Avvenire, 19 aprile 2014
ENZO BIANCHI
Sabato santo, giorno dopo la morte, tempo in cui davanti ai discepoli c’era solo la fine della speranza, un’aporia, un vuoto su cui incombeva il non senso, l’insopportabile dolore di una ferita mortale: dov’è Dio? Questa la muta domanda del sabato santo. Un giorno intero passa e non c’è intervento di Dio…
Eppure Dio non ha abbandonato Gesù: se l’abbandono appare l’amara verità per i discepoli, Dio in realtà ha già chiamato a sé Gesù, anzi, lo ha già risuscitato nel suo Spirito santo e Gesù vivente è agli inferi ad annunciare anche là la liberazione. Giorno vuoto il sabato santo, silenzioso per i discepoli e per gli uomini, ma giorno in cui il Padre attraverso il Figlio porta negli inferi la salvezza: “Oggi – recita un’omelia attribuita a Epifanio – sulla terra c’è un silenzio grande: Il Signore è morto nella carne ed è disceso a scuotere il regno degli inferi. Va a cercare Adamo, il primo padre, come la pecorella smarrita. Il Signore scende e visita quelli che giacciono nelle tenebre e nell’ombra di morte” .
La discesa agli inferi diventa allora estensione della salvezza a tutto il cosmo e all’essere umano nella sua interezza. Che ne è degli inferi dopo questa “visita” del Cristo glorioso? Cirillo di Alessandria afferma che questa predicazione di Cristo agli inferi ha significato la spoliazione dell’inferno: “Subito Cristo, spogliando l’intero inferno e spalancandone le impenetrabili porte agli spiriti dei morti, vi lasciò il diavolo solo!”. “Dov’è, o inferno, la tua vittoria?”, canta dunque la liturgia pasquale.
Il cristiano oggi non dovrebbe dimenticare questo mistero del grande e santo sabato, vero preludio alla Pasqua ma anche lettura della discesa di Cristo nel cuore della terra e della creazione, nel profondo di ogni esistenza lontana da Dio, nelle regioni infernali che abitano anche ogni cristiano, nonostante il suo desiderio di sequela di Gesù.
Chi non riconosce in sé la presenza di questi inferi? Regioni non evangelizzate della nostra esistenza, territori di incredulità, luoghi dove Dio pare assente e nei quali ognuno di noi nulla può se non invocare la discesa di Cristo perché li evangelizzi, li illumini, li trasformi da spazi di morte assoggettati alla potenza del demonio in terreno fertile capace di germinare vita in forza della grazia. Così il sabato santo non è un giorno vuoto ma è come il tempo della gravidanza, è una crescita del tempo verso il parto, trionfo della vita nuova: il suo silenzio non è mutismo ma raccoglimento carico di energie e di vita.
Il sabato santo è stata ed è l’esperienza di molti credenti in Gesù e di tanti uomini e donne la cui fede solo Dio conosce e giudica. Sabato santo: Dio sembra assente, il male prevalere, il dolore senza senso... Chi ha saputo narrarlo nei nostri giorni post-moderni è stato il grande pittore William Congdon con i suoi spazi di oscurità dai quali emerge la luce della croce e l’oro del Crocifisso/Risorto. Sabato santo: tempo di enigma e di opacità che non riesce a intravedere lo sbocco nel mistero pasquale; tempo di tenebre anche per il credente, ora di buio in cui la fede vacilla, la speranza si fa incerta, la carità si raffredda; giorno di insensibilità, in cui ogni fiducia sembra inaccessibile, ogni abisso troppo grande per essere colmato...
Sabato santo: a volte grido muto ma disperato per l’uomo gravato dal male, dalla sofferenza, dalla morte nelle loro varie forme, per l’essere umano fragile, che non riesce nemmeno più a protestare e ribellarsi a voce alta e con grida angosciate. Ma sabato santo anche come tempo in cui il sangue dei martiri e delle vittime cade come seme a terra per fecondarla in vista di un frutto abbondante, tempo in cui il disfacimento del nostro essere esteriore fa spazio alla crescita del nostro uomo interiore… Ognuno allora potrà dire del suo sabato santo: “Dio veramente era qui accanto a me, ma io non lo sapevo!” (Gen 28,16). Davvero non c’è aurora di Pasqua senza sabato santo.
Enzo Bianchi
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