare alla misericordia e alla riconciliazione una valenza anche sociale, a volte politica. Lo chiedeva già Giovanni Paolo II nel suo profetico Messaggio per la XXXV Giornata mondiale della pace (1° gennaio 2002: “Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono”), quando scriveva: “Solo nella misura in cui si affermano un’etica e una cultura del perdono, si può anche sperare in una ‘politica del perdono’, espressa in atteggiamenti sociali e istituti giuridici, nei quali la stessa giustizia assuma un volto più umano” (§ 8). Francesco si muove su questo stesso solco, attuando con la sua azione a livello internazionale una vera politica di riconciliazione, per quanto gli è possibile.
c. Il volto misericordioso della chiesa
Infine, per papa Francesco misericordia significa dare alla chiesa tutta un volto di misericordia: la chiesa quale “ mater misericordiae ”, titolo che le spetta, come spetta a Maria, icona della chiesa. L’esortazione apostolica post-sinodale Amoris laetitia (19 marzo 2016) vuole essere un grande invito rivolto a tutti affinché la chiesa assuma un volto misericordioso. Sappiamo che questo documento crea ad alcuni difficoltà, soprattutto a quanti, presenti anche nella chiesa, sono maestri esperti nell’inoculare il sospetto, il dubbio, la paura. Costoro temono che la misericordia diventi un “lasciar fare”, varco verso una superficialità che toglie la responsabilità, che finisca per favorire un cristianesimo debole, dove non c’è più la grazia a caro prezzo.
Ma la grazia è stata conquistata a caro prezzo da Gesù Cristo nella sua passione e morte in croce (cf. 1Cor 6,20; 7,23; 1Pt 1,18) proprio perché fosse donata a noi con abbondanza, perché fosse possibile a Dio “rendere giusto il peccatore” (cf. Rm 4,5). Solo chi è raggiunto dall’incandescente perdono gratuito di Dio può sentire in sé il bisogno di conversione e lasciarsi riconciliare. Solo chi si sente amato gratuitamente, senza aver meritato l’amore, conosce veramente il volto di Dio, cioè Gesù Cristo che lo ha narrato ( exeghésato: Gv 1,18), passando tra di noi, facendo il bene e facendo arretrare il demonio, guarendo e liberando (cf. At 10,38).
Conclusione
Tra i libri profetici c’è una vera e propria perla, il libro di Giona. Da un lato è il più bel canto della misericordia di Dio, dall’altro è una denuncia di quei credenti che non sanno rallegrarsi
quando la salvezza è donata a quanti sono da loro ritenuti indegni,
quando torna a casa il figlio perduto e si fa festa per lui (cf. Lc 15,11-32),
quando il pastore trova la pecora perduta e fa festa per lei sola (cf. Lc 15,4-7),
quando gli ultimi ricevono la stessa ricompensa dei primi, perché il padrone è misericordioso (cf. Mt 20,1-15).
Conoscete l’avventura di Giona. Dio gli chiede di andare a Ninive, la grande città capitale dell’impero oppressore e nemico di Israele, per annunciarle che sarà distrutta per i peccati dei suoi abitanti. Giona non obbedisce e fugge, ma Dio lo riporta alla sua missione ed egli è costretto a predicare a Ninive. Allora gli abitanti (e persino gli animali!) di quella città hanno fede e mutano il loro comportamento: lasciano la strada cattiva e abbandonano la violenza e l’ingiustizia. Allora Dio cambia, muta il suo proposito e fa loro misericordia. Ma Giona, vedendo ciò, si arrabbia terribilmente, fino a voler morire. Eloquenti le sue parole, che mostrano il suo fastidio proprio per la misericordia del Signore: “Io sapevo che tu sei un Dio misericordioso e compassionevole, lento all’ira, grande nell’amore, che ti converti riguardo al male minacciato. Or dunque, Signore, toglimi la vita, perché è meglio per me morire che vivere!” (Gn 4,2-3).
Sì, in Dio prevale la misericordia sulla giustizia, ma chi ha annunciato la giustizia non si rallegra, anzi si incattivisce… Nella chiesa odierna ci sono ancora tanti Giona, predicatori zelanti, ma papa Francesco ci ricorda continuamente che Gesù è stato il vero profeta fedele a Dio, non tentato di assumere i sentimenti e lo stile di Giona: Gesù ha annunciato la misericordia a tutti, a tutti, dando la vita per tutti, per tutti (cf. Mc 10,45; Mt 20,28; Is 53,11-12)!
Pubblicato su: Osservatore Romano