Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Il giorno della vittoria dell'amore

08/04/2012 00:00

ENZO BIANCHI

Quotidiani 2012,

Il giorno della vittoria dell'amore

La Stampa

La Stampa, 8 aprile 2012
di ENZO BIANCHI

In questi giorni di Pasqua emerge con forza la singolarità del cristianesimo tra tutte le religioni

 

La Stampa, 8 aprile 2012
di ENZO BIANCHI

 

In questi giorni di Pasqua emerge con forza la singolarità del cristianesimo tra tutte le religioni, ma emerge con forza anche ciò che nella fede cristiana appare uno “scandalo” e una “follia” per gli uomini religiosi e per quelli che si ritengono autosufficienti nel loro pensare. Va riconosciuto: le altre feste cristiane, con la loro aura poetica, sono vissute più o meno da tutti, ma la Pasqua appare una memoria e una festa irriducibile alla mentalità e al sentire comune.

 

Che cosa rivivono i cristiani? Innanzitutto leggono e rileggono una storia di passione e di morte. Quella di Gesù di Nazaret, un uomo che – ci dicono quelli che sono stati coinvolti nella sua vita, che hanno vissuto e mangiato con lui – passava per le città e i villaggi della terra di Israele facendo il bene, curando, guarendo, consolando tutti quelli che incontrava. Gesù parlava anche di un Dio che appariva “altro” per gli uomini religiosi del suo tempo, rendeva “vangelo”, buona notizia, quel Dio al quale gli uomini avevano finito per dare immagini perverse proiettandovi i loro desideri mondani. Egli annunciava un Dio il cui amore non deve essere mai meritato, un Dio che ci ama sempre e gratuitamente, un Dio che non castiga ma perdona quelli che cadono nel male, un Dio che chiede riconciliazione e amore reciproco tra gli uomini, un Dio che vuole riconoscimento e culto come mezzi in vista dell’amore, perché egli stesso è amore.

 

Gesù, inoltre, aveva parole durissime per i detentori del potere religioso, sacerdoti e dottori della legge, perché costoro si rendevano esenti dai pesi che facevano portare agli altri, perché cercavano di apparire esemplari senza mai tentare di esserlo realmente. Gesù era scomodo, e per questo ebbe nemici, calunniatori che lo chiamavano falso profeta e indemoniato. Questi nemici riuscirono, mediante un illegale processo-farsa, a condannarlo come bestemmiatore di Dio e convinsero il potere politico che Gesù era anche un pericolo per l’autorità di Cesare. E così il potere religioso e quello politico, concordi tra loro, lo condannarono alla morte in croce, sentenza eseguita il 7 aprile dell’anno 30 della nostra era. Quel giorno Gesù in croce appariva come un maledetto da Dio e dagli uomini per i credenti giudei, come un uomo nocivo per l’impero agli occhi dei romani: nudo, nella vergogna, morì senza difendersi, senza rispondere alla violenza, amando e perdonando “fino alla fine”, come aveva vissuto.

 

La morte di Gesù è scandalosa, ignominiosa. Come si può credere a un uomo che fa questa fine, a un uomo condannato dai legittimi poteri religioso e civile? Come si può credere che un tale uomo sia stato inviato da Dio? Che Dio è quello che invia un uomo che si dice suo Figlio e poi fa quella fine? Non è credibile! Ecco “lo scandalo della croce”, come lo definisce l’apostolo Paolo. E si badi bene: anche alcuni cristiani hanno fatto fatica ad accettare questa fine. È infatti più facile accettare un Dio che vince, trionfa, regna, piuttosto che un Figlio di Dio che muore in croce. Sicché alcune chiese ammettevano che Gesù fosse Figlio di Dio ma non che potesse fare quella fine, e per questo costruirono teologie secondo le quali un altro era stato crocifisso al posto di Gesù, perché egli non poteva morire in quel modo… Di queste credenze si trovano tracce nel Corano, là dove sta scritto: “Non l’hanno ammazzato, non l’hanno crocifisso, perché Gesù fu sostituito da uno che gli rassomigliava” (Sura IV,157). Eppure i cristiani confessano la loro fede nel Crocifisso, e per questo la croce è il segno di Cristo, al quale essi guardano sapendo che, se la negano, non sono più cristiani. Ecco perché il Crocifisso non può essere ridotto a un simbolo culturale, come propone qualcuno che non sa cosa sia il cristianesimo né conosce le lettere di Paolo.

 

Ma quest’uomo Gesù, morto in croce e sepolto in una tomba al tramonto di quel giorno vigilia della Pasqua, “non poteva restare preda della morte” (At 2,24), dice Pietro. E infatti quando le sue discepole e i suoi discepoli si recano alla tomba all’alba del primo giorno della settimana non trovano più il cadavere di Gesù: la tomba è vuota! Fin qui giunge la storia, che nessuno può negare. Ma di fronte alla tomba vuota sorgono delle domande: il corpo morto di Gesù era stato rubato da qualcuno? Gesù non era veramente morto ed era fuggito? Dio era intervenuto per dire la sua parola definitiva su Gesù? Domande che ci sono testimoniate dagli stessi vangeli, i quali danno anche una risposta. I vangeli attestano che quelli che erano stati con Gesù alcuni anni, i suoi discepoli e testimoni, hanno cominciato a dire che Gesù era vivente, che il Padre, Dio, lo aveva richiamato dai morti, che essi l’avevano visto accanto e in mezzo a loro nella vita quotidiana. L’avevano visto con altri tratti fisici, con un altro corpo, ma i gesti da lui compiuti erano gli stessi: accompagnava i viandanti, consolava chi piangeva, spezzava il pane, offriva da mangiare, dava fiducia e perdono anche a chi l’aveva rinnegato e abbandonato nell’ora della tenebra e della passione.

 

Ecco, i cristiani ricordano, rivivono, si ridicono l’un l’altro semplicemente questo: l’amore vissuto da Gesù ha vinto la morte, il suo amore ha vinto l’odio e l’inimicizia. Sì, “Dio nessuno l’ha mai visto” – e nella cultura odierna Dio non gode di buona fama – “ma Gesù ce lo ha raccontato” (Gv 1,18). Gesù era umanissimo e ciò che aveva di eccezionale non era di ordine religioso ma umano. È con la sua umanità che egli, il Figlio di Dio e la Parola diventata uomo come noi, ci ha portato a Dio. Dopo la vita, morte e resurrezione di Gesù per un cristiano augurare “buona Pasqua” significa dunque affermare: “Vorrei dirti che l’amore vince la morte. Sia così per te, nella tua vita”.

 

ENZO BIANCHI

 

Pubblicato su: La Stampa