La Repubblica, 12 marzo 2014
di ENZO BIANCHI
Se nella Torah, data da Dio a Israele, il divorzio era permesso in alcuni casi e normato, nella predicazione di Gesù questa ‘possibilità’ decretata da Mosè per la ‘durezza di cuore’ dei credenti non è in vigore. Gesù, evitando ogni interpretazione casistica, afferma di risalire all’intenzione originaria di Dio nel creare l’uomo e la donna e dichiara che l’uomo non può separare ciò che Dio ha unito in una sola carne, in un ‘noi’ più forte di un ‘io’ e un ‘tu’.
Nel matrimonio cristiano avviene un’alleanza, uno scambio di promesse, una parola data per sempre, si sigilla una storia d’amore come unica. Questo è il vangelo, la buona notizia sul matrimonio che la Chiesa deve trasmettere e predicare con chiarezza ma anche con umiltà, senza arroganza, mettendosi, come sono solito ripetere, in ginocchio davanti ai coniugi che hanno assunto quella loro storia d’amore così fragile, faticosa e difficile.
Il cardinale Kasper, papa Francesco, il prossimo sinodo non mutano e non muteranno questo annuncio, duro non solo per le orecchie di greci ed ebrei di ieri, ma anche per quelle dei cristiani, di ieri come di oggi e di domani. ‘Ma la dottrina che non può essere cambiata - afferma Kasper - è soggetta anche a uno sviluppo’: può essere espressa con parole nuove, può essere compresa più profondamente, può essere declinata in disciplina attraverso modalità diverse, perché è nella storia umana che il vangelo va predicato, creduto e vissuto: non cambia, ma può essere compreso meglio. Tutti sono convinti che la forma e l’identità della famiglia, mutata a più riprese nel corso dei secoli, ha conosciuto in questi ultimi decenni un profondo cambiamento legato ai nuovi approcci antropologici e alle diverse realtà sociali. E il vangelo della famiglia non può essere proposto con il linguaggio, l’intransigenza e la durezza dei tempi post-tridentini.
La Chiesa deve guardare in faccia gli uomini e le donne che la compongono, le loro fragilità e debolezze che li portano a contraddire in modi diversi e molteplici le esigenze del vangelo. Soprattutto nelle storie d’amore il cammino è accidentato e anche per i credenti può accadere la separazione, l’infedeltà, una nuova storia d’amore, il divorzio e nuove nozze. Questi sono innanzitutto cammini di dolore, di fatica, perché la separazione, il distacco, la fine di una vicenda d’amore porta sempre con sé la sofferenza per i coniugi come per i figli. Nella comunità cristiana oggi uomini e donne che si trovano in questa situazione di lacerazione non costituiscono più un’eccezione, ma sono una presenza che interroga. Fino a prima del concilio, erano ritenuti ‘pubblici peccatori’, esclusi dalla comunità cristiana, a volte persino scomunicati. Ma la Chiesa, a partire dagli anni dell’assise conciliare, ha cambiato rotta fino a renderli destinatari di una pastorale attenta, piena di cure, amorevole che non li esclude dalla comunità cristiana ma li invita a partecipare intensamente alla vita ecclesiale.
È in questo cammino che vanno comprese le proposte del cardinale Kasper che si domanda se l’eucaristia - il sacramento della comunione con Cristo e con la Chiesa - non possa essere a certe condizioni per alcuni divorziati risposati un viatico per la remissione dei peccati e la viva appartenenza al corpo di Cristo. Non si tratta - si badi bene - di ammettere i divorziati alla comunione, come banalmente viene detto, bensì di individuare dei cammini penitenziali che abbiano come possibile esito anche la ritrovata comunione eucaristica nell’assemblea ecclesiale.
Se un cristiano, persona precisa - non una generica categoria di appartenenza - ha ben compreso e assunto il fallimento della sua prima storia d’amore sigillata dall’alleanza, se ha vissuto quella separazione adempiendo alle esigenze di giustizia nei confronti del coniuge e dei figli, se giudica in coscienza di fronte a Dio che la nuova storia d’amore sia vivibile con responsabilità, fedeltà e coerenza cristiana, se dà prova di perseveranza e di desiderio di vivere il vangelo e la vita ecclesiale, potrà intraprendere un cammino penitenziale? La Chiesa non potrebbe allora predisporre dei cammini in cui un presbitero dotato di discernimento e di sollecitudine pastorale possa guidare, accompagnare e testimoniare questa penitenza, questa conversione?
Questa è la medicina della misericordia - verità evangelica come quella della fedeltà - che non offende la giustizia e permette al cristiano peccatore di vedere il volto di Dio che perdona e il volto di una Chiesa madre che lo accompagna. Chi come me ascolta quasi ogni giorno la sofferenza e il gemito di uomini e donne che nella loro storia d’amore hanno sbagliato, fallito o sono state vittime di errori altrui, che tentano di ripercorrere le strade possibili dell’amore, può solo riaffermare che la legge di Dio è buona e santa ma che, una volta infranta la legge da parte dell’uomo, resta solo la misericordia. Quando la legge è infranta, non si tratta di abolirla ma di far regnare la misericordia di Dio, e quindi della Chiesa.
La Repubblica, 12 marzo 2014
di ENZO BIANCHI
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