Bose, 8 aprile 2012
Omelia per la Veglia Pasquale di ENZO BIANCHI
Mc 16, 1-8
La nostra fede pasquale non è un mito, una favola, ma una storia di amore. È la scoperta di un Amante, Dio, che possiede un Amore che vince la morte: ma questo Amore lo offre anche a noi, perché nella nostre vite possiamo essere amati e amanti. Guardiamo al Crocifisso risorto perché – come affermava Riccardo di San Vittore – «ubi amor, ibi oculus» (cf. Beniamin minor 13). I nostri occhi siano rivolti al Cristo risorto, l’Amato che ci rivela una volta per sempre Dio come l’Amante, la Sorgente dell’Amore.
Cari fratelli e sorelle, care sorelle di Cumiana, amici e ospiti,
con parole, azioni, segni e soprattutto con la materialità della nostra condizione, con il nostro corpo e i suoi sensi, ma anche con il fuoco, l’acqua, il pane e il vino noi celebriamo la resurrezione di Gesù, la vittoria della vita eterna sulla morte, sulla nostra morte di umani deboli, fragili, mortali appunto. «Cristo è risorto! È veramente risorto!»: questo è il nostro grido, la nostra fede, la nostra speranza e lo scaturire della nostra carità. Sì, come dice l’Apostolo, «se Cristo non è risorto, vana è la nostra fede … e noi possiamo essere considerati tra i più miserabili della terra» (1Cor 15,17.19).
Dopo avere ascoltato nelle letture di questa veglia tutta la nostra storia come storia della salvezza operata da Dio per noi, storia che trova l’apice, il télos nella resurrezione di Gesù, in questa notte cerchiamo di pensare anche a questo evento leggendovi l’azione di Dio Padre. Perché proprio guardando ai primi annunci della resurrezione di Gesù fatti da Pietro, Stefano e Paolo negli Atti degli apostoli – e le loro omelie sono certamente un riflesso delle prime catechesi pasquali –, ci rendiamo conto che sempre è attribuita al Padre l’iniziativa, l’azione del far risorgere, del rialzare dai morti Gesù, il Figlio:
Dio lo ha risuscitato dai morti (At 3,15; 4,10; 13,30). Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce (At 5,30). Dio lo ha risuscitato il terzo giorno (At 10,40).
Espressioni analoghe si trovano poi nella lettera ai Romani, nelle lettere ai Corinti e nelle altre lettere del Nuovo Testamento. «Cristo è stato risuscitato da Dio», è il primo annuncio pasquale della chiesa apostolica. Solo più tardi, dopo avere anche specificato che questa azione di Dio Padre è stata compiuta attraverso la potenza dello Spirito santo (cf. Rm 8,11), si è giunti alla formula che troviamo nel Credo: «Resurrexit tertia die», «il terzo giorno è risuscitato», ponendo Gesù come soggetto della resurrezione. D’altronde, non poteva essere altrimenti: il Padre, l’Amante, l’origine e lo scaturire dell’Amore, solo lui poteva vincere la morte, cioè poteva – come dice Paolo in At 13,32-33 citando il Sal 2,7 – compiere la promessa, chiamare alla vita, generare alla vita il Figlio Gesù entrato nella morte.
Quando Gesù è morto in croce, rimettendo nelle mani del Padre il suo spirito (cf. Lc 23,46; Sal 31,6), facendo della sua morte un atto puntuale, di vera obbedienza filiale della creatura al Creatore, dopo una vita «di obbedienza fino alla morte e alla morte di croce» (Fil 2,8), dopo una vita in cui è sempre apparsa in lui l’agápe, l’amore gratuito, incondizionato e senza fine, il Padre si è riconosciuto in lui, dicendogli: «Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato, dunque io ti esalto, ti glorifico, ti faccio rialzare dalla morte». La morte è stata una vera separazione, in cui Gesù ha vissuto l’abbandono, l’essere «senza Dio» (chorìs theoû: Eb 2,9), perché la morte è questo! Ma Gesù ha vissuto tutto ciò invocando Dio, confessandolo «mio Dio» (Mc 15,34; Mt 27,46; Sal 22,2), ponendo sempre la sua speranza in lui.
Per questo Dio si è riconosciuto nel Figlio, perché Gesù lo ha narrato (exeghésato: Gv 1,18) fedelmente e totalmente. «Dio è amore» (1Gv 4,8.16), e Gesù ce lo ha detto e mostrato con la sua vita narrante. L’amore del Padre, l’amore dell’Amante accolto dall’«amato» (Mc 1,11 e par.; 9,7; Mt 17,5) che ha amato i suoi (cf. Gv 13,1) dello stesso amore dell’Amante, era degno di vincere la morte. Pietro del resto lo dice nella sua prima omelia pasquale: «Dio ha risuscitato Gesù, … perché non era possibile che la morte lo tenesse in suo potere» (At 2,24). Perché non era possibile? Perché l’amore di Dio è la sua onnipotenza; perché Dio può tutto nell’amore; perché l’amore di Dio, entrato in duello con la morte, l’ha vinta per sempre.
Gesù, mandato come Parola di Dio e suo Figlio nel mondo, fattosi carne nell’utero di una donna, ha vissuto l’amore del Padre all’estremo, eis télos, si è svuotato delle sue prerogative divine per essere uomo in tutto come noi (cf. Fil 2,6-8) e non ha commesso peccato (cf. Eb 4,15). La vita di Gesù è stata un cammino di umanità, umanizzante, possiamo dire usando il linguaggio del Vangelo, un cammino di obbedienza alla sua condizione umana e alla chiamata di Dio. Obbediente da Figlio e non da schiavo (cf. Gv 8,35), e Figlio perché obbediente, Gesù ha lottato contro la morte, «attraverso i patimenti ha imparato la sottomissione» (Eb 5,8), è diventato «obbediente fino alla morte in croce (cf. Fil 2,8); e accettando la morte, questo nemico che ci attende tutti, che ci sta davanti, ha voluto esistere solo nell’amore e per amore. Possiamo dire che Gesù è cresciuto nell’amore non cercando ciò che gli piaceva, ma cercando di dare la vita per gli amici (cf. Gv 15,13). È cresciuto nell’amore soprattutto pregando, esercitandosi ad ascoltare la voce: «Tu sei mio Figlio» da parte di Dio, l’Amante. Nella morte ha saputo dire: «Abba, Papà, nelle tue mani rimetto il mio respiro» (cf. Lc 23,46), e il Padre gli ha risposto: «Tu sei mio Figlio, perché hai compiuto tutto, la tua incarnazione è stata totale, la tua umanizzazione piena». Ecco, nella morte Gesù è stato manifestato quale Figlio nella pienezza della divinità, come scrive Paolo all’inizio della lettera ai Romani: «Gesù Cristo nostro Signore, [è stato] costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della resurrezione dei morti» (Rm 1,4). La morte e la resurrezione per Gesù uomo, creatura, sono un unico evento: Gesù è veramente il Figlio di Dio e quando noi lo guardiamo sulla croce, nella sua morte, possiamo simultaneamente confessarlo come vivente, risorto, Figlio di Dio.
Nell’azione di farlo risorgere, Dio ridà a Gesù le sue prerogative divine, lo glorifica al di sopra di tutte le creature, gli dà il Nome di Kýrios, di Signore (cf. Fil 2,9-11). Anche nella resurrezione Gesù narra l’agire del Padre, il suo Amore sorgivo, fontale, perché il Padre è peghé tês agápes, «Sorgente dell’Amore». Era il Figlio uscito dal seno del Padre, ora il Padre lo riaccoglie nella potenza dello Spirito: un’unica vita, un unico Amore, un solo Dio! Scrive Agostino: «Et illic igitur tria sunt: amans, et quod amatur, et amor» (De Trinitate VIII,10,14), l’Amante, l’Amato e l’Amore. Ecco allora Tommaso che esclama davanti al Risorto: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28), vedendo un corpo umano trafitto. «Guarderanno a me, colui che hanno trafitto», profetizzava Zaccaria (12,10). Gesù aveva esclamato prima di morire: «Mio Dio, mio Dio, perché mi abbandoni alla morte, alle trafitture». Ma ora tutti guardano a Gesù e dicono con Tommaso: «Mio Kýrios e mio Dio!».
Sì, la nostra fede pasquale non è un mito, una favola, ma una storia di amore. È la scoperta di un Amante, Dio, che possiede un Amore che vince la morte: ma questo Amore lo offre anche a noi, perché nella nostre vite possiamo essere amati e amanti. Guardiamo al Crocifisso risorto perché – come affermava Riccardo di San Vittore – «ubi amor, ibi oculus» (cf. Beniamin minor 13). I nostri occhi siano rivolti al Cristo risorto, l’Amato che ci rivela una volta per sempre Dio come l’Amante, la Sorgente dell’Amore.