di Enzo Bianchi
Tappe dell’automanifestazione di Dio
La storia della salvezza si sviluppa attraverso tappe diverse e successive del processo di auto manifestazione di Dio all’umanità. Ogni alleanza stretta da Dio con Adamo, con Noè, con Abramo, inaugura uno spazio di comunione e di salvezza in attesa del compimento dei tempi, l’incarnazione del Verbo. E questi spazi non vengono certo automaticamente aboliti da una nuova tappa, sicché permangono anche nei tempi della chiesa, come permane ancora l’alleanza mai revocata con il popolo d’Israele.
Dunque le religioni, le culture delle genti, continuano a essere spazi capaci di sostenere l’incontro con Dio anche oggi, dopo l’epifania decisiva di Dio in Cristo. Ad esempio la preghiera delle genti, come più volte ha ricordato il magistero della chiesa, è effetto dello Spirito di verità operante oltre i confini del corpo ecclesiale, cioè è suscitata dallo Spirito santo il quale è intensamente presente nel cuore di ogni uomo.
Ecco delineata la visione che il cristiano deve avere delle altre religioni in accordo con le Scritture e la grande tradizione: una visione che contempla il mistero dell’unità di tutta l’umanità, che confessa la presenza attiva del Lógos fin dalla creazione in tutte le genti e le famiglie della terra, che discerne la presenza dello Spirito santo in ciò che precede il Cristo e il suo permanere nello spazio umano che ancora non lo riconosce, che afferma la piena legittimità dell’attesa messianica d’Israele, per nulla esautorata dal riconoscimento cristiano del Messia in Gesù di Nazaret.
C’è un’unica salvezza che Dio prepara per gli uomini in Cristo, come unico è il mistero pasquale che la dona e la dispensa, e infine unico è il destino di tutti gli uomini: il regno di Dio.
Occorre coniugare valutazione delle religioni e annuncio di Gesù Cristo
Una volta acquisita questa valutazione grazie alla fede cristiana che sola la dona, il cristiano non appiattirà la sua fede sulle altre religioni, né finirà per benedire e accettare passivamente le culture e le tradizioni non cristiane. L’atteggiamento irenico che dichiara esaurita la missione cristiana non è che la forma colta, raffinata, dell’in-differenza religiosa e traduce quel primato dell’etica che nutre l’antropocentrismo dominante.
Il cristiano non deve cessare di ricordare che l’idolatria è una tentazione e una potente dominante per tutti gli uomini. Se l’idolatria riesce a insinuarsi tra i cristiani, se è stata più volte denunciata dai profeti nel popolo di Dio, essa va intravista e denunciata anche in tutte le altre tradizioni religiose. Affermare che le tradizioni religiose non cristiane contengono semi del Verbo, elementi di grazia, energie dello Spirito santo, non significa accogliere tutto senza discernimento. Anche il vitello d’oro era segno di una ricerca di Dio, era una manifestazione religiosa, eppure stava nello spazio dell’idolatria.
A qualunque tradizione religiosa appartenga, l’uomo deve sempre essere chiamato alla conversione dagli idoli, e, nel rispetto delle sue tradizioni religiose, nel dialogo sincero, senza violare la sua coscienza e la sua libertà, senza confidare in mezzi umani, gli si deve rivolgere l’annuncio della salvezza piena che si ha in Cristo.
Questo non è un rinnegamento del positivo, del buono e del santo che c’è nelle religioni, né significa entrare nel dialogo interreligioso con arroganza, ma significa essere testimoni della speranza che è in noi (cf. 1Pt 3,15).
È triste confessarlo, ma proprio quei cristiani che, in nome di un dialogo rispettoso, vorrebbero rinunciare alla missione, sovente sono quelli che non si mostrano rispettosi verso gli altri, confidando nei “loro mezzi” culturali, economici e sociali e presumendo di essere servitori di Cristo non nell’annunciarlo ma nel ridurlo a liberatore umano, secondo “la loro” ideologia di liberazione.
Prima parte della riflessione:
1.1 Ci si può salvare in qualsiasi religione?
Riguardo all’argomento della salvezza che Dio vuole e opera in mezzo agli uomini ci sono molte affermazioni all’interno delle Scritture, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento, che sembrano contraddirsi. Basta citarne due: “Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati” (1Tm 2,4), e: “Non c’è sotto il cielo nessun altro Nome dato agli uomini per il quale possiamo essere salvati” (At 4,12), cioè nessun altro nome eccetto il Nome di Gesù Cristo, il nazareno, morto in croce e risorto.
Su questo problema si registrano anche oggi posizioni teologiche contrastanti, e soprattutto si nota l’affiorare di atteggiamenti che vorrebbero negare la necessità della missione tra le genti, tra le culture che non confessano Gesù Cristo quale Signore dell’universo…
Perché questa incapacità dei cristiani di coniugare la loro vocazione e la loro qualità specifica, che implicano conseguentemente una responsabilità missionaria, con il riconoscimento che Dio agisce invisibilmente attraverso vie che non sono le nostre?
Perché il riconoscimento dell’universalità e unicità della storia di salvezza, di un’unica economia divina, deve appiattire la fede cristiana sulle altre religioni e giungere all’affermazione che ci sono molte vie di salvezza parallele o convergenti?
In verità, per chi ascolta le Scritture nello Spirito e quindi nello spazio della grande tradizione ecclesiale, non ci sono contraddizioni né ambivalenze insormontabili.
Interrogandoci sul problema della salvezza è innanzitutto essenziale ricordare che esso è inscindibile dalla rivelazione di Dio in Gesù Cristo. È solo riducendo il cristianesimo a via etica (o ascetica) che si può pensare a una sostanziale in-differenza o equivalenza delle religioni sul piano della salvezza. La “salvezza” non è conquistata dall’ascesi o dalla vita etica e meritoria dell’uomo, ma è carisma, dono di grazia di Dio in Gesù Cristo. La salvezza non è operata né ottenuta dall’uomo, ma è operata da Dio e da lui ottenuta per ogni uomo.
La persona di Cristo, che sulla croce rivela pienamente il volto di Dio dando pieno compimento al disegno sapiente di Dio dispiegato dalla creazione attraverso tutta la storia di Israele è allora una discriminante irriducibile.
Sulla croce Cristo muore per tutti, ebrei e pagani, giudei e greci, umanità che l’ha preceduto e umanità che lo segue e lo seguirà. La croce allora (intesa come personificazione cristologica) è la differenza ineliminabile: la salvezza è incerta per tutti, cristiani compresi (che devono anzi guardarsi dal pericolo mortale dell’autogiustificazione e del sentirsi garantiti) e sempre va esposta al vaglio della croce, all’accettazione dello scandalo di un Dio personale che ha un volto umano, Gesù Cristo, e che si rende presente ubi charitas est, dove c’è la carità.
La valutazione positiva che la fede cristiana dà delle altre religioni
Tutta la storia della salvezza già a partire dalla creazione è operata dal Verbo di Dio e orientata verso l’incarnazione del Verbo stesso nell’umanità. Fin dalla creazione il Verbo fu presente nel mondo come fonte di vita, come luce vera che illumina ogni uomo. Ogni uomo è strettamente legato a Cristo sia nella creazione che nella redenzione perché il Cristo è il primogenito di ogni creatura e ogni uomo ha ricevuto la chiamata divina non solo nell’appello alla vita, ma anche nella destinazione a essere “intestato in Cristo” (Ef 1,10).
Per questo il Verbo di Dio è attivamente presente in tutta la storia dell’umanità, sicché questa è tutta quanta storia di salvezza, in cui Dio si manifesta progressivamente e si comunica attraverso il Verbo e lo Spirito.
Vi sono dunque dei germi, dei semi del Verbo sparsi tra le genti perché la Sapienza di Dio, presente quando Dio creava il mondo, ha preso dominio su ogni popolo e gente ponendo il suo compiacimento tra i figli dell’uomo.
Il Lógos, dice Giustino, ha seminato i suoi semi, e questa presenza nelle culture delle genti non è venuta meno, ma resta operante ed efficace. Secondo Ireneo di Lione il Verbo di Dio è stato rivelato agli uomini prima dell’incarnazione, è diventato inerente al loro spirito (mentibus infixus) e in tutte le alleanze strette da Dio con l’umanità c’è stata una manifestazione del Verbo, fino alla novità radicale ed estrema dell’alleanza in Gesù Cristo in cui egli ha dato se stesso.
Le tradizioni religiose, le culture delle genti prima di Cristo e al di fuori della piena rivelazione cristiana, dunque senza Vangelo, non sono incapaci di sostenere un incontro con Dio, anzi sono orientate verso quella comunione tra Dio e uomo che è avvenuta in modo pieno e definitivo nell’incarnazione del Verbo in Gesù di Nazaret, nato da Maria.
In questo senso Agostino, che non è certo tenero verso la cultura pagana, giunge a intravvedere una Ecclesia a justo Abel, una chiesa non israelitica e precristiana di uomini giusti, dunque uno spazio in cui gli uomini hanno saputo accogliere la presenza di Dio fin dall’inizio della creazione e ottenere la salvezza.
Questa “chiesa universale di giudei e di gentili”, pur differenziata dalla varietà dei luoghi e dalla distanza dei tempi nei quali è collocata, è unificata nell’umanità di Cristo, nella carne di Cristo che, tramite la passione, a tal punto crebbe, si dilatò, riempì il mondo intero e si estese nel tempo e nello spazio da rivestire e abbracciare tutti gli eletti dalla creazione fino alla fine del mondo e da riunire in un’unica chiesa Dio e l’uomo in un abbraccio eterno.
(continua…)