Carissimi,
in questo triduo pasquale, ascoltata la parola del Signore nelle divine letture che fondano e illuminano le nostre liturgie, abbiamo meditato sul proprium, sul messaggio “particolare” dell’Apostolo o del vangelo che ci raccontano la passione di Gesù.
E perciò in questa santissima notte vogliamo cogliere l’annuncio pasquale della resurrezione nel vangelo secondo Matteo, mettendo in evidenza ciò che lo caratterizza rispetto agli altri vangeli. Leggiamo con attenzione, mai stanchi di leggere le stesse parole, lo stesso brano della Scrittura, nella chiarissima consapevolezza che grazie alle energie dello Spirito santo possiamo conoscere sempre di più Cristo, possiamo essere sempre di più attratti da lui, afferrati da lui, perché lo ascoltiamo, perche siamo assidui alla sua Parola.
Ogni volta che leggiamo il Vangelo con attenzione, umiltà e obbedienza, il Vangelo ci appare “buona notizia”, ci appare nuovo, con qualche parola che in modo nuovo sa giungere al nostro cuore per spingerci a mutare le nostre vite. Ogni volta che ascoltiamo il Vangelo, c’è per noi la possibilità di un nuovo inizio, come lo è stato per le discepole in quell’alba del primo giorno della settimana dopo la morte di Gesù.
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Quel giorno che doveva sigillare la fine, il termine della vicenda umana di Gesù e della sua comunità, coinvolta nella sua vita, è diventato un nuovo inizio un “primo giorno”, anzi è diventato il giorno del Signore, Jom Adonaj, dunque dies dominica, domenica. Proprio nella prospettiva secondo qui quell’alba apriva il giorno del Signore – giorno della manifestazione del Signore, e quindi del giudizio sulla storia, giorno annunciato dai profeti –, Matteo annota che le discepole di Gesù, precisamente due, “Maria di Magdala e l’altra Maria, vennero a vedere la tomba” (theorêsai tòn táphon).
Secondo Matteo le donne discepole di Gesù avevano attraversato la sua passione cercando di stare vicino a lui, ma in realtà restando lontane. Avevano osservato da lontano la crocifissione (cf. Mt 27,55), dopo la sepoltura erano restate sedute di fronte alla tomba (cf. Mt 27,61), e all’alba del terzo giorno sono loro le prime e le uniche a visitare il sepolcro.
Ma ecco, ci fu un gran tremore della terra, ci fu l’angelo del Signore che scese dai cieli, la pietra che chiudeva la tomba fu tolta e l’angelo vi si sedette sopra, nella luce di un lampo e nella luce del suo vestito bianco. “Kaì idoù”, “ed ecco” la rivelazione, “l’alzare il velo” su quell’evento della morte e sepoltura di Gesù: è la venuta del giorno del Signore, dunque c’è tremore della terra, c’è il messaggero del Signore, c’è il lampo, c’è lo splendore del vestito bianco e c’è spavento, timore di Dio per l’irrompere di quel giorno del Signore.
Come Dio si era manifestato tante volte ai profeti nell’Antico Testamento, come era stata annunciata dai profeti questa teofania, manifestazione di Dio decisiva e definitiva nel suo “giorno”, così è avvenuto quel mattino di Pasqua. E la venuta del Signore sempre causa spavento, timore! Per questo le guardie messe da Pilato a sorvegliare la tomba sono spaventate, addirittura tramortite – annota soltanto Matteo – di fronte a quella pietra, segno della morte implacabile ma rimossa e resa trono per l’angelo che, sedutosi su di essa, annuncia e giudica nella forza di Dio. Quelli che era stati posti da Pilato e dai sacerdoti per vigilare un morto, ora sono morti, mentre chi era morto è vivo e vincitore!
Ma alle donne l’angelo dice: “Voi non abbiate paura, non temete!”, “Mè phobeîsthe hymeîs”. “Sì, voi non dovete avere paura! Le guardie, gli altri sì, ma voi non dovete temere, perché questo evento, questa venuta del giorno del Signore è buona notizia, è Vangelo. Io so” – dice l’angelo – “che voi cercate Gesù il Crocifisso.
Questi eventi, tremore della terra, pietra rotolata via, sepolcro vuoto, sono segni, ma io vi do il fondamento della fede che solo può colmare la vostra ricerca”. Quelle discepole cercavano un morto, cercavano il Crocifisso, perché l’ultima realtà del loro rabbi, profeta e Messia era quella di un uomo morto in croce; ma per loro c’è la buona notizia e per questo non devono avere paura: “Non è qui nel regno dei morti, non è in una tomba tra le tombe, ma è stato risuscitato da Dio!”. Questo il messaggio pasquale che deve impedire alle discepole di avere paura.
La paura è una forza demoniaca che ci abita e a causa della quale ci alieniamo e diventiamo schiavi. Ogni nostra idolatria, ogni nostra schiavitù, ogni nostra alienazione nascono dalla paura: sia schiavitù al denaro, sia schiavitù al piacere, sia schiavitù ai nostri idoli più propri e personali, sempre la nostra schiavitù nasce dalla paura.
È la paura che nutre il nostro “io violento”, è la paura che alimenta il nostro “io egoista”, philautico, è la paura che ci fa sentire la morte come incolmabile abisso. Lo dice la Lettera agli Ebrei: “phóbo thanátou dià pantòs toû zên énochoi êsan douleías”, “per paura della morte alienati per tutta la vita” (Eb 2,15). “È stato risuscitato, è risorto!”: ecco l’annuncio che spegne ogni paura, ogni timore.{mospagebreak} {mosimage}
Solo così, senza paura, le donne sono fatte apostole, inviate a evangelizzare, a portare la buona notizia agli altri discepoli che erano tutti fuggiti, abbandonando Gesù nella sua passione e morte (cf. Mt 26,56). Queste donne sono abilitate all’annuncio del Vangelo, sono inviate come erano stati inviati i Dodici (cf. Mt 10), anzi sono inviate agli undici per consegnare loro il Vangelo definitivo, il Vangelo dei Vangeli, il Vangelo della vittoria della vita sulla morte.
Queste apostole devono dunque lasciare la tomba e andare, nella sicurezza che Gesù precede loro e gli altri discepoli in Galilea, nella “Galilea delle genti” (Mt 4,15; Is 8,23), la terra da cui partire in missione per tutto il mondo.
E le apostole lasciano la tomba, in verità ancora tremanti ma gioiose, per portare il messaggio agli altri. “Ma ecco, Gesù venne loro incontro dicendo: ‘Chaírete’, ‘Rallegratevi, gioite!’”. Poi dice di nuovo: “Non temete, non abbiate paura, ma andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”.
Non abbiate paura, gioite, non abbiate paura: tre consegne pasquali per le donne fatte evangelizzatrici, per i discepoli, per ciascuno di noi. Nessuna paura, neanche paura della morte, e dunque nessuna schiavitù, ma una vita nella libertà, una vita capace di vedere che la morte non è l’ultima realtà, che in Gesù risorto la morte è vinta per sempre.
Ma per avere questa capacità di non avere paura, occorre la fede, e noi sovente abbiamo “poca fede” (oligopistía: Mt 17,20), o addirittura “mancanza di fede” (apistía: Mt 13,58). Diciamo dunque al Signore: “Aumenta la mia poca fede!” (cf. Lc 17,5; Mc 9,24), e saremo liberati dalla paura, e saremo nella gioia, la gioia della Pasqua!
Enzo Bianchi