Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

La fede, un incontro che cambia la vita

15/03/2013 00:00

ENZO BIANCHI

Lectio Divina,

La fede, un incontro che cambia la vita

Sorelle e fratelli carissimi,la misericordia di Dio, il suo amore sempre preveniente ci ha convocati ancora una volta per ascoltare il Vangelo e meditare...

Milano, Basilica di S. Ambrogio, 15 marzo 2013 


Quaresimale

“Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo dimorare a casa tua” (Lc 19,5)

 

Introduzione


Sorelle e fratelli carissimi,
la misericordia di Dio, il suo amore sempre preveniente ci ha convocati ancora una volta per ascoltare il Vangelo e meditare insieme sull’agire e il parlare del Signore Gesù, lui che è il Vangelo, la buona notizia per eccellenza. Sono lieto di essere di nuovo qui con voi, e ringrazio in particolare il vescovo mons. Erminio De Scalzi per l’invito che con amicizia fedele mi ha rivolto. Con questa gratitudine nel cuore cercherò di essere in mezzo a voi nient’altro che un’umile eco della Parola del Signore, quella Parola che ci annuncia il perdono di Dio e, di conseguenza, la sua chiamata alla conversione.

 

•  “Un uomo, chiamato con il nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco…”

 

Il brano di Lc 19,1-10 narra l’incontro di Gesù con Zaccheo, il capo dei pubblicani di Gerico. È un testo che condensa in sé nel frammento molti temi, numerosi fili che attraversano la trama complessiva del vangelo secondo Luca, tanto che un commentatore lo ha definito “la quintessenza dell’intero vangelo” (F. Bovon, Vangelo di Luca, vol. II, Paideia, Brescia 2007, p. 869). 
Gesù è sulla via che dalla Galilea sale verso Gerusalemme, la meta del viaggio da lui intrapreso con grande decisione in uno snodo decisivo del terzo vangelo: “Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù indurì il suo volto”, come il Servo del Signore (cf. Is 50,7), “per mettersi in cammino verso Gerusalemme” (Lc 9,51). Egli sa bene che “non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme” (Lc 13,33), per questo compie con risolutezza la sua verità: sceglie di restare fedele fino alla fine al volto di Dio da lui narrato lungo tutta la sua vita (cf. Gv 1,18), anche a costo di subire un’ingiusta condanna a morte. 
Una tappa di questo viaggio è la città di Gerico, zona di confine della provincia romana della Giudea. Mentre Gesù sta attraversando Gerico, ecco che entra in scena un altro personaggio, presentato da Luca con alcuni sostantivi generali e poi con alcuni verbi che descrivono le sue azioni in questo particolare frangente. Egli è

 

• “un uomo”: questa la sua qualità primaria. L’evangelista la evidenzia subito, per chiarire ciò che il protagonista principale del racconto, Gesù, vede in lui. Gesù sa andare oltre l’opinione comune, è capace di sentire in grande, di vedere in profondità: vede un uomo dove gli altri vedono solo un delinquente, coglie innanzitutto in ogni suo interlocutore la condizione di essere umano, senza nutrire alcuna prevenzione.

• “chiamato con il nome Zaccheo”: non solo “di nome Zaccheo”, ma anche degno di essere chiamato con il suo nome proprio dagli altri. E Zakkaj, paradossalmente, significa “puro, innocente”: ironia della sorte oppure un altro particolare che ci dice tra le righe ciò che solo Gesù sa vedere in lui?

• “capo dei pubblicani e ricco”:

 

* come è noto, i pubblicani erano coloro che svolgevano il mestiere, impuro per gli ebrei, dell’ingiusto e odiato esattore delle tasse per conto dell’impero romano; erano il simbolo del peccatore pubblico, riconosciuto tale da tutti. Luca ne parla per ben 11 volte nel suo vangelo. Ricordo solo Lc 5,30-32: “I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: ‘Come mai mangiate e bevete insieme ai pubblicani e ai peccatori?’. Gesù rispose loro: “Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla conversione (aggiunta di Luca!)”. Inoltre in Lc 7,34 Gesù riporta l’opinione dei suoi avversari che lo definiscono “un mangione e un beone, un amico di pubblicani e di peccatori”.
Ebbene, occorre chiederselo: perché Gesù sceglieva di preferenza la compagnia di questi peccatori pubblici? Non per stupire o scandalizzare a basso prezzo ma per mostrare, in modo paradossale, che queste persone emarginate e condannate sono nient’altro che il segno manifesto della condizione di ogni essere umano. Tutti siamo peccatori – finché ci è possibile, in modo nascosto! –, ma Gesù aveva compreso una cosa semplice: i peccatori pubblici, sempre esposti al biasimo altrui, sono più facilmente indotti a un desiderio di cambiamento; essi possono cioè vivere l’umiltà quale frutto delle umiliazioni patite, e di conseguenza possono avere in sé quel “cuore contrito e spezzato” (Sal 51,19) che può portarli a cambiare vita nel rapporto con Dio, con gli altri e con se stessi. Ecco la radice della conversione, per quanto dipende da noi!
Nel nostro caso si tratta, per giunta, di un architelónes, un “capo dei pubblicani”.
   * Quanto ai ricchi, sappiamo bene quanto il vangelo secondo Luca sia duro verso coloro che mettono la loro fiducia nella ricchezza, nell’idolo “Mammona” (Lc 16,13), e sono incapaci di condividere i beni con gli altri uomini. Gesù tratteggia questa follia in diverse parabole, ma qui vorrei solo ricordare una sua affermazione emblematica: “Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra consolazione” (Lc 6,24).
Nel nostro testo la riflessione sulla ricchezza si colora di una sfumatura particolarmente interessante. Poco prima, dopo l’incontro mancato con l’uomo ricco Gesù aveva detto: “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno di Dio” (Lc 18,25). E subito i discepoli gli avevano chiesto: “E chi può essere salvato?” (Lc 18,26). Gesù aveva risposto: “Ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio” (Lc 18,27). È ciò che sta per avvenire in questo incontro. Ma perché? Perché c’è un’importante differenza tra Zaccheo e l’altro uomo ricco: Zaccheo viene considerato da tutti come un peccatore, ed egli stesso è pronto ad ammetterlo. Non può affermare, come invece l’altro: “Ho osservato i comandamenti fin dalla giovinezza” (cf. Lc 18,21). Zaccheo è consapevole di essere peccatore e sa di avere bisogno del perdono: non ha meriti, men che meno religiosi, da vantare…

 

“Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo dimorare a casa tua”

 

Umiliato da questa sua condizione di disprezzato da tutti, Zaccheo ha nel cuore un grande desiderio di conoscere il profeta e maestro Gesù, di cui evidentemente ha sentito parlare, nella speranza che l’incontro con lui possa cambiare qualcosa nella sua vita. Lo mostra il suo comportamento: “Cercava di vedere chi era Gesù”; o meglio, “cercava di vedere Gesù, chi fosse”, voleva davvero conoscere approfonditamente quest’uomo. “Ma non gli riusciva a causa della folla, perché era piccolo di statura”: la ricerca di Zaccheo è ostacolata da un suo limite fisico, elemento che ha da dire qualcosa anche a noi, qui e ora. Noi andiamo a Gesù, lo cerchiamo, non in un’inesistente perfezione, in uno splendore candido e luccicante, ma con i nostri propri limiti, le nostre particolarissime tare e oscurità. O accettiamo di andarci in questo modo, oppure, mentre sogniamo di farci belli per accoglierlo, la vita ci scorre alle spalle senza che ce ne rendiamo conto e così manchiamo inesorabilmente il kairós, l’ora decisiva dell’incontro con il Signore!
Certo, occorrono desiderio, passione per Gesù, in modo da assumere con intelligenza questi limiti e poter portare anche quelli a lui. Questa passione traspare dal comportamento di Zaccheo: “Corse avanti precedendo Gesù” – questa l’idea contenuta nel verbo greco prótrecho (cf. Gv 20,4, unica altra occorrenza in ttto il Nuovo Testamento!) – “e, per riuscire a vederlo, salì su un sicomòro, perché stava per passare di là”. Quest’uomo precede Gesù, gli passa avanti: è un unicum nei vangeli, dove il discepolo sta sempre dietro a Gesù (cf. Lc 7,38; 9,23; 14,27), alla sua sequela. Tale gesto apparentemente sfrontato narra in modo icastico la verità di una parola paradossale di Gesù: “i pubblicani e le prostitute vi passano avanti, vi precedono nel Regno di Dio” (Mt 21,31). Per raggiungere il suo scopo, inoltre, Zaccheo non esita a rendersi ridicolo agli occhi altrui. Immaginate la scena: un uomo noto, che ha un certo potere, il quale si arrampica su un albero… Tra l’altro sceglie un albero con le foglie particolarmente fitte: vuole forse guardare attraverso il fogliame senza però essere visto?
Ed ecco un improvviso ribaltamento, tipico di quando Gesù prende l’iniziativa: “Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo, lo vide e gli parlò”. Zaccheo desidera vedere e scopre di essere visto in anticipo da Gesù. In questo incrocio c’è tutto il senso della vita cristiana. Noi vogliamo vedere Gesù, vogliamo stare con lui, ma è lui che ci vede, ci ama in anticipo, ci chiama e ci offre la vita in abbondanza. D’altra parte, se è vero che l’iniziativa è di Gesù ed è gratuita, essa però si innesta in una disponibilità dell’uomo, a cui spetta la responsabilità di predisporre tutto all’entrata di Gesù nella sua vita: se Zaccheo quel giorno non fosse salito sull’albero, per Gesù sarebbe rimasto un anonimo in mezzo alla folla!
A questo punto è necessario ancora una volta sostare pazientemente sulle parole di Gesù. Sia chiaro: nella realtà la scena deve essersi svolta con una fretta dettata dall’urgenza del momento; Gesù avrà chiamato in modo subitaneo Zaccheo, il quale a sua volta si sarà precipitato velocemente giù dall’albero. Ma nel raccontare questo episodio Luca, da abile narratore qual è, ha dosato sapientemente le parole, per permettere al lettore di ogni tempo di comprendere il valore paradigmatico di questo incontro: “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo rimanere, dimorare a casa tua”.

 

• “Zaccheo”: Gesù lo chiama con il suo nome proprio.

• “Scendi”. È come se gli dicesse: “Torna a terra, aderisci alla terra: lo straordinario ti è servito per un momento, ma ora fa ritorno alla tua condizione quotidiana, alla tua piccola statura!”.

• “Subito, in fretta”: non c’è tempo da perdere, l’occasione è da afferrare senza indugio!

• “Oggi”: non ieri né domani. Questo avverbio è un parola chiave in Luca, dalla nascita di Gesù quando gli angeli annunciano ai pastori: “Oggi, nella città di David, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore” (Lc 2,11); all’inizio della sua attività pubblica, quando nella sinagoga di Nazaret pronuncia quella brevissima omelia: “Oggi questa Scrittura si compie nei vostri orecchi” (Lc 4,21); poi alcune altre volte, fino all’ora della croce, quando Gesù dice al “buon ladrone”: “Oggi con me sarai nel paradiso” (Lc 23,43). Sempre noi incontriamo Gesù oggi!

• “Devo, è necessario”: altra parola chiave in Luca (verbo impersonale deî, che compare per ben 18 volte in questo vangelo, da Lc 2,49 fino a Lc 24,44). Esprime il modo in cui Gesù, nella sua piena libertà, va incontro alla necessitasumana e divina della passione, compiendo la volontà di salvezza di Dio per tutti gli uomini.

Non “fermarmi” (traduzione CEI), che sembra indicare una sosta veloce, ma ménein, verbo molto caro al quarto vangelo, ossia “rimanere, dimorare” con te. Lo stesso avviene per il Risorto con i discepoli di Emmuas (cf. Lc 24,29).

• “A casa tua”: entrare nella casa di un altro significa condividere con lui l’intimità; nello specifico, essendo Zaccheo un peccatore pubblico, questo auto-invito di Gesù significa compromettersi in modo scandaloso con il suo peccato.

 

Esaminate nel loro insieme, queste parole di Gesù mostrano anche una grande delicatezza. Gesù non dice: “Scendi subito perché voglio convertirti”, oppure, come probabilmente avrebbe fatto Giovanni il Battista: “Convertiti, fai frutti degni di conversione (cf. Lc 3,8), poi scendi e vedremo il da farsi”. No, Gesù chiede a Zaccheo di essere suo ospite. Ovvero, Gesù si fa bisognoso, si “spoglia” per entrare in dialogo con Zaccheo, parla il suo linguaggio, quello di chi era abituato a dare banchetti e ad accogliere persone in casa propria per fare affari. E qui sta per compiere l’affare della sua vita!
Queste parole che sgorgano dal cuore, sede dell’unità profonda tra il pensare, il dire e il fare, ci fanno comprendere uno dei tratti più affascinanti di Gesù, al quale facevo accenno all’inizio. Gesù sa creare uno spazio di fiducia e di libertà in cui l’altro può entrare senza provare paura e senza sentirsi giudicato; sa creare un clima relazionale che consente all’altro di emergere come soggetto; non incontra il peccatore in quanto peccatore, non lo riduce a una categoria, a un solo un aspetto della sua persona. Gesù incontra l’altro in quanto uomo come lui. In più, nel nostro caso, nell’incontrare Zaccheo come un uomo Gesù sa coglierlo, questo sì, come una persona segnata da un preciso peccato, e dunque risvegliare in lui il desiderio di una vita nuova… E tutto questo confluisce poi nell’offerta che Gesù faceva a tutti, indistintamente: quella del perdono, della remissione dei peccati, l’unica esperienza di salvezza a noi possibile sulla terra (cf. Lc 1,77).
E così siamo giunti non solo al centro del nostro testo, ma anche al cuore di una verità che, se ci crediamo davvero, può cambiare la nostra vita: il perdono di Dio, di Gesù Cristo precede la conversione; non è la conversione che causa il perdono da parte di Gesù, ma è il perdono che può suscitare la conversione! Si pensi, in parallelo, alla cosiddetta parabola del figlio prodigo (o meglio, del Padre prodigo d’amore) ascoltata domenica scorsa nella liturgia (cf. Lc 15,11-32). Il figlio, trovandosi in difficoltà, si era preparato il discorso di circostanza, ma le sue parole gli muoiono in bocca quando vede il padre che, “mentre egli è ancora lontano, lo vede, è preso da viscerale compassione, gli corre incontro, gli si getta al collo e lo bacia” (cf. Lc 15,20). È in questo momento che egli è convertito, non in base a un suo programma di conversione! Insomma, c’è una differenza non da poco rispetto al linguaggio religioso tradizionale, testimoniato per esempio dal Libro della Sapienza: “Non guardi ai peccati degli uomini, aspettando la loro conversione” (Sap 11,23). No, Gesù con il suo comportamento rivela un volto di Dio che ci offre gratuitamente il suo perdono: se noi lo accogliamo, potremo anche convertirci, non viceversa! 
Lo dimostra la reazione di Zaccheo, che dice anche la sua meraviglia per il fatto che questo famoso rabbi e profeta voglia incontrare proprio lui. Innanzitutto egli “scende in fretta” – compiendo alla lettera le parole di Gesù – “e lo accoglie pieno di gioia”, gioia che è un tratto caratteristico della vita del discepolo di Gesù secondo Luca (cf. Lc 6,23; 8,13, ecc.). Con questa annotazione relativa a Zaccheo che ospita Gesù pieno di gioia, “la gioia di essere salvato” (Sal 51,14), il testo potrebbe concludersi: nel mistero del faccia a faccia tra Gesù e Zaccheo si compirà la salvezza per la vita di quest’uomo.

 

“Il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”

 

Ma ecco che, come spesso è accaduto a Gesù, i benpensanti non sopportano la sua libertà e non tollerano che egli si rivolga di preferenza ai peccatori manifesti, narrando così il desiderio di Dio di “salvare tutti gli uomini” (cf. 1Tm 2,4), a partire proprio da quelli additati come “perduti” (cf. Lc 15,6.9.24.32). Più volte nel vangelo secondo Luca Gesù è disprezzato dagli uomini religiosi, che mormorano per il suo sedere a tavola con i peccatori. Oltre al già citato Lc 5,30, si pensi a Lc 15,1-2, l’occasione delle tre parabole della misericordia: “Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano dicendo: ‘Costui accoglie i peccatori e mangia con loro’”. Nel nostro brano l’evangelista registra addirittura una condanna generalizzata: “Tutti mormoravano: ‘È entrato in casa di un peccatore!’”. Ovvero, resta sempre la possibilità di uno sguardo cattivo, che continua a vedere in Zaccheo solo il peccatore e in Gesù solo un falso maestro (come fa Simone il fariseo di fronte ai gesti d’amore compiuti dalla donna peccatrice nei confronti di Gesù e da lui accolti: cf. Lc 7,39).
La prima reazione a queste voci di condanna è di Zaccheo, che sta in piedi, nella sua bassa statura, e parla con risolutezza. Notate: Gesù non ha detto nulla a Zaccheo sulla sua ingiusta condotta di capo dei pubblicani, ma la fiducia accordatagli da questo rabbi gli è sufficiente per comprendere che deve cambiare radicalmente, deve iniziare un movimento di conversione. Zaccheo allora, restituito alla sua soggettività, parla rivolto a Gesù, che chiama “Signore” (grande confessione di fede!), senza curarsi dei falsi giusti che li accusano. Costoro peccano nel loro cuore e con il loro occhio cattivo; lui si impegna a compiere un gesto concretissimo che riguarda le sue ricchezze, la materia del suo peccato, e soprattutto riguarda gli altri uomini, i destinatari del suo peccato. Dice infatti: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”, ben oltre il dovuto secondo la Legge. Facendo un calcolo meramente economico, si può pensare che Zaccheo si sia ridotto sul lastrico… Ma al Vangelo interessa altro, interessa cioè evidenziare che il gesto di quest’uomo è all’insegna della giustizia e della condivisione: questo il modo di impiegare le ricchezze per un discepolo di Gesù, quale ormai Zaccheo è. Commenta Bruno Maggioni:

 

Il pubblicano Zaccheo è la figura del discepolo cristiano che non lascia tutto, come invece altri, ma rimane nella propria casa … testimone però di un nuovo modo di vivere: non più il guadagno al di sopra di tutto, ma la giustizia e la condivisione. C’è il discepolo che lascia tutto per farsi annunciatore itinerante del Regno, e c’è il discepolo che vive la medesima radicalità restando nel mondo a cui appartiene.
(Il racconto di Luca, Cittadella, Assisi 2001, p. 325)

 

A questo punto Gesù, rivolto al solo Zaccheo, fa un commento articolato in due momenti. Prima dice: “Oggi la salvezza è avvenuta in questa casa, perché anch’egli è figlio di Abramo”, cioè non solo un uomo, ma anche un membro della comunità di fede, un figlio suscitato, risuscitato dalle pietre del peccato (cf. Lc 3,8). Gesù dice ancora: “Oggi”, ma soprattutto: “La salvezza è avvenuta in questa casa”. “Salvezza, salvare” è un’altra parola che attraversa tutto il vangelo secondo Luca; è una realtà che ha a che fare con la fede dell’uomo, come attesta una frase sovente rivolta da Gesù ai suoi interlocutori: “La tua fede ti ha salvato” (Lc 7,50; 8,48; 17,19; 18,42, subito prima del nostro brano). E come si manifesta la salvezza, come avviene la storia di salvezza? Nella salvezza delle storie personali e relazionali di coloro che Gesù incontra. Sì, l’accoglienza della salvezza è ormai direttamente accoglienza di Cristo stesso, è esperienza di chi incontra Gesù, mette in lui la sua fiducia e si lascia da lui salvare. 
Lo esprime bene l’ultima parola, il suo commento finale: “Il Figlio dell’uomo” – ossia Gesù stesso che parla di sé in terza persona, prendendo una misteriosa distanza da sé per lasciare al centro solo il Padre – “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. È un’affermazione che sottolinea la ricerca che Gesù fa di noi, la quale precede e sostiene la nostra ricerca di lui. È una parola che ne ricorda altre di Gesù: “Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori” (Lc 5,32); o la conclusione della parabola del Padre prodigo d’amore: “Bisognava fare festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato” (Lc 15,32). Di più, è una parola straordinaria che ricapitola e insieme rilancia in avanti la nostra lectio divina, illuminando la nostra vita quotidiana. Ci dice infatti che, come è entrata quel giorno nella vita e nella casa di Zaccheo, così la salvezza portata dal Signore Gesù può entrare ogni giorno, ogni oggi, nelle nostre vite. Il Signore ci chiede solo di aprire il nostro cuore all’annuncio che ha la forza di convertire le nostre vite: egli “è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”, è venuto a offrirci di vivere con lui, anzi di venire lui a dimorare in noi. Davvero ciascuno di noi dovrebbe confessare insieme all’Apostolo Paolo: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io” (1Tm 1,15)! Il suo cercarci e il suo salvarci sono la nostra indicibile gioia.
Ciò che Gesù prende invece di mira – qui indirettamente – è l’atteggiamento di quanti si credono giusti e, per questo, non si sentono più solidali con gli altri uomini ma giungono a vantarsi davanti a Dio di tale sdegnosa solitudine, fino a teorizzare la necessità di separarsi dai peccatori perché “Dio lo vuole”. Chi si comporta così vive nella tristezza, lo sappia o meno; vive come il fariseo della parabola (cf. Lc 18,9-14), che disprezza gli altri solo perché non vuole riconoscersi peccatore come loro. No, tutti siamo peccatori! Ma per quelli che si sentono giusti, Gesù non è venuto. In proposito, c’è una parola di Gesù che dovrebbe sempre inquietare i nostri cuori addormentati: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: ‘Noi vediamo’, il vostro peccato rimane” (Gv 9,41).
Non resta dunque che domandarci se siamo capaci di conoscere il nostro peccato, o meglio se osiamo farlo. Perché ogni mattina nel Benedictus cantiamo che “la conoscenza della salvezza [si ha] nella remissione dei peccati” (Lc 1,77), e poi siamo così restii a riconoscere i nostri peccati? Sì, come aveva compreso Isacco di Ninive, “colui che conosce il proprio peccato è più grande di chi risuscita i morti” (Prima collezione 65). Il vero miracolo, l’intelligenza delle intelligenze, è riconoscere che si è peccatori: siamo noi i pubblicani, siamo noi le prostitute! Allora forse comprenderemo che è una povera e inutile fatica quella di nascondere agli altri il proprio peccato: basterebbe riconoscerlo consapevolmente, per scoprire che Dio è già là e ci chiede solo di accettare che egli lo ricopra con la sua inesauribile misericordia.

 

Conclusione


Ha scritto sant’Ambrogio commentando questo brano evangelico:

 

Chi potrebbe disperare di sé dal momento che giunse alla fede anche Zaccheo, lui che traeva il suo guadagno dalla frode?
(Esposizione del vangelo secondo Luca 8,86)

 

Forse è stato anche ottimista, sia perché spesso noi disperiamo di noi stessi, sia perché i nostri peccati nascosti magari sono più gravi di quelli pubblici di Zaccheo. In ogni caso, anche quando ci sentiamo perduti, mai dobbiamo disperare dell’amore compassionevole del Signore Gesù, più tenace di ogni nostro peccato, più profondo di ogni nostro abisso: con lui la salvezza è la possibilità di ricominciare a camminare veramente liberi sulle strade della vita. Come è accaduto quel giorno a Zaccheo, può accadere anche a noi, oggi, grazie all’incontro con Gesù!
C’è solo un ostacolo decisivo a questa azione del Signore: il credere che non sia possibile cambiare. Spesso siamo come paralizzati, rinchiusi nel nostro passato, segnato da peccati, da ferite ricevute e inferte. Ebbene, la dinamica del Vangelo di Gesù Cristo si oppone a questa paralisi, anzi è proprio ai suoi antipodi. Non c’è niente di più detestabile davanti a Dio che il rimuginare sui peccati o sulle ferite. A un certo punto occorre il coraggio di guardare in avanti, come Paolo che nella Lettera ai cristiani di Filippi esclama: «Io non guardo indietro, vado avanti sulle tracce di Cristo!» (cf. Fil 3,13-14). Questa è vita secondo il Vangelo di Cristo: bisogna credere alla propria conversione, bisogna credere che si può cambiare, bisogna credere che il passato non è un destino.
A chi gli chiedeva: “Abba, che cosa fai oggi?”, Antonio, il padre dei monaci, ormai novantenne rispondeva: “Io oggi ricomincio”. L’incontro di Gesù con Zaccheo ci insegna che questo oggi è sempre di nuovo possibile. Niente e nessuno può opporsi al perdono di Dio in Gesù Cristo, che ci consente di ricominciare ogni giorno.

 

Enzo Bianchi
Priore di Bose