Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

La ricchezza di una chiesa a più voci

11/10/2015 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2015,

La ricchezza di una chiesa a più voci

La Stampa

La Stampa, 11 ottobre 2015
di ENZO BIANCHI

Il sinodo è ormai evento ecclesiale da una settimana: già si sono ascoltate voci singole dei padri sinodali, hanno avuto inizio i confronti, i dialoghi più serrati nei diversi gruppi linguistici che vedono la presenza di vescovi accomunati dalla lingua di scambio ma a volte di estrazione, formazione ed esperienze pastorali molto diverse tra loro. È possibile, per esempio, che in gruppo linguistico italiano confluiscano vescovi dell’est Europa, di giovani chiese minoritarie di altri continenti o membri della curia romana… Degli interventi si sa poco perché, volendo garantire a ogni padre piena libertà di espressione, si è preferito non pubblicarli sull’Osservatore romano, come avvenuto in occasione di altri sinodi. Questa misura sapiente non va contro la trasparenza, permette invece che ciascuno faccia sentire la propria voce con parresia senza essere subito catalogato dai mass media come appartenente a uno “schieramento” piuttosto che a un altro, con conseguente pre-giudizio sull’opinione espressa.

Ma proprio perché non ci è ancora consentito misurare e interpretare l’andamento degli interventi possiamo fare ulteriori considerazioni sul sinodo, necessarie per comprenderlo come evento ecclesiale. Questo sinodo, voluto e indetto da papa Francesco, ormai appare come una continuazione del concilio terminato cinquant’anni fa: non ne ha la stessa autorità e rimane per ora un organo solo consultivo che però procede come un concilio, cum Petro e sub Petro, cioè con il successore di Pietro e sotto la sua guida. È un sinodo che si è dato un tempo ampio, due anni, ha cercato di innescare e garantire un cammino sinodale nelle chiese locali attraverso questionari sottoposti ai vescovi affinché consultassero il popolo di Dio, evento questo mai verificatosi in precedenza. Le risposte sono confluite a Roma, anche se in modo diseguale perché alcune chiese, come quella italiana, non vi hanno investito energie ed iniziative, a eccezione di qualche rara diocesi.

Grazie a questo lavoro preparatorio il sinodo, a differenza dei precedenti, è sentito e seguito non solo dai fedeli e ma anche dal mondo non ecclesiale sebbene sovente si mostri incapace di comprendere quale sia veramente la tematica su cui si confrontano i vescovi. Papa Francesco non solo chiede una “chiesa in uscita”, non solo richiama tutti – nella Evangelii gaudium 46 e in molteplici omelie e interventi – a edificare una chiesa con le porte aperte, ma vuole ad intra una chiesa munita di un istinto della fede (sensus fidei) che la possa rendere eloquente nel mondo. Incontro e dialogo sono due parole ricorrenti in papa Francesco che ben esprimono la dinamica sinodale.

Incontro e dialogo: queste parole tanto amate e proclamate da Paolo VI – poste al cuore dell’enciclica Ecclesiam suam – riprendono dopo decenni nuovo vigore e fanno capire che oggi la chiesa ha una coscienza più forte di essere cattolica, universale e, perciò, di essere composta da diverse chiese locali o, più ancora, regionali che appaiono diverse, addirittura non contemporanee, con differenze culturali di cui un tempo non si teneva conto nella monolitica concezione romana ma che oggi appaiono non più reprimibili né trascurabili. Si tratta di una novità tenuta in poco conto e non sempre rilevata, ma oggi le chiese regionali (Africa sub-sahariana, Estremo Oriente, Medioriente, America del Nord e del Sud…) hanno sensibilità differenti e una voce particolare quando si esprimono: le culture pesano nell’unità cattolica e i vescovi si sentono non più prefetti di Roma ma portavoci del popolo affidato alle loro cure pastorali. Stiamo imparando che essere cattolici significa proprio essere capaci di riconoscere il diritto delle differenze culturali, stiamo imparando che l’unità della chiesa deve permetterle di essere plurale e complessa.

È dunque fisiologico che queste differenze emergano al sinodo attraverso confronti tra posizioni a volte anche distanti. Al concilio Vaticano II questo era avvenuto tra Roma e la periferia, ma al sinodo invece accade tra le chiese stesse, a causa della loro diversa geocultura. Il sud del mondo non vive ciò che vivono gli europei, l’evoluzione delle società è talmente disparata da poter dire che in esse si è ispirati e ci si confronta con antropologie molto variegate e ciò si riflette inevitabilmente nel dibattito sui temi sinodali. La grande grazia della chiesa cattolica è anche una grande sfida di cui il successore di Pietro è il massimo responsabile perché servo della comunione: si tratta di riuscire a tenere nell’unità della fede tutti i cattolici permettendo loro al contempo la pluralità delle forme di espressione della fede, della liturgia, della predicazione, della missione e delle urgenze dettate dalla propria storia e dalla specifica situazione economica, sociale e politica. Ora, proprio l’istituto della “famiglia” è vissuto in modi diversissimi e di questo va tenuto conto.

Va però anche rilevato che la lunga preparazione di questo sinodo ha favorito molte polarizzazioni e c’è chi vi si è predisposto come se si trattasse di andare in battaglia. Non c’è da scandalizzarsi: i conflitti, come ci insegnano le vicende della chiesa nascente narrate nel Nuovo Testamento, possono essere un aiuto all’approfondimento della fede e all’evangelizzazione, se non degenerano in divisioni, partiti, lobbies o persino scismi. Per questo papa Francesco è intervenuto a sorpresa nell’aula sinodale avvertendo i padri: nessuna logica di lobby, nessuna “ermeneutica cospirativa”, nessuna presunzione di dover salvare la chiesa da pericoli e tradimenti. Il sinodo non è acefalo: è un evento posto sotto la guida dello Spirito santo, radunato attorno all’egemonia del vangelo, presieduto dal papa servitore della comunione. Cedere alla tentazione della polarizzazione, ricorrere a strategie o minacce, usare toni perentori, affermazioni senza repliche impedisce allo Spirito santo di agire e appiattisce su prassi politiche mondane.

“Il sinodo non è un ghetto”, ha affermato il vescovo Celli, e un prelato canadese ha ammonito a “non essere una setta”. Ogni logica che legge ovunque cospirazioni, che si nutre di paura non aiuta il “fare strada insieme” (syn-odos) ma alimenta la diffidenza reciproca e il giudizio espresso con linguaggio bellicoso nei confronti dell’altra “parte”: allora anche problematiche che appartengono solo alla disciplina vengono lette come questioni di fede, verità eterne per cui vale la pena combattere.

Infine, una domanda: perché questo sinodo solleva molte contestazioni? Non è successo per i due sinodi ai quali ho partecipato come esperto nominato da Benedetto XVI. Credo di poter dire che non è solo il tema ad accendere gli animi, quanto piuttosto la scoperta avvenuta sotto papa Francesco che la chiesa cattolica non è più monolitica, che non parla più a una sola voce, che diventano legittime differenze nell’esprimere l’unica fede. Potremmo dire che papa Francesco ha dato voce alle chiese locali. Molta polemica, anche da noi in Italia, è condotta da forze non sempre costituite da cristiani con vita ecclesiale, bensì da non cristiani che temono di non avere più davanti a loro la chiesa di sempre, a volte grande nemica, a volte adorata come istituzione mondana che dà identità culturale all’occidente.

Sì, molti temono che le differenze che emergono al sinodo siano poi vissute di diritto nelle chiese, causando sconcerto tra i fedeli, aprendo a nuove presenze finora estranee. In un mondo che manca di idee forti, che soffre mutamenti, alcuni vogliono una chiesa che viva al contrario, una controcultura, fosse anche di élites e non più di popolo: meglio allora l’identità forte e precisa, meglio l’uniformità che dà tanta sicurezza, meglio affidarsi all’autorità, che non dover esercitare la libertà e fare la fatica di scegliere come aderire al vangelo e vivere nel mondo .

Papa Francesco ha invece imboccato un’altra via, autentica realizzazione del Vaticano II: ciò che papa Giovanni chiamava “aggiornamento” e Paolo VI “dialogo”, è da lui assunto con convinzione e diventa anche “cammino sinodale”, compiuto da papa, vescovi e tutto il popolo di Dio.

Pubblicato su: La Stampa