13 febbraio 2016 di ENZO BIANCHI
Quando in una persona, in un cristiano vi sono una convinzione profonda, una santa risolutezza e una capacità di abbassarsi, allora l’impossibile può diventare realtà. Papa Francesco – va riconosciuto e sarà ricordato nella storia delle relazioni tra le chiese cristiane – rende possibile ciò che per decenni era rimasta soltanto un’ipotesi, un desiderio, sui quali dominava però la logica della dilazione: “I tempi non sono ancora maturi, occorre lasciare allo Spirito di decidere il quando…”, si diceva.
Perché questo incontro tra il vescovo di Roma, che è anche patriarca d’Occidente, e il patriarca di Mosca e di tutta la Russia non è stato possibile finora? Per rispondere a questa domanda occorre avere una buona memoria e uno sguardo non piegato alla logica politica che cerca solo le ragioni del potere o di una “santa alleanza” diventata urgente in un mondo che non conosce più la cristianità, ma anzi in molte nazioni conosce la persecuzione dei cristiani. In papa Francesco e nel patriarca Kirill c’è la consapevolezza che i cristiani divisi, separati e sovente in opposizione sono una contraddizione al Vangelo, una situazione che talvolta rende sterile l’evangelizzazione. Kirill è un vescovo convinto della necessità dell’ecumenismo, e di questo ha dato testimonianza anche prima di diventare patriarca, sia al Consiglio ecumenico delle chiese, sia con la sua presenza a molte iniziative della chiesa cattolica in vista della pace. Discepolo del metropolita Nikodim, il primo che iniziò un dialogo autorevole con Roma, morendo tra le braccia di Giovanni Paolo I dopo avergli manifestato la sua ansia per l’unità della chiesa e avergli palesato la testimonianza comune di martiri cattolici e ortodossi in Russia, Kirill venne anche a Bose in occasione del dialogo cattolico-ortodosso sulla spiritualità russa. Da patriarca si è sempre avvalso dell’esperto e fine intellettuale Ilarion, da lui creato metropolita e incaricato dei rapporti con le altre chiese.
In questi itinerari va dunque cercata la possibilità dell’incontro avvenuto. Il papa ha certamente facilitato tale incontro, non ponendo nessuna condizione, pur di poter abbracciare chi chiama e riconosce come fratello. Dobbiamo non aver paura di riconoscerlo: è Francesco che è andato da Kirill, non viceversa, e la dichiarazione congiunta sottoscritta da entrambi non è certo l’elemento più importante di questo evento. Certamente rallegrerà molto gli ortodossi la dichiarazione del rifiuto del metodo dell’uniatismo usato nel passato come via di comunione, e rallegrerà i greco-cattolici il riconoscimento del loro diritto a esistere: la riconciliazione e la pace devono essere perseguite da entrambe le parti in modo da non vivere in diffidenza e concorrenza reciproca.
Ma l’incontro in sé e le parole scambiate tra Francesco e Kirill sulla ricerca della comunione e su come difendere e custodire la presenza delle antichissime chiese e dei cristiani in medio oriente e in Africa, un giorno si riveleranno molto più decisivi delle parole del comunicato, che certamente contiene novità di aperture e accenti ecumenici per la chiesa ortodossa russa. L’incontro tra due fratelli che dopo mille anni si abbracciano, incontro avvenuto in modo inedito, in un aeroporto, in una terra contrassegnata dalla frattura tra est e ovest, senza la presenza della folla ad applaudire e a giubilare, è un grande segno profetico e lo si capirà meglio in futuro. Nessun clima da mega-evento, nessuna celebrazione, nessun cerimoniale: non siamo abituati a tanta semplicità, ma la modalità di questo incontro segnerà il futuro dell’ecumenismo.
E così papa Francesco, senza mai rivendicare la preminenza che pur la chiesa cattolica crede, sancisce anche un metodo attestato, che dal concilio in poi contrassegna l’ecumenismo cattolico verso gli ortodossi: non dialoghi bilaterali riservati a una chiesa ortodossa specifica, non un incoraggiamento dell’azione di una chiesa a scapito dell’altra, secondo la tattica definita “dei due forni”. Questo incontro non segna certamente il ristabilimento della comunione, anche se papa Francesco ha dichiarato che non vede ostacoli dovuti a proprie rivendicazioni, ma d’ora in poi non è più come prima nel dialogo tra chiesa cattolica e chiese ortodosse. Tutti i primati delle chiese hanno incontrato il vescovo di Roma e la sinfonia di un’unità nella diversità può iniziare a farsi sentire. Anche il sinodo panortodosso che si celebrerà in giugno a Creta non potrà essere vissuto come se questo incontro non ci fosse stato.
Pubblicato su: Avvenire