Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Il Papa in una città simile al suo stile

21/06/2015 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2015,

Il Papa in una città simile al suo stile

La Stampa

La Stampa, 21 giugno 2015
di ENZO BIANCHI

  Arriva a Torino e torna alle sue radici. Torna in quella città da cui il nonno Giovanni, astigiano di Portacomaro, con la moglie Rosa e il figlio Mario ventenne, entrambi militanti dell’Azione cattolica, partono nel 1929 per l’Argentina, lasciandosi alle spalle un’Italia già ammaliata dal fascismo. Ma quale Torino e quale Piemonte ritrova il figlio di monferrini Bergoglio? E, in particolare, quale comunità ecclesiale lo accoglie come padre e pastore della chiesa cattolica? Torino e la sua chiesa sono forse il luogo geografico e spirituale che meno sentono come “venuto dalla fine del mondo” questo papa argentino: ne conoscono infatti le radici, il dialetto, la cultura legata alla terra e all’operosità, l’attenzione agli ultimi, la sobria schiettezza.

            Papa Francesco abbraccia una città tra le più secolarizzate d’Italia, fiera di una consolidata mentalità industriale, avvezza a un approccio laico e civile alle problematiche sociali, fervente di attività che la pongono come capitale culturale. Una città che ha conosciuto importanti flussi migratori e le conseguenti difficili integrazioni, dapprima tra italiani di regioni diverse, poi tra costoro e gli immigrati provenienti dal Magreb, e più recentemente ancora, quelli arrivati dai paesi dell’Europa dell’est. Se l’unità statale d’Italia è partita da Torino, potremmo dire che a Torino esiste ormai da decenni un laboratorio per l’unità multietnica e multireligiosa della nostra società: non sono tante le città che hanno creato e sostengono un “Comitato interfedi” – prezioso lascito delle Olimpiadi – e che anche in questa stagione di rifiuto dello straniero non cedono alla demagogia e continuano, anche come istituzioni civili, a predisporre spazi e studiare soluzioni per una pacifica convivenza. Forse questo atteggiamento è uno dei frutti dell’esigua ma storica presenza di minoranze come la comunità valdese e quella ebraica (quanti, perfino tra i torinesi, sanno che la stessa Mole, divenuta simbolo della città, era stata progettata per essere una sinagoga?).

            E, al cuore di questa città che ha fama di discrezione, laboriosità e ordine, ma anche di affettata cortesia e di eccessiva ponderazione nell’intraprendere strade nuove, papa Francesco incontrerà una chiesa che non da oggi ha tratti e caratteristiche di profonda sintonia con lo stile e la sollecitudine pastorale proprie del suo pontificato. Basti pensare alla mai tramontata tradizione dei “santi sociali”: dalla cura innovativa e paterna di don Bosco per i giovani delle famiglie più disagiate alla sollecitudine per gli “scarti” umani di cui si è fatto carico il Cottolengo con la sua “Casa della Provvidenza”, dall’amorevole assistenza del Cafasso per quei carcerati considerati la feccia della società alla coraggiosa intraprendenza per alleviare le sofferenze dei più poveri del tortonese don Orione. Ma anche la dimensione missionaria, la sollecitudine per l’annuncio del vangelo al di là di recinti e steccati, così indispensabile per la chiesa di ogni tempo e ogni luogo e così cara al ministero di papa Francesco, trova a Torino una presenza storica di assoluto rilievo come i missionari e le missionarie della Consolata che il fondatore Allamano volle affidare alla Vergine venerata nel santuario posto al cuore non solo topografico della città sabauda.

            Storicamente più vicini a noi come dimenticare il domenicano albese Giuseppe Girotti che proprio a Torino verrà arrestato per aver prestato soccorso a una famiglia ebrea e da lì condotto a Dachau dove morirà al termine di una prigionia atroce ma di radiosa eloquenza? Anche di padre Michele Pellegrino, indimenticato pastore della chiesa di Torino negli anni dell’immediato post concilio, restano oggi profonde tracce nel tessuto ecclesiale di Torino. La sua attenzione ai poveri, la sobrietà della sua vita personale, la sua fame e sete di giustizia, la sua pratica quotidiana della misericordia sono tratti che lo accomunano a papa Francesco così come il titolo, il metodo di stesura e il contenuto della sua famosa lettera pastorale Camminare insieme emergono oggi con una freschezza sorprendente e una sintonia palpabile con le parole e i gesti di papa Bergoglio.

            Ma la chiesa di Torino e del Piemonte è anche la porzione di chiesa cattolica italiana che da sempre si confronta – fino a centocinquant’anni fa purtroppo avremmo dovuto dire “si scontra” – con la più antica minoranza cristiana non cattolica presente nel nostro paese: la chiesa evangelica valdese. È segno grande della sollecitudine ecumenica di papa Francesco l’aver voluto inserire nel programma delle sue due giornate torinesi la visita al Tempio valdese: è il fraterno abbraccio a cristiani che hanno saputo restare saldi nella fede ricevuta dai padri e vivere con coerenza e sacrificio la loro sequela all’unico Signore Gesù Cristo.

            Unico dispiacere personale è il fatto che papa Francesco non riesca a visitare quella sua e mia terra del Monferrato, quella terra che abbiamo imparato ad amare come “madre terra”. Ma sostando in preghiera davanti al Volto della Sindone – icona del Cristo morto e sepolto in attesa della risurrezione e immagine di ogni essere umano vittima e sofferente in attesa della liberazione – celebrando l’anniversario della nascita di san Giovanni Bosco, visitando i fratelli e le sorelle valdesi, papa Francesco visita il cuore di una città in cui il Vangelo non ha cessato di risuonare e, al contempo, visita quelle periferie dell’esistenza umana che la cura del buon pastore non ha mai dimenticato.

 

Pubblicato su: La Stampa