Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Lectio su Marco 10,46-52

26/10/2012 01:00

ENZO BIANCHI

Lectio Divina,

Lectio su Marco 10,46-52

“Coraggio! Àlzati, ti chiama!”IntroduzioneVorrei innanzitutto esprimere la mia grande gioia di essere ancora una volta in mezzo a voi per meditare insieme..

Roma, 26 ottobre 2012


S. Maria in Traspontina

“Coraggio! Àlzati, ti chiama!”

 

Introduzione


Vorrei innanzitutto esprimere la mia grande gioia di essere ancora una volta in mezzo a voi per meditare insieme sulla Parola di Dio; ringrazio in particolare don Bruno Secondin per l’invito rivoltomi e per l’amicizia e la fiducia che nutre nei miei confronti. Questa sera rifletteremo sul brano evangelico proposto dalla liturgia eucaristica per la prossima domenica, la XXX del tempo ordinario (annata B): Mc 10,46-52, ovvero l’incontro tra Gesù e Bartimeo, un uomo afflitto dalla cecità che grazie a una fede capace di vedere l’invisibile (cf. Eb 11,27) conosce la salvezza e intraprende il cammino della sequela.
Come sempre, cercherò di essere nient’altro che un’eco della Parola di Dio contenuta nelle Scritture, al cui cuore sta il “Vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio” (Mc 1,1). E farò questo animato da una profonda consapevolezza, rimessa nuovamente a fuoco dalla chiesa cattolica nel corso del Sinodo dei vescovi su “La nuova evangelizzazione” che volge ormai al suo termine e al quale ho avuto la grazia di partecipare in qualità di esperto. Una consapevolezza magistralmente espressa quasi quarant’anni fa da Paolo VI nella sua Esortazione apostolica Evangeliinuntiandi:

 

Evangelizzatrice, la chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa. Comunità di credenti, comunità di speranza vissuta e partecipata, comunità d’amore fraterno, essa ha bisogno di ascoltare di continuo ciò che deve credere, le ragioni della sua speranza, il comandamento nuovo dell’amore … Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunciare il Vangelo(1).

 

Leggerò dunque il testo e lo approfondirò con semplici chiose: sono infatti sempre più convinto che occorra far risplendere in tutta la sua centralità il Vangelo, il quale contiene in sé ciò che è necessario per condurci alla fede e alla salvezza. A noi spetta solo di lasciarci guidare da questa luce, di non ostacolare la sua luminosità con le nostre parole e il nostro comportamento.

 

1. Un racconto di svolta


Prima di commentare il nostro brano, occorre situarlo nel contesto del vangelo secondo Marco. Come vedremo in dettaglio, questo breve testo contiene elementi che tirano le fila dei primi dieci capitoli del vangelo, quelli che precedono il ministero di Gesù a Gerusalemme (cf. Mc 11,1-13,37) e la sua passione, morte e resurrezione (cf. Mc 14,1-16,20).
Più in particolare, nello sviluppo del suo racconto Marco crea una significativa inclusione. La sezione centrale del vangelo (cf. Mc 8,27-10,52), quella che contiene i tre annunci della passione e in cui Gesù pone i discepoli di fronte alle radicali esigenze della sequela, è inquadrata da due racconti di guarigione dalla cecità: come la guarigione del cieco di Betsaida (cf. Mc 8,22-26) precedeva immediatamente la confessione di Pietro a Cesarea (cf. Mc 8,27-30), così quella di Bartimeo, l’ultima dell’intero vangelo, è una sorta di preludio all’acclamazione messianica di Gesù da parte delle folle che accompagneranno la sua entrata nella città santa (cf. Mc 11,1-10). Ora, il fatto unico che per due volte l’evangelista si soffermi sulla medesima patologia, la cecità, ha un preciso significato, ben riassunto da un commentatore moderno:

 

I due racconti di guarigione di un cieco assumono una dimensione simbolica che, al di là delle differenze di costruzione, non può non ricordare la lettura giovannea del segno del cieco nato, in Giovanni 9. Marco non si limita a raccontare due guarigioni fisiche, s’interroga su quel che significa vedere o essere ciechi, comprendere o non comprendere. Parallelamente, egli riflette sulla questione della via di Gesù. Questi due temi d’altronde sono al cuore della pericope di Bartimeo, che è dunque un racconto di svolta: è il punto di arrivo di un cammino (di chiarificazione) e l’inizio di un altro cammino (la via/l’arrivo a Gerusalemme)(2).

 

In altre parole, Marco sembra voler dire che il discepolo deve guarire dalla sua “cecità” e purificare il suo sguardo, perché gli eventi che stanno per accadere a Gerusalemme richiedono una vista donata da Dio, altrimenti saranno per lui solo fatti scandalosi e tristi: occorre dunque “vedere” per “seguire” Gesù e non scandalizzarsi di lui (cf. Mc 14,26)! Di fronte a ogni lettore del vangelo sta pertanto un’alternativa secca, enunciata da Marco con la sua consueta, tagliente essenzialità:

 

Mentre erano lungo la via per salire a Gerusalemme, Gesù camminava davanti a loro ed essi erano sgomenti; coloro che lo seguivano erano impauriti (Mc 10,32).

 

E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la via (Mc 10,52).

 

Come, dunque, seguire Gesù lungo la via senza provare sgomento e paura? Con quale stile – che nel cristianesimo ha la stessa importanza del contenuto – vivere la sequela?

Sono queste le domande che ci poniamo all’inizio della lectio divina su un brano che “è tanto un racconto di guarigione di un cieco quanto un racconto di vocazione di un mendicante”(3). Un testo che, per comodità espositiva, possiamo suddividere come segue:

 

• vv. 46-48: situazione iniziale di Bartimeo e sua preghiera insistente;

 

• v. 49: Gesù si ferma e lo fa chiamare;

 

• vv. 50-52a: Bartimeo si mette in movimento e dialoga con Gesù;

 

• v. 52b: Bartimeo segue Gesù ”lungo la via”.

 

2. “Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me!”

 

46E giunsero a Gerico. Mentre [Gesù] partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la via a mendicare. 47Sentendo che c’era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: “Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me!”. 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: “Figlio di David, abbi pietà di me!”.

 

Attorniato dai suoi discepoli e da molta folla, Gesù sta uscendo da Gerico, la città posta accanto alla foce del Giordano nel Mar Morto, il luogo d’accesso alla terra promessa. Ed ecco che appare il vero protagonista di questa pagina, “il figlio di Timeo, Bartimeo”: è significativo notare che, mentre nel caso dell’incontro con il cieco di Betsaida è Gesù che domina la scena, qui invece “è Bartimeo che si accaparra l’interesse fin dall’inizio del racconto, ed è parlando di lui che il racconto finisce”(4).
Unico tra quanti sono guariti da Gesù nel vangelo, quest’uomo è chiamato con il suo nome proprio. L’aramaico bar, “figlio”, è associato a un nome di origine greca (da timé, “onore”): egli dunque è – si potrebbe dire – il “figlio di Onorato”, un patronimico pesante da portare per chi non sembra così “degno di onore”. Bartimeo infatti è un escluso, come Marco si preoccupa di sottolineare accuratamente:

 

• è cieco;

 

• il suo handicap lo costringe a mendicare;

 

• la sua situazione di emarginato è iconicamente riassunta dal suo stare seduto, in una posizione di passività, “sul ciglio della strada, lungo la via” (parà tèn hodón): ecco un termine chiave, hodós, sul quale torneremo…

 

Questa sua condizione deve però aver reso più acuto il suo udito. Per questo, al solo sentire che Gesù di Nazaret sta passando, grida con forza: “Figlio di David, Gesù, abbi pietà di me (eléison me)!”. La sua è un’ostinata richiesta di compassione e di misericordia e, insieme, una grande confessione di fede, che proclama Gesù quale “Figlio di David”, cioè Cristo, il Re-Messia a lungo atteso da Israele e inviato da Dio per instaurare il suo regno di pace e giustizia sulla terra (cf. 2Sam 7,8-17; Is 11,1-9). Bartimeo ripete con altre parole quanto aveva affermato Pietro: “Tu sei il Cristo” (Mc 8,29): in quel caso però Pietro era stato immediatamente rimproverato da Gesù per la sua incapacità di comprendere la sua vera messianicità (cf. Mc 8,30-34). Il figlio di Timeo sta di fronte al figlio di David, animato dalla fiducia che il Messia avrebbe aperto gli occhi ai ciechi, compiendo anche in questo le sante Scritture (cf. Is 35,5; 42,7). Ma c’è di più. Già questa sola preghiera di Bartimeo contiene “un sorprendente paradosso: ‘il cieco’ (ossia colui che è lontano benché fisicamente vicino) ‘vede’ chi è Gesù, attraverso una comprensione profonda (‘figlio di David’) che gli consente di essere realmente vicino, attraverso il ‘grido’ o il ‘salto’ della fede”(5).
Bartimeo non si lascia intimorire dai rimproveri dei “molti” (polloí) che vorrebbero zittirlo ma, anzi, “grida ancora più forte”. E qui vale la pena sostare brevemente su un dato che costituisce un ammonimento per la chiesa di ogni tempo, dunque anche per noi oggi qui riuniti. I discepoli e la folla che si interpongono tra Gesù e il cieco rappresentano la possibilità della comunità cristiana di essere di ostacolo all’incontro di Gesù con gli uomini, in particolare con i più emarginati e demuniti. Quelli che “rimproverano” Bartimeo – verbo epitimáo, lo stesso utilizzato per indicare la cacciata degli spiriti impuri da parte di Gesù (cf. Mc 1,25; 3,12), ma anche il suo duro ammonimento rivolto ai discepoli (cf. Mc 8,30) e, in particolare, a Pietro (cf. Mc 8,33) – rivelano di essere loro i veri ciechi: credono di vederci, di sapere chi è Gesù e come devono comportarsi quanti lo seguono, credono di proteggere Gesù mettendo a tacere il cieco che lo invoca. Ma la sequela di Cristo e l’ascolto della sua Parola sono autentici se non sono separati dall’ascolto del grido di sofferenza dell’uomo. Così il sofferente, il cieco, diviene il maestro che può aprire gli occhi a coloro che credono di vederci. Del resto, se solo vogliamo vederle, nel vangelo secondo Marco molte sono le occasioni in cui si manifesta la cecità dei discepoli:

 

• cecità per non-ascolto della Parola e incomprensione di Gesù, per chiusura nell’ostinatezza delle proprie convinzioni e durezza di cuore (cf. Mc 8,14-21, a cui segue, non a caso, il racconto della guarigione del cieco di Betsaida: Mc 8,22-26);

 

• cecità per troppo zelo (cf. Mc 9,38-40; 10,13-16; al v. 13 si usa epitimáo per indicare l’atteggiamento dei discepoli nei confronti dei bambini portati a Gesù).

 

• cecità per desiderio di primeggiare sugli altri (cf. Mc 10,35-40).

 

Nel nostro caso Gesù sceglie una via del tutto particolare per guarire la cecità di quanti pretendono di impadronirsi di lui, tenendolo lontano dagli ultimi: lascia che sia un cieco a evangelizzarli, ad aprire i loro cuori alla sua luce.

 

3. “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”

 

49Gesù si fermò e disse: “Chiamatelo!”. Chiamarono il cieco, dicendogli: “Coraggio! Àlzati, ti chiama!”.

 

Nel vangelo secondo Marco “Gesù si sposta, si disloca continuamente, passando da luoghi deserti alla casa, dalla via alla sinagoga, dalla riva del lago alla montagna”(6). Ebbene, qui, caso unico, Gesù si ferma: è questo il modo più eloquente, pur senza parole, per manifestare il suo interesse per Bartimeo, la sua volontà di com-passione, di soffrire insieme a lui (solitamente espressa con il verbo splanchnízomai: cf. Mc 1,41; 6,34; 8,2; 9,22).
Gesù però non si dirige verso Bartimeo (come era andato da Giairo: cf. Mc 5,21-24.35-43), né chiede che lo conducano a lui (come avevano fatto gli amici del paralitico in Mc 2,3-4, o del cieco di Betsaida in Mc 8,22). Per prima cosa coinvolge i suoi discepoli, che hanno appena redarguito il malcapitato, dicendo loro: “Chiamatelo!”. E i discepoli, che fino a poco prima si erano opposti all’incontro, colpiti dall’atteggiamento del Maestro si rivolgono a Bartimeo con parole molto significative:

 

• “Thársei, coraggio!”, la stessa apostrofe rivolta da Gesù ai Dodici sconvolti per averlo visto camminare sulle acque (“Coraggio, Io sono, non abbiate paura!”: Mc 6,50);

 

• “Àlzati!”: verbo egheíro, quello che indica la resurrezione (cf. Mc 5,41; 6,14; 12,26; 14,28; 16,6), utilizzato nel caso di altre guarigioni (cf. Mc 1,31; 2,9.11.12; 9,27).

 

Ma dopo aver fatto da intermediari, dopo aver aiutato Bartimeo ad accogliere la chiamata di Gesù, i discepoli devono farsi da parte; devono cioè assumere lo stesso comportamento di Giovanni il Battista, il quale dopo aver condotto gli uomini a Gesù, si eclissava confessando: “Egli deve crescere, io invece diminuire” (Gv 3,30). 
E così sulla scena restano solo Gesù e Bartimeo.

 

4. “Va’, la tua fede ti ha salvato”

 

50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. E il cieco gli rispose: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. 52E Gesù gli disse: “Va’, la tua fede ti ha salvato”.

 

Bartimeo risponde senza indugio alla chiamata di Gesù: getta a terra il mantello, segno della forza dell’uomo (cf. 1Sam 18,4; 24,6; Rt 3,9), il mantello in cui egli raccoglieva le monete ricevute in elemosina, indumento che era anche coperta per la notte e, per questo, proprietà inalienabile del povero (cf. Dt 24,13). Al contrario dell’uomo ricco che non aveva saputo liberarsi della zavorra dei suoi beni, e dunque se ne era andato triste (cf. Mc 10,21-22), Bartimeo si spoglia di tutto ciò che potrebbe essere d’intralcio all’incontro con Gesù: si spoglia di ogni pur minima sicurezza, del suo passato, della sua stessa vita, e balzando in piedi si mette in movimento a tentoni e viene da lui. Grande è l’ardire di quest’uomo, che nasce dalla sua libertà: nella sua nuda povertà e nella sua cecità sta di fronte a Gesù, attendendo tutto da lui…
Di fronte a questo gesto di Bartimeo, Gesù lo rimanda al suo desiderio, rivolgendogli la stessa domanda fatta poco prima a Giacomo e Giovanni (cf. Mc 10,36): “Che cosa vuoi che io faccia per te?”. Egli non esige per sé posti di onore (cf. Mc 10,37), ma gli chiede con grande franchezza: “Rabbunì, che io veda di nuovo!”. “Ritrovare la sua dignità, per Bartimeo, è dire chiaramente ciò che egli desidera, è diventare quell’essere umano capace di parola che esprime pubblicamente, e senza sotterfugi, ciò che lo fa soffrire e da cui vuole essere liberato”(7). E lo esprime di fronte a Gesù, colui che egli non chiama più “figlio di David”, ma, con un tono di confidenza umile e audace, “Rabbunì”, “mio Maestro”: ciò che è sotto i nostri occhi è ben più di un impersonale seduta terapeutica, è un incontro che tocca in profondità l’esistenza di quest’uomo.
Gesù, sempre attento a ogni singolo uomo o donna che incontra, sempre capace di comunicare “in situazione”, si accorge di ciò che Bartimeo sta vivendo. Per questo si rivolge a lui con un’affermazione straordinaria: “Va’, la tua fede ti ha salvato”. Innanzitutto – notate – gli dice: “Va’”, lo invita cioè a mettersi in cammino, senza chiedergli nulla. Alla libertà di chi entra in relazione con lui, Gesù risponde potenziando questa stessa libertà, invitando il suo interlocutore a esercitare la libertà. E questa prassi di liberazione si radica in un atteggiamento che contraddistingue Gesù, al punto che possiamo intenderlo come il suo tratto specifico, peculiare: la sua capacità di cogliere e di far emergere nelle persone la fede-fiducia che le anima. Fede-fiducia nella vita, negli altri, prima ancora che in Dio: non è infatti possibile, per parafrasare la Prima lettera di Giovanni, “credere in Dio che non si vede, se non sappiamo credere all’altro, al fratello che si vede” (cf. 1Gv 4,20)… 
Quello della fede è un tema su cui recentemente ho molto meditato e qui non posso trattarlo in tutta la sua ampiezza(8). Mi limito a sottolineare come la sintesi più efficace di questa educazione alla fede-fiducia compiuta da Gesù possa essere colta proprio nella parola da lui rivolta a Bartimeo (e, poco prima, alla donna malata di emorragia: cf. Mc 5,34): “La tuafede ti ha salvato”. Gesù non ha mai detto: “Io ti ho salvato” o “Se hai fede, allora io ti salvo”, bensì, appunto: “La tua fede ti ha salvato” (cf. anche Lc 7,50; 17,19); “Va’, e sia fatto secondo la tua fede” (Mt 8,13); “Donna, davvero grande è la tuafede! Ti sia fatto come desideri” (Mt 15,28). Ecco come Gesù fa emergere la fede già presente nell’altro: attraverso la sua presenza di uomo affidabile e ospitale, che non dice di essere lui a guarire e a salvare, ma la fede di chi a lui si rivolge. Dove invece non trova questo clima di fiducia, Gesù è reso impotente dall’incredulità di chi lo circonda, fonte per lui di uno stupore “paralizzante” (cf. Mc 6,5-6)…
In questa occasione è la fede di Bartimeo, quale si manifesta nel suo balzo e nelle sue semplici parole, a colpire Gesù e a suscitare una risposta che non fa che prendere atto della realtà. E così, paradossalmente – come ha osservato Jacques Dupont –, “Gesù non ha niente da fare, perché ciò che avrebbe dovuto fare, la fede di Bartimeo l’ha già realizzato”(9). Sì, il vero miracolo narrato nel nostro brano è “il miracolo della fede”(10), una fede capace di andare oltre il visibile (cf. 2Cor 5,7) e di sperare ciò che sembra impossibile; una fede che restituisce alla vita piena un uomo emarginato, facendo di lui un discepolo esemplare.

 

5. “… lo seguiva lungo via” 

 

52E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la via.

 

“E subito vide di nuovo”: la guarigione è descritta quasi en passant, mediante l’impiego dell’espressione temporale kaì eythýs, “e subito”, usata per ben 42 volte da Marco, a testimoniare l’urgenza escatologica che caratterizza la vita di Gesù e di quanti la condividono.
L’evangelista sembra invece più interessato a mettere in risalto le conseguenze della guarigione – o meglio della salvezza sperimentata grazie alla fede – sulla vita di Bartimeo. Gesù gli aveva detto: “Va’”; egli invece, dopo l’incontro che ha cambiato per sempre la sua vita, non può più stare separato da Gesù. Per questo “lo segue (verbo akolouthéo, tipico della sequela, 19 volte in Marco) lungo la via (en tê hodô; hodós è attestato 16 volte in Marco)”: la salvezza viene sperimentata dal credente non tanto come condizione in cui installarsi, ma come cammino perseverante dietro a Gesù, come relazione quotidiana con lui. Ecco perché Bartimeo, quale discepolo guarito dalla sua cecità, segue Gesù sulla strada per Gerusalemme, la strada che lo condurrà alla croce. Insieme a lui, sono risanati e illuminati da Gesù coloro che, chiamati alla sequela, l’avevano contraddetta: Pietro, che aveva contestato l’annuncio della passione (cf. Mc 8,32); i Dodici, che avevano discusso per stabilire chi tra loro fosse il più grande (cf. Mc 9,33-34); Giacomo e Giovanni, che avevano chiesto per sé i primi posti (cf. Mc 10,35-37). Sappiamo però bene che anche l’esempio di Bartimeo non basterà: infatti, quelli che avevano lasciato tutto per seguire Gesù (“Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito”: Mc 10,28; cf. anche 1,18.20), al momento della sua cattura “lo abbandonarono tutti e fuggirono” (Mc 14,50)…
Questo brano contiene dunque un pressante avvertimento rivolto anche a ogni lettore del vangelo, a ciascuno di noi. Il comportamento di Bartimeo ci spinge

 

• a invocare con insistenza la guarigione dalla nostra cecità;

 

• ad ascoltare la chiamata del Messia Gesù e a corrergli prontamente incontro;

 

• a lasciarci da lui interrogare e aprire gli occhi del cuore, in modo da vederci chiaro per poterlo seguire nella sua passione, morte e resurrezione, senza rimanere scandalizzati!

 

Solo vivendo in questo modo noi cristiani potremo essere in verità “quelli della via” (At 9,2), uomini e donne alla sequela di Gesù, il crocifisso-risorto che sempre ci precede sulle nostre strade e ci chiama a condividere la sua stessa vita.

 

Conclusione


Come si è visto, più che un racconto di miracolo, la nostra pagina presenta un cammino esemplare di fede. Non a caso, per Marco il cieco guarito è il “tipo” del discepolo, così come è il “tipo” del catecumeno che, dopo essersi spogliato degli abiti – cioè, simbolicamente, dell’”uomo vecchio” (Rm 6,6; Ef 4,22; Col 3,9) –, sperimenta l’immersione battesimale scendendo nel buio delle acque e riemergendo da esse alla luce, per poterci vedere chiaramente e camminare in novità di vita (anticamente il battesimo era definito “illuminazione”; cf. Eb 6,4; 10,32). Il cammino di fede nasce dall’ascolto (cf. Mc 10,47; “fides ex auditu”: Rm 10,17), diviene invocazione e preghiera (cf. Mc 10,47-48), accoglienza di una chiamata (cf. Mc 10,49), incontro salvifico con il Signore Gesù Cristo (Mc 10,50-52a) e infine sequela perseverante (cf. Mc 10,52b) “sulla via”, via che è Gesù Cristo (cf. Gv 14,6). 
Come Bartimeo anche noi, qui e ora, siamo chiamati a passare dall’immobilità al metterci in cammino, dall’emarginazione alla comunione, dalla cecità alla fede. In questo cammino che va “di inizio in inizio, attraverso inizi che non hanno mai fine”(11), possiamo fare nostra una bella esortazione di Clemente di Alessandria:

 

“Il comandamento del Signore è limpido, dà luce agli occhi” (Sal 18 [19],9). Accogli Cristo, accogli la facoltà di vedere, accogli la tua luce, affinché tu conosca bene Dio e l’uomo. La Parola che ci ha illuminati è “più preziosa dell’oro e delle pietre preziose, è più desiderabile del miele e del favo” (Sal 18 [19],11). Come può, infatti, non essere desiderabile colui che ha dato luce alla mente ottenebrata e ha aperto alla luce gli occhi del cuore? … Accogliamo la luce, per accogliere Dio; accogliamo la luce e diventiamo discepoli del Signore … Finora ho errato nella mia ricerca di Dio, ma poiché tu mi illumini, Signore, io trovo Dio per mezzo di te e ricevo il Padre da te, divengo tuo coerede (cf. Rm 8,17), poiché non ti sei vergognato di avermi come fratello (cf. Eb2,11). Cancelliamo, dunque, cancelliamo l’oblio della verità, l’ignoranza e, rimuovendo le tenebre che ci impediscono la vista come nebbia per gli occhi, contempliamo il vero Dio, acclamandolo innanzitutto con queste parole: “Salve, o Luce!”. Poiché una luce dal cielo brillò su di noi sepolti nelle tenebre e prigionieri nell’ombra di morte (cf. Is 9,1; Mt 4,16; Lc 1,79), una luce più pura del sole, più dolce della vita terrena(12).

 

Enzo Bianchi
Priore di Bose


(1)Paolo VI, Esortazione apostolica Evangeliinuntiandi (8 dicembre 1975) 15.

(2)É. Cuvillier, Evangelo secondo Marco, Qiqajon, Magnano 2011, p. 311.

 

(3)B. van Iersel, “Bartimeo e i frequentatori del tempio di Gerico. Marco 10,46-52 come racconto di futuro della nostra fede”, in Cammino e visione. Universalità e regionalità della teologia nel XX secolo. Scritti in onore di Rosino Gibellini, D. Mieth, E. Schillebeeckx, H. Snijdewind (edd.), Queriniana, Brescia, pp. 149-162 (cit. a p. 152).

 

(4)J. Dupont, “Il cieco di Gerico riacquista la vista e segue Gesù (Mc 10,46-52)”, in Parola, Spirito e Vita 2 (1980), pp. 105-123 (cit. a p. 113).

 

(5)A. Paul, “La guérison de l’aveugle (des aveugles) de Jéricho”, in Foi et Vie 69/3 (1970), pp. 44-69 (cit. a p. 67).

 

(6)D. Marguerat, “Quattro vangeli per quattro lettori”, in Teologia 33/1 (2008), pp. 14-36 (cit. a p. 16). Scrive lo stesso autore poco oltre: “Lungo i primi dieci capitoli di Marco, ho potuto contare non meno di cinquantaquattro cambiamenti di luogo da parte di Gesù” (ibid.).

 

(7)É. Cuvillier, Evangelo secondo Marco, p. 313.

 

(8)Rinvio a E. Bianchi, Gesù educa alla fede, Qiqajon, Magnano 2011 (Sentieri di senso 9).

 

(9)J. Dupont, “Il cieco di Gerico”, p. 115.

 

(10)A. Paul, “La guérison de l’aveugle”, p. 67.

 

(11)Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei cantici 8.

 

(12)Clemente di Alessandria, Protrettico XI,113,1-2.4-5; 114,1.