Il Blog di Enzo Bianchi

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​Fondatore della comunità di Bose

Senza nominare troppo Dio

18/07/2022 00:00

ENZO BIANCHI

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Senza nominare troppo Dio

ENZO BIANCHI

di Enzo Bianchi

Annota il vangelo secondo Matteo: «Gesù parlava di molte cose in parabole» (Mt 13,3). Sì, parlava di molte cose e in parabole. Di molte cose significa che Gesù non consegnava formule, verità codificate, ma parlava della realtà, di ciò che è quotidiano, di ciò che accade nella vita di uomini e donne. Mai nei vangeli sinottici Gesù consegna agli altri delle formule su Dio, anzi di Dio parla poco… Ne parla solo perché emerga un’immagine diversa da quella preconfezionata trasmessa dai dottori della legge, perché emerga quell’immagine che si poteva riscontrare, leggere, decifrare nella sua vita umanissima e quotidiana, mai straordinaria, mai volta a incantare o a sedurre.

 

Gesù parlava di Dio nelle parabole senza nominarlo. Non aveva in bocca la parola «Dio», utile in ogni dialogo, non aveva l’ansia di nominarlo a tutti i costi, parlando di Dio alla terza persona. Nelle parabole, possiamo dire, si trova una parola «non religiosa», una parola che indicava alla mente degli ascoltatori cose ed eventi umanissimi, terrestri: un fico che mette i germogli in primavera (cf. Mc 13,28 e par.), del lievito che fa lievitare la pasta (cf. Mt 13,33; Lc 13,21), un padre che attende e perdona il figlio perduto (cf. Lc 15,11-32), un pastore che perde e ritrova una pecora (cf. Mt 18,12-13; Lc 15,4-5), un agricoltore che semina il grano (cf. Mc 4,3-9 e par.)… Racconti, narrazioni in cui Dio non è il protagonista né uno dei personaggi, ma che, una volta ascoltati con gli orecchi e meditati nel cuore, potevano comunque far capire qualcosa dei sentimenti, delle attese, delle azioni di Dio, di quello che Gesù chiamava il Regno di Dio.

 

Possiamo pensare che a volte venissero rivolte a Gesù delle domande su Dio, eppure egli non consegnava in risposta delle formule, non forniva certezze, ma rimandava all’esperienza umana, alla storia e alla microstoria in cui gli uomini e le donne sono coinvolti. Non c’era mai in Gesù l’ansia di fornire risposte catechetiche, di annunciare dogmi, di indicare leggi morali ferree: parlava in parabole, parlava di molte cose… «Non parlava come gli scribi», annotano i vangeli, ma «parlava con autorità» (cf. Mc 1,22 e par.), senza avere un linguaggio religioso. Tra le cause dell’opposizione a Gesù di scribi e sacerdoti va annoverato anche questo suo linguaggio umanissimo che sconcertava in bocca a un predicatore, perché egli non diceva quello che tutti dicevano e non ripeteva quello che era stato detto e che veniva chiamato tradizione (cf. Mc 7,9.13; Mt 15,3.6).

 

Mai in Gesù un ricorso al «sovraumano»! Egli chiedeva invece di ripensare l’idea che quasi tutti avevano di Dio, mostrava di non disprezzare mai ciò che è umano e tanto meno gli uomini, a qualunque cultura, gente o religione appartenessero. Gesù non parlava di un Dio grande, onnipotente, vittorioso e che sa imporsi sugli uomini, lo accolgano o non lo accolgano: parlava di un Padre che chiamava Abinu, «Padre nostro», che chiamava confidenzialmente Abba (Mc 14,36), «Papà»; un Dio che conosce solo l’onnipotenza dell’amore, un Dio che desidera dare amore a chi non lo merita, un Dio che vuole salvare chi è perduto. Proprio per questo Gesù «si è perduto», è stato annoverato tra i malfattori (cf. Lc 22,37; Is 53,12), giudicato amico di peccatori manifesti (cf. Mt 11,19; Lc 7,34), impuro perché non ossessionato dalla purità e dall’ansia immunitaria.

 

La sua carne era parola umana, come la carne di ciascuno di noi è una parola d’uomo.