La Stampa, 2 febbraio 2014
Il recente documento della Commissione teologica internazionale affronta con lucidità la tematica del rapporto tra religioni monoteistiche e violenza, a partire dall’ottica propria di un organismo composto da teologi cattolici a servizio della chiesa universale: non a caso il sottotitolo parla di “monoteismo cristiano contro la violenza”. Vorrei approfondirne alcuni aspetti così da favorire una lettura che, muovendosi dall’ambito interno alla chiesa cattolica, si allarghi al confronto con le altre confessioni cristiane e giunga a stimolare il dialogo con gli altri due “monoteismi” – ebraico e islamico – e con il pensiero esterno allo spazio religioso.
La riflessione non può che partire dai testi evangelici che narrano la vita di Gesù Cristo: una vicenda umana e spirituale che – anche a chi non vi scorga elementi soprannaturali o legami con la divinità della figura – esprime con le parole e con i fatti una condanna esplicita di ogni violenza, qualunque sia la “ragione” che pretenda giustificarla, fosse anche quella compiuta in nome della fede: il perdono illimitato e l’amore per i nemici diventano un comando essenziale nella sequela cristiana. Gesù di Nazaret ha mostrato che il male si può vincere solo con il bene e con un perdono rinnovato fino a “settanta volte sette”.
D’altro canto è vero che, sempre dai vangeli, emerge come il cristianesimo non sia una religione come le altre, dal momento che chiede di criticare la religione stessa. Marcel Gauchet si è spinto fino a parlare di “cristianesimo come religione dell’uscita dalla religione”: è questa singolarità che – nella scia dei profeti veterotestamentari, durissimi contro gli abusi del potere anche religioso – ha dato vita a pagine evangeliche e a testimonianze di uomini e donne di ogni epoca capaci di opporsi a ogni violenza e ingiustizia.
Certo, il documento teologico avrebbe potuto aprire in modo più esplicito e preciso a una confessione penitenziale delle colpe storiche dei cristiani, ma nessuno dei cattolici, almeno finora, ha dimenticato la lettera apostolica Tertio millennio adveniente e la liturgia profetica nelle quali Giovanni Paolo II ha chiesto perdono per i peccati commessi dai cristiani, in particolare per gli atti di violenza, di persecuzione e di intolleranza praticate nei confronti degli altri. Ma il tono minore usato su questo argomento non consente di affermare che la chiesa si è liberata dalla violenza solo in tempi recenti: questo significa non solo dimenticare che nei primi quattro secoli di cristianesimo la violenza si è abbattuta su cristiani che non ne commettevano alcuna, ma anche ignorare come lungo tutta la storia del cristianesimo in terre e culture diversissime non sono mai mancati cristiani che, in nome del vangelo, hanno rifiutato atti di violenza e di intolleranza anche quando la loro stessa istituzione ecclesiale, in situazione di potere e di forza, agiva come i potenti di questo mondo.
Ma vorrei proseguire la riflessione sollecitata dal documento dei teologi allargando l’orizzonte al dialogo con gli altri due monoteismi: dialogo foriero di maggiore comprensione e arricchimento reciproco anche nei confronti del mondo non religioso. Ora, un incontro esige preliminarmente la conoscenza e questa a sua volta esige la volontà positiva di dare tempo all’altro, di ascoltarlo e di condividere con lui ciò che si ha di più prezioso. L’incontro dei monoteismi richiede che si sappia ascoltare reciprocamente non solo le Scritture sacre degli altri, ma anche i racconti delle altrui esperienze e tradizioni spirituali. E questo implica il riconoscimento di interventi divini anche nelle altre religioni, i “germi” di parole divine, semi gettati dallo Spirito. In particolare, da parte cristiana, si può riconoscere una “storia santa che avviene nella Casa dell’Islam”, per usare l’espressione di un testimone tuttora vivente come Henry Teissier, già arcivescovo di Algeri. Del resto, come non riconoscere, con il grande teologo e metropolita ortodosso del Monte Libano Georges Khodr’, “la provvidenzialità misteriosa che va dal padre dei credenti fino al profeta arabo”? Tutti e tre i monoteismi, con le loro Scritture sacre, contengono echi della parola di Dio che si differenzia e di cui nessuno può proclamarsi unico ed esclusivo detentore, anche se i cristiani confessano che la rivelazione piena è stata donata e attuata definitivamente da Gesù Cristo, il Figlio di Dio e l’esegeta del Dio vivente. Del resto è proprio l’unicità di Dio che fonda l’insondabile ricchezza e profondità della sua parola rivelata agli uomini.
Oggi, lo dobbiamo ammettere, la violenza appare presente soprattutto in frange islamiche fondamentaliste e integraliste. Non tutto l’islam predica e agisce con violenza, e molte comunità musulmane sono impegnate in una interpretazione storico-critica che sa distinguere il messaggio del Corano dalla violenza di cui ci sono tracce nel Corano stesso. Occorre tempo e pazienza ma, come attesta papa Francesco nella Gaudium fidei, oggi la chiesa è non solo attenta a questa dinamica ma vuole favorirla, riconoscendo nell’islam un cammino che chiede la conversione dagli idoli all’unico Dio vivente.
Riprendendo il cammino del comune antenato, Abramo, le tre religioni monoteiste hanno il compito di obbedire sempre e di nuovo al comando divino: “Esci dalla tua terra e va’ verso te stesso”. Si tratta di uscire da sé, di andare incontro all’Altro e agli altri attraverso una vita interiore che sia fonte di umanizzazione. Si tratta di impegnarsi in un dialogo serio e condotto in verità, che non lascia immutati, ma trasforma. Questo rischio del dialogo, della rinuncia alla propria autosufficienza, all’isolamento superbo e miope, deve essere corso da chi oggi vuole costruire un mondo più conviviale, più pacifico, più fraterno, e vuole andare più a fondo nell’esperienza spirituale. Un’antica massima buddista, anteriore al sorgere dei tre monoteismi, dice: “Si dovrebbe sempre onorare la religione degli altri. Così facendo, si aiuta la propria religione a crescere e si rende un servizio a quella degli altri”. Secondo Louis Massignon, “se Israele è radicato nella speranza e il cristianesimo votato alla carità, l’Islam è centrato sulla fede”. Suggestione certamente troppo debitrice dello schema cristiano delle tre virtù teologali, ma che ha il merito di evidenziare accenti propri di ciascun monoteismo che possono offrire ricerca, confronto e arricchimento reciproci. E tuttavia, quali che siano le divergenze radicali fra i tre monoteismi, secondo il Corano – come attesta uno splendido passaggio della Sura della mensa (V, 48) – è l’unico Dio che li ha voluti nelle loro diversità e che si incaricherà di spiegarne il perché nell’ultimo giorno. “Se Dio avesse voluto, avrebbe fatto di voi una comunità unica. Ma Egli ha voluto provarvi con il dono che vi ha fatto. Cercate dunque di superarvi gli uni gli altri nelle opere buone, perché tutti tornerete a Dio, e allora Egli vi illuminerà circa quelle cose per le quali ora siete divisi e in discordia” .
Enzo Bianchi
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